lunedì 1 novembre 2010
Manifesto di Hezbollah
2009 d.C. /1430 H
In nome di Allah il Clemente e Misericordioso, Lode sia ad Allah, il Signore dei Mondi. Sia pace sul Sigillo dei Profeti, il nostro Maestro Maometto e sulla sua nobile Famiglia sui suoi Compagni e tutti i profeti e i messaggeri.
Allah ha detto nel Suo Libro Sacro:
“E quelli che si battono in Nostro Nome, Noi li guideremo certamente per le Nostre Vie perché in verità Allah è con coloro che fanno il bene” (Il Ragno);
“O voi che credete, fate il vostro dovere verso Allah, cercare i mezzi di giungere a Lui, e vi impegnate con tutte le forze nella Sua causa, possiate voi prosperare” (La Tavola Imbandita).
Introduzione
Il nuovo documento politico di Hezbollah mira a definire la visione politica del partito. Esso comprende le nostre visioni e prese di posizione e le aspirazioni, le aspettative e le paure che nutriamo. Questo documento politico arriva anche a seguito dell’importanza delle azioni e della responsabilità del sacrificio che abbiamo vissuto.
In un momento eccezionale, carico di trasformazioni, non è più possibile affrontare questi cambiamenti senza prendere in considerazione la posizione particolare che la nostra resistenza ha conseguito o le conquiste realizzate dal nostro percorso.
Affronteremo queste trasformazioni con un approccio tra due percorsi contraddittori e la proporzionalità indiretta tra loro:
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la via della resistenza e dell’opposizione, che è in fase ascendente e che si basa sulle vittorie militari e i trionfi politici, così come il consolidamento del modello di resistenza a livello popolare e politico e la fermezza delle posizioni politiche assunte nonostante i massicci attacchi e le gigantesche sfide a cui è sottoposta.... fino a raggiungere la collocazione delle forze nello scacchiere regionale a fianco della resistenza e dei suoi sostenitori.
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il sentiero del dominio e dell’egemonia statunitense-israeliana in tutte le sue varie dimensioni ed alleanze ed estensioni dirette ed indirette, che sta andando incontro a sconfitte militari, fiaschi e delusioni che mostrano il conseguente fallimento delle strategie e dei piani degli Stati Uniti. Questo ha portato ad uno stato di collisioni, ritirate e incapacità nel dirigere ed amministrare gli sviluppi e gli eventi nel nostro mondo arabo e islamico.
Questo dato si integra in un più ampio scenario internazionale, che contribuisce a sua volta a mostrare la crisi degli Stati Uniti e il recedere dell’egemonia unipolare a favore di un multipolarismo le cui caratteristiche non sono ancora chiare.
Ciò che aggrava ancor più la crisi del sistema egemonico internazionale sono i collassi dei mercati finanziari statunitensi ed internazionali e il crollo dell'economia degli Stati Uniti in una situazione di fallimento. Questo dà una chiara immagine del picco della crisi strutturale dell’arrogante modello capitalista.
Pertanto è possibile dire che siamo nel mezzo di trasformazioni storiche che segnano il recedere del ruolo degli Stati Uniti come potenza predominante e la caduta dell’arrogante unipolarismo e l'inizio della progressiva scomparsa storica dell'entità sionista.
I movimenti di resistenza sono al centro di queste trasformazioni internazionali ed emergono come un fattore strategico nel panorama internazionale, dopo aver ricoperto un ruolo centrale nella generazione o promozione di queste trasformazioni nella nostra regione.
La resistenza in Libano, compresa la Resistenza Islamica, è stata la prima a combattere l'egemonia e l’occupazione per più di due decenni e mezzo. Ha aderito a questa scelta in un momento che sembrava essere l'inaugurazione dell'era degli Stati Uniti - che vi erano prove per descrivere come la fine della storia. Alla luce dei bilanci di forza e delle circostanze allora in vigore, alcuni videro la scelta della resistenza come una sorta di illusione o avventatezza politica o un'inclinazione che si opponeva al razionalismo e alla logica.
Nonostante ciò, la resistenza si mosse nel suo processo di jihad con l’assoluta certezza della giustezza della propria causa e della propria capacità di conseguire la vittoria, credendo in Allah ed avendo fiducia in Lui, come parte dell’intera nazione avente a cuore gli interessi nazionali libanesi, nonché avendo fiducia nel proprio popolo e tenendo alti i valori umani di rettitudine, giustizia e libertà.
Attraverso il suo lungo cammino di jihad e le sue note vittorie - a cominciare dal ritiro della occupazione israeliana da Beirut e dal Monte Libano, le fughe da Sidone, Tiro e Nabatiyeh, l’aggressione del luglio 1993, l’aggressione dell’aprile 1996, la liberazione del maggio 2000 la guerra del luglio 2006 - la resistenza ha garantito la credibilità del proprio modello prima ancora di conseguire le sue vittorie. Il progetto della Resistenza è cresciuto da una forza di liberazione ad una forza di equilibrio e contrapposizione ed infine ad una di difesa e di dissuasione, oltre al suo influente ruolo politico interno di pilastro della costruzione di uno stato giusto e capace.
Contemporaneamente era indispensabile che lo status politico e umano della Resistenza si evolvesse: si è sviluppato da un valore nazionale libanese ad un valore arabo e islamico diffuso ed è diventato oggi un valore umano internazionale; il suo modello viene seguito e le sue conquiste vengono prese ad esempio da tutti coloro che cercano la libertà e l’indipendenza in tutto il mondo.
Pur essendo a conoscenza di queste trasformazioni promettenti e vedendo che il nemico oscilla tra una inetta strategia di guerra e l'incapacità di raggiungere un accordo con le condizioni che pone, Hezbollah non sottovaluta la dimensione delle attuali sfide palesi e delle minacce, la difficoltà del percorso dello scontro e i grandi sacrifici ritenuti necessari dal percorso della resistenza per ristabilire i diritti e prendere parte alla resurrezione nazionale. Davanti a ciò, Hezbollah è diventata ora più chiara nelle sue scelte, più determinata nella sua volontà e più fiduciosa nel suo Signore, nel popolo ed in se stessa.
In questo contesto, Hezbollah definisce le principali linee guida, che costituiscono un quadro politico e intellettuale per la sua visione e le prese di posizione nei confronti delle sfide da affrontare.
Capitolo 1: L’Egemonia ed il Risveglio
Primo: L’Egemonia statunitense, occidentale e mondiale
Dopo la seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti si sono impossessati di un progetto di polarità primaria centralizzata. Questo progetto è stato assistito fortemente dallo sviluppo degli USA nei mezzi di dominio e da un’egemonia senza precedenti nella storia, basata sui risultati ottenuti ai vari livelli della conoscenza, fra cui l’educazione, la scienza, la tecnologia, l’economia e l’ambito militare, sostenuti da un sistema economico che vede il mondo solo come un libero mercato che deve rispettare le leggi americane.
L'aspetto più pericoloso della logica egemonica Occidentale in generale e degli Stati Uniti in particolare, è, in sostanza, la convinzione che il mondo sia una loro proprietà e che hanno il diritto di dominare sulla base della loro superiorità in più di un campo. Così la strategia di espansione occidentale —e in particolare statunitense— accoppiata con il progetto economico capitalistico, si riduce ad una avida strategia internazionale priva di limiti.
Il controllo delle potenze capitalistiche selvagge presente soprattutto nelle reti internazionali di monopolizzazione che reclutano compagnie inter-raziali e persino intercontinentali ed istituzioni internazionali varie (in particolare le istituzioni finanziarie supportate dalla superiore potenza militare) ha portato a sempre maggiori contraddizioni e lotte radicali fra cui non ultime oggi sono la lotta fra identità, culture e civiltà, oltre alla lotta fra ricchezza e povertà.
Il capitalismo selvaggio ha trasformato la globalizzazione in un meccanismo per diffondere disparità e instillare discordia, demolire le identità e imporre il tipo più pericoloso di sfruttamento civile, culturale, economico e sociale.
La globalizzazione ha raggiunto il suo aspetto più pericoloso quando si è trasformata in una globalizzazione militare guidata da coloro che seguono il piano di dominazione occidentale, che si è in gran parte manifestato in Medio Oriente, a partire dall’Afghanistan per continuare in Iraq, Palestina e Libano, e di cui una parte integrante è stata l’aggressione del luglio 2006 per mano israeliana.
La dominazione ed il progetto di egemonia degli Stati Uniti non ha mai raggiunto livelli così pericolosi come ha fatto recentemente, soprattutto dall'ultimo decennio del ventesimo secolo in poi, lungo un percorso ascendente che ha preso il via dalla disgregazione e caduta dell'Unione Sovietica (che ha costituito una possibilità storica per l’idea statunitense di essere l’unico polo alla guida del progetto di egemonia internazionale che chiamano responsabilità storica), senza distinguere tra gli interessi del mondo e gli interessi degli Stati Uniti e spacciando pertanto tale egemonia come un interesse per tutti gli altri stati e nazioni invece che come un interesse esclusivo degli Stati Uniti.
Questo piano ha trovato il suo apice con l’affermazione del movimento neoconservatore sotto l'amministrazione di George Bush figlio. Questo movimento ha espresso i suoi particolari punti di vista attraverso il "Progetto del Nuovo Secolo Americano", scritto prima delle elezioni USA del 2000. Il progetto ha trovato la sua via di esecuzione dopo che l’amministrazione di Bush figlio prese il potere negli Stati Uniti.
Non era né strano né sorprendente che ciò che tale documento – che divenne ben presto la guida dell'amministrazione Bush – sollecitava era soprattutto la ricostruzione delle capacità degli Stati Uniti che riflettono una visione strategica della sicurezza nazionale USA. Era cristallino che si concentrava sulla costruzione di strategie militari, non solo come forza di deterrenza, ma anche come una forza di azione e di intervento sia come azione di precauzione attraverso attacchi preventivi che come mezzo di gestione delle crisi dopo che queste hanno avuto luogo.
In seguito agli attentati dell'11 settembre, l'amministrazione Bush ha realizzato che era l'occasione opportuna per esercitare la più grande influenza possibile per realizzare la sua visione di una strategia di egemonia mondiale unipolare con lo slogan della "guerra universale contro il terrorismo". Ha quindi compiuto molti tentativi che sono stati inizialmente considerati come successi dai seguenti punti di vista:
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massima militarizzazione della propria politica estera e delle relazioni internazionali;
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sottrazione al quadro multilaterale e assunzione del monopolio sul processo decisionale strategico e sul coordinamento, quando necessario, con gli alleati in posizione subordiata;
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rapida conclusione della guerra in Afghanistan per potersi dedicare interamente al successivo e più importante passo nel progetto di egemonia, l’assunzione del controllo dell'Iraq. L’Iraq era considerato il pilastro fondamentale per la fondazione del progetto di Nuovo Medio Oriente che andava incontro ai desideri mondiali dopo l'11 settembre. Questa amministrazione non si è mai tirata indietro dal ricorrere a tutti i mezzi di inganno, menzogne ed aperte falsificazioni per giustificare le sue guerre ed in particolare la guerra in Iraq e contro ogni stato, movimento, forza o personalità che resite al suo progetto neocoloniale. In questo quadro, l'amministrazione Bush ha cercato di stabilire una conformità tra il terrorismo e la resistenza, per togliere a quest'ultima la sua legittimità umana e legale, e quindi giustificare qualsiasi guerra contro i suoi movimenti, cercando di rimuovere l'ultima fortezza a cui i popoli e gli Stati ricorrono per difendere il proprio diritto a vivere con libertà, dignità e orgoglio, per difendere la loro ineccepibile sovranità e per avanzare attraverso le proprie esperienze ed assumere il proprio status e ruolo nei movimenti umani storici a livello culturale e politico.
La definizione di "terrorismo" si è trasformata in un pretesto USA per praticare l'egemonia attraverso i seguenti mezzi: la cattura o l’arresto e la detenzione arbitraria in assenza degli elementi primari di un processo equo, come nella Base di Guantanamo, attraverso l'intervento diretto al di sopra della sovranità degli Stati, trasformandolo in un chiaro segno di incriminazione arbitraria,nonchè la decisione di infliggere pene ad intere nazioni e popoli e, infine, la concessione a sé stessi del diritto assoluto di lanciare guerre distruttive, che non distinguono tra innocente e criminale, bambino e anziano e uomo e donna.
Le guerre al terrorismo degli Stati Uniti sono finora costate all'umanità milioni di persone, nonché aree di distruzione totale che non ha colpito solamente il suolo e le infrastrutture, ma anche le basi della società che sono state disintegrate, spingendo all’indietro il processo di sviluppo storico, in un processo di ricaduta che ha generato guerre civili con infiniti conflitti fra fazioni, confessioni ed etnie. Ciò senza dimenticare l’attacco al patrimonio culturale e civile di questi popoli.
Non c'è dubbio che il terrorismo degli Stati Uniti è l'origine di ogni aspetto del terrorismo in tutto il mondo. L'amministrazione Bush ha trasformato gli Stati Uniti in un pericolo che minaccia il mondo intero ad ogni livello ed in ogni campo. Se oggigiorno venissero condotti dei sondaggi internazionali, gli Stati Uniti si rivelerebbero la nazione più ripugnante in tutto il mondo.
Il fallimento subito nella guerra in Iraq e lo sviluppo della resistenza in quel paese, oltre al risentimento regionale e internazionale per l'andamento di questa guerra e il fiasco della cosiddetta "guerra al terrorismo" in particolare in Afghanistan, nonchè il ritorno impetuoso del movimento Talebano ed il dover riconoscere il suo ruolo e cercare di concludere accordi con esso, così come il grande fallimento della guerra degli Stati Uniti (per mano di Israele) contro la resistenza in Libano e Palestina, ha portato all'erosione del prestigio degli Stati Uniti a livello internazionale ed ad una ritirata strategica della capacità degli Stati Uniti di intraprendere o impegnarsi in nuove avventure.
Tutto quanto detto sopra non significa che gli Stati Uniti lasceranno la scena facilmente. Faranno invece tutto il possibile per proteggere ciò che chiamano "interessi strategici". Questo perché le politiche di egemonia degli Stati Uniti si basano su considerazioni ideologiche e progetti teorici alimentati da correnti estremiste che sono alleati con un complesso industriale-militare caratterizzato da una avidità ed un materialismo senza fine.
Secondo: La nostra regione ed il progetto statunitense
Se tutto il mondo ritenuto debole era sotto la morsa dell’arrogante egemonia, la morsa era ancora più stretta e dura sul nostro mondo arabo e islamico, per molte considerazioni legate alla sua storia, civiltà, disponibilità di risorse e ubicazione geografica.
Per secoli il nostro mondo arabo e islamico è sempre stato oggetto di infinite guerre selvagge. Tuttavia, le sue fasi più pericolose sono iniziate con l'insediamento dell’entità sionista nella regione, nel quadro di un progetto di disintegrazione di questa regione per affrontare e far guerra a vario titolo alle varie entità. Il picco di questa fase è stato raggiunto quando gli Stati Uniti hanno ereditato il vecchio colonialismo della regione.
L'obiettivo centrale dell’egemonia americana risiede nel dominare totalmente le nazioni: sia politicamente, economicamente, culturalmente o attraverso il saccheggio delle loro risorse, soprattutto il petrolio (che è il principale strumento di controllo dell’economia internazionale). Si prefigge di conseguire il controllo con qualsiasi mezzo che non rispetti le norme morali e le condizioni umane, tra cui l'uso eccessivo della forza militare, sia direttamente che indirettamente (attraverso uno strumento).
Per raggiungere questo obiettivo, gli USA sono ricorsi a diverse politiche generali e strategie operative, tra cui:
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Fornire all'entità sionista tutti i tipi di garanzie di stabilità in quanto base avanzata e pilastro per il progetto di egemonia degli Stati Uniti che mira a disintegrare la regione, nonchè sostenere questa entità con tutti gli elementi di forza e di continuità e dotandola di una rete di sicurezza per la sua stessa esistenza che le consente di svolgere il ruolo di ghiandola tumorale che esaurisce le capacità della nazione, diffonde le sue capacità e disperde le sue aspettative e speranze.
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Distruggere le capacità spirituali e la civiltà e le culture dei nostri popoli e cercare di indebolire la nostra morale attraverso i media e le guerre psicologiche che prendono di mira i valori e le figure della jihad e della resistenza.
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Sostenere i regimi subordinati e le dittature della regione.
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Prendere possesso della terra e del mare geograficamente strategici nella regione, e delle basi aeree che costituiscono i punti di collegamento decisivi, nonchè diffondere le basi militari nei punti vitali del territorio, affinchè si rivelino utili alle sue guerre e a sostenere i suoi strumenti.
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Sopprimere qualsiasi rinascita della regione che consenta di possedere mezzi di potere e progresso e svolga un ruolo storico a livello internazionale.
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Impiantare tutti i tipi di sedizione e divisione nella regione, specialmente quelli confessionali tra musulmani per produrre infinite lotte civili interne.
È chiaro che non c'è modo di leggere ogni lotta in ogni regione del mondo se non attraverso un punto di vista strategico internazionale. Il pericolo degli Stati Uniti non è locale o specifico per una regione e non un altra. Di conseguenza anche il fronte che si contrappone a questo pericolo statunitense deve necessariamente essere globale.
Non c'è dubbio che questo scontro è difficile e critico. Si tratta di una lotta di dimensione storica e di conseguenza è una lotta di generazioni che ha bisogno di fare uso di ogni potere potenziale. La nostra esperienza in Libano ci ha insegnato che difficile non significa impossibile. Al contrario, i popoli vitali e attivi dietro una guida saggia e consapevole e pronta a tutte le possibilità scommettono sull’acumulare i successi e conseguire una vittoria dopo l'altra. Così come ciò è vero verticalmente lungo la storia, è vero anche orizzontalmente nell’espansione geografica e geopolitica.
L'arroganza americana non ha lasciato altra scelta alla nostra nazione e al nostro popolo che la scelta della resistenza, almeno per una vita migliore e per un futuro umanitario migliore, un futuro governato da relazioni di fraternità, solidarietà e al tempo stesso diversità, in un mondo di pace e di armonia, come descritto da tutti i profeti e i grandi riformisti nella storia e com’è aspirazione dello spirito umano giusto e sublime.
Capitolo 2: Il Libano
Primo: La Patria
Il Libano è la nostra patria e la patria dei nostri padri e antenati. È anche la patria dei nostri figli, nipoti e delle generazioni future. È il paese per la cui sovranità, orgoglio, dignità e liberazione abbiamo offerto i nostri sacrifici più preziosi e i più cari martiri. Vogliamo questa nazione per tutti i libanesi. Vogliamo abbracciarli, avere spazio per loro e essere orgogliosi per le loro offerte.
Vogliamo che sia uno e unico nella sua terra, popolo, stato e istituzioni. Noi rifiutiamo ogni forma di segregazione o di federalismo, esplicita o mascherata. Vogliamo che il Libano sia sovrano, libero, indipendente, forte e capace. Vogliamo anche che sia forte, attivo e presente nella geopolitica della regione. Vogliamo anche che dia un contributo fondamentale nel fare il presente ed il futuro, come è sempre stato attivo nel fare la storia.
Una delle condizioni più importanti per la creazione e la continuità di una patria di questo tipo è quella di avere uno stato equo, capace e forte, nonché un sistema politico che rappresenti veramente la volontà del popolo e le sue aspirazioni per la giustizia, la libertà, la sicurezza, la stabilità, il benessere e la dignità. Questo è ciò che tutto il popolo libanese vuole, e ciò che lavora per ottenere, e noi siamo una parte di esso.
Secondo: La Resistenza
Israele rappresenta una minaccia eterna per il Libano - lo Stato e l'entità - e un reale pericolo per il paese per quanto riguarda le sue ambizioni storiche nella sua terra ed acqua, in particolare poichè il Libano è considerato un modello di convivenza tra i seguaci delle religioni monoteiste in una formula unica che è in contrasto con l'idea di stato razzista che si esprime nella entità sionista. Inoltre, la presenza del Libano ai confini della Palestina occupata e in una regione instabile a causa della lotta con il nemico israeliano ha reso inevitabile l’assumersi responsabilità nazionali e pan-arabe.
La minaccia israeliana a questo paese è iniziata sin dall'istituzione della entità sionista nella terra di Palestina. È un entità che non ha mai esitato a rivelare le sue ambizioni di occupare alcune zone del Libano e di prendere la sua ricchezza, in particolare la sua acqua. Quindi, ha cercato di realizzare gradualmente queste ambizioni.
Questa entità ha iniziato la sua aggressione contro il Libano a partire dal 1948, dal confine fin nel profondo del paese, dal Massacro di Hula nel 1949 all'aggressione all’aeroporto internazionale di Beirut nel 1968. Tra questi eventi ci sono stati lunghi anni di attacchi alle aree di confine, alla loro terra, popolazione e ricchezza. Questo è stato un preludio all’impadronirsi direttamente della terra mediante ripetute invasioni, che hanno condotto all'invasione del marzo 1978 e all'occupazione della zona di frontiera, che ha reso la popolazione di quell’area soggetta alla loro autorità a livello di sicurezza, politico ed economico, nel quadro di un preludio integrato al processo di sottomissione di tutto il paese durante l'invasione del 1982.
Tutto ciò stava avvenendo con il pieno sostegno degli Stati Uniti ed il disinteresse, cresciuto al livello di complicità, da parte della cosiddetta "comunità internazionale" e delle sue istituzioni, in mezzo al sospetto silenzio ufficiale del mondo arabo e all'assenza dell’autorità libanese che ha abbandonato la terra ed il popolo all’occupazione ed ai massacri israeliani, senza assumersi le proprie responsabilità e i propri obblighi nazionali.
Nell'ambito di questa grande tragedia nazionale, le sofferenze del popolo, l'assenza dello stato e l’abbandono internazionale, i Libanesi leali verso la propria patria non hanno avuto altra scelta che utilizzare il proprio diritto a procedere per il proprio dovere nazionale, morale e religioso a difendere la propria terra. Così, la loro scelta è stata quella di lanciare una resistenza popolare armata per affrontare il pericolo sionista e l'aggressione permanente contro la loro vita, ricchezza e futuro.
In tali difficili circostanze, il processo di ripristino della nazione attraverso la resistenza armata è cominciato spianando la strada per liberare la terra e l’iniziativa politica dalle mani dell'occupazione israeliana, come preludio per ripristinare lo stato e costruire le sue istituzioni costituzionali. Ancor più importante è stato ristabilire i valori nazionali su cui la nazione è stata costruita, in cima ai quali ci sono la dignità e la sovranità nazionale. Ciò ha dato alla libertà la sua dimensione reale, non lasciandola limitata ad uno slogan; piuttosto, la resistenza si è consacrata mediante l'atto di liberare la terra e gli uomini, e quindi questi valori nazionali si sono trasformati in pilastri per la costruzione del Libano moderno. In quanto tale, il Libano ha ripristinato la propria posizione sulla mappa del mondo e restaurato il suo ruolo di paese da rispettare ed i cui figli sono orgogliosi di appartenervi, in quanto nazione della libertà, della cultura, dell'istruzione e della diversità, nonché nazione di orgoglio, rispetto, sacrifici ed eroismo. La Resistenza ha coronato tutte queste dimensioni insieme raggiungendo la liberazione nel 2000 e la storica vittoria nel luglio 2006, presentando al mondo intero una vera esperienza nella difesa patria, un'esperienza che si è trasformata in un esempio dal quale le nazioni e gli stati possono trarre beneficio per difendere il proprio territorio, proteggere la propria indipendenza e mantenere la propria sovranità.
Questo risultato nazionale della resistenza è stato realizzato grazie al sostegno reale di un popolo e un esercito nazionale leale, frustrando così gli obiettivi del nemico ed infliggendogli una sconfitta storica che ha permesso alla Resistenza di celebrare insieme ai suoi combattenti e martiri, così come a tutto il Libano, attraverso la nazione e l'esercito, la grande vittoria che ha spianato la strada a una nuova fase nella regione, imperniata sul ruolo e la funzione centrale della resistenza nel dissuadere il nemico, garantire la salvaguardia dell'indipendenza e della sovranità del paese, difendere il suo popolo e completare la liberazione del resto dei territori occupati.
Il ruolo della Resistenza è una necessità nazionale, fino a quando continueranno le minacce israeliane e le loro ambizioni di prendere le nostre terre e acque, in assenza di uno stato forte ed efficace, ed in presenza di uno squilibrio strategico tra lo Stato ed il nemico; questo squilibrio in realtà obbliga gli stati ed i popoli deboli che sono bersaglio delle minacce degli stati forti e dominanti a ricercare formule attraverso cui beneficiare delle capacità e potenzialità disponibili. Perciò le continue minacce israeliane obbligano il Libano ad adottare una strategia difensiva che accoppi una resistenza popolare che partecipa a difendere il paese a un esercito che preserva la difesa del paese e salvaguardia la sua sicurezza e stabilità in un processo complementare che nelle fasi precedenti si è dimostrato vincente nel condurre la lotta con il nemico, ottenere risultati per il Libano e fornirlo di mezzi per proteggere se stesso.
Questa formula, che è inclusa nella strategia difensiva, costituisce un ombrello di protezione per il Libano, in particolare dopo il fallimento delle speculazioni su altri ombrelli, siano essi internazionali o arabi, o cercati attraverso la negoziazione con il nemico. L'adozione del percorso di resistenza in Libano ha raggiunto il suo ruolo nella liberazione della terra, nel ripristino delle istituzioni statali, nella salvaguardia della sovranità e nel raggiungimento della vera indipendenza. In questo quadro, i libanesi di tutti i partiti politici, le classi sociali, le categorie di istruzione e gli organismi economici si preoccupano di salvaguardare e mantenere questa formula, perché il pericolo israeliano minaccia il Libano in tutte le sue componenti, e ciò richiede la più ampia partecipazione dei Libanesi nell'assumersi le responsabilità della difesa.
Il successo dell'esperienza di resistenza nella lotta contro il nemico ed il fallimento di tutti i piani e gli schemi di abolire i movimenti di resistenza, di confiscare la loro scelta e disarmarli da un lato e la continuazione delle minacce israeliane contro il Libano dall'altro rendono inevitabile che la Resistenza faccia del suo meglio per rafforzare le sue capacità e consolidare le sue forze per assumersi le proprie responsabilità nazionali e partecipare a liberare le terre ancora sotto l'occupazione israeliana nelle Fattorie di Shebaa e nelle Colline Kafasrshouba e la città libanese di Ghajar, così come a liberare i detenuti e le persone scomparse e i corpi dei martiri e prendere parte a difendere e salvaguardare la terra e il popolo.
Terzo: Lo Stato ed il sistema politico
Il principale problema del sistema politico libanese che impedisce la sua riforma, sviluppo ed aggiornamento continuo è il settarismo politico. L'istituzione del regime su base settaria costituisce di per sé stesso un forte ostacolo al raggiungimento di una vera democrazia, in cui la maggioranza eletta possa governare e la minoranza elettorale possa opporsi, aprendo la porta ad una corretta circolazione di potere tra la lealtà e l'opposizione o le varie coalizioni politiche. Perciò l’abolizione del settarismo è una condizione fondamentale per una vera democrazia. In questo quadro, l'Accordo di Taif prevede la costituzione di un consiglio supremo nazionale per conseguire l'abolizione del settarismo.
Tuttavia, e fino a quando i libanesi potranno raggiungere attraverso il loro dialogo nazionale questo significativo risultato - cioè l'abolizione del settarismo politico - e dato che il sistema politico in Libano si basa su fondamenta confessionali, la democrazia consensuale rimane la base fondamentale per la governabilità del Libano, perché è l'incarnazione reale dello spirito della Costituzione e l'essenza della Carta di Coesistenza.
Perciò qualsiasi approccio alle questioni nazionali secondo l'equazione di maggioranza e di minoranza attende il raggiungimento delle condizioni storiche e sociali per l'esercizio della democrazia effettiva in cui il cittadino diventa un valore di per se stesso.
La volontà libanese di vivere insieme in dignità e pari diritti e obblighi richiede una cooperazione costruttiva al fine di consolidare il principio del vero e proprio partenariato, che costituisce la formula più adeguata per proteggere la diversità e la piena stabilità dopo un periodo di instabilità causata dalle diverse politiche basate sulla tendenza verso il monopolio, la cancellazione e le esclusioni.
La democrazia consensuale costituisce una formula politica approppriata per garantire vero partenariato e contribuisce ad aprire le porte a chiunque per accedere alla fase della costruzione dello stato rassicurante che da’ a tutti i suoi cittadini la sensazione che sia costituito per il loro bene.
Di seguito la nostra visione dello Stato che ci auguriamo di poter costruire insieme a tutti i Libanesi.
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Lo stato che preserva le libertà pubbliche e offre l'ambiente adatto per metterle in pratica.
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Lo stato che è forte della sua unità nazionale e coerenza.
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Lo stato che è in grado di proteggere la sua terra, il suo popolo e la sua sovranità e che ha un esercito nazionale forte e titolato e organismi di sicurezza attivi che rispettano la sicurezza del popolo e dei suoi interessi.
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Lo stato che è strutturato sulla base di istituzioni moderne, efficaci e cooperative che hanno poteri e competenze definiti e chiari.
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Lo stato che si impegna nell'applicazione delle leggi nei confronti di tutti i suoi cittadini senza distinzione di religione, provenienza geografica od orientamento politico, in un quadro di rispetto delle libertà e di giustizia verso i diritti e i doveri dei cittadini.
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Lo stato che garantisce una rappresentanza parlamentare corretta e giusta, che non può essere ottenuta se non attraverso una legge elettorale moderna che consenta agli elettori di scegliere i propri rappresentanti al di fuori del controllo del denaro, del fanatismo e delle varie pressioni e renda possibile la più ampia rappresentanza dei vari tessuti popolari libanesi.
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Lo stato che si affida a persone dalle capacità qualificate e senza pregiudizi a prescindere dal loro credo religioso e che imposta meccanismi attivi ed energici per combattere senza compromessi la corruzione e i corruttori nella pubblica amministrazione.
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Lo stato che gode di una autorità giudiziaria indipendente e non politicizzata in cui giudici competenti e senza pregiudizi esercitano il loro critico dovere di diffondere la giustizia tra la gente.
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Lo Stato che basa la sua economia principalmente sui settori produttivi e lavora al loro consolidamento, soprattutto quelli agricolo e industriale, dando loro una quota adeguata nei piani e nei progetti di sviluppo, e sostenendo tutto ciò che conduce al miglioramento dei prodotti e gli strumenti della loro commercializzazione che offrono opportunità di lavoro adeguate e sufficienti soprattutto nelle zone di campagna.
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Lo stato che adotta e applica il principio di uno sviluppo equilibrato tra tutte le regioni e cerca di colmare i divari economici e sociali tra loro.
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Lo stato che si preoccupa per il suo popolo e opera per fornirgli servizi adeguati: istruzione, cure mediche, alloggio, benessere, combattendo la povertà, offrendo opportunità di lavoro...
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Lo stato che si prende cura delle nuove generazioni che crescono, aiuta i giovani a sviluppare le proprie capacità e talenti, li orienta verso obiettivi umanistici e nazionali e li protegge dalla delinquenza e dal vizio.
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Lo stato che opera per consolidare il ruolo delle donne a tutti i livelli nell’ottica di beneficiare delle loro caratteristiche nel rispetto del loro status.
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Lo stato che ha a cuore l'istruzione e lavora per rafforzare le scuole ufficiali e l’Università Libanese a tutti i livelli, applicando il principio dell’insegnamento obbligatorio e gratuito.
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Lo stato che adotta un sistema decentrato che dà ampi poteri amministrativi alle varie unità amministrative (province/distretti/comuni), con l'obiettivo di promuovere lo sviluppo e facilitare gli affari e le transazioni senza consentire la successiva trasformazione di questa decentralizzazione in una sorta di federalismo.
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Lo stato che lavora duramente per arrestare l'emigrazione dei giovani e delle famiglie e il drenaggio di cervelli mediante un piano esaustivo e razionale.
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Lo stato che custodisce i suoi soggetti in tutto il mondo, li protegge e trae beneficio dalle loro posizioni per il servizio della causa nazionale.
La creazione di uno stato basato su queste specifiche e requisiti è il nostro obiettivo e lo scopo di ogni persona libanese onesta e sincera. In Hezbollah, eserciteremo tutti gli sforzi possibili, in cooperazione con le forze popolari e politiche, per raggiungere questo nobile obiettivo nazionale.
Quarto: Il Libano e le relazioni libanesi-palestinesi
Una delle tragiche conseguenze della costruzione dell’entità sionista sulla terra di Palestina e dello spostamento dei suoi abitanti è il problema dei profughi palestinesi che si sono trasferiti in Libano per vivere temporaneamente sul suo territorio come ospiti dei loro compagni libanesi fino a ritornare al loro paese e alle case da dove furono espulsi.
La causa originale e diretta della sofferenza dei libanesi e dei palestinesi è stata in realtà l'occupazione israeliana della Palestina, che ha provocato tragedie e calamità che hanno afflitto i popoli della regione e non solo i palestinesi.
Inoltre, le sofferenze dei profughi palestinesi in Libano non sono limitate al dolore della migrazione forzata, ma sono dovute anche ai selvaggi massacri e alle atrocità israeliane che hanno distrutto uomini ed edifici (come quello che è stato commesso nel Campo di Nabatiyeh, che è stato completamente distrutto), alle difficoltà della vita in campi che mancano delle condizioni minime per un dignitoso benessere, alla privazione di tutti i diritti civili e sociali, alla non assunzione da parte dei governi libanesi succedutisi delle loro responsabilità verso i rifugiati palestinesi.
Questo status quo malsano impone ora alle autorità libanesi di assumersi le proprie responsabilità e, pertanto, edificare relazioni libanesi-palestinesi su basi giuste, solide e legali, che rispettino le norme della giustizia, del diritto e dei giusti interessi di entrambe le nazioni. È imperativo che il rapporto libanese-palestinese non resti disciplinato dai capricci e dagli stati d'animo così come da considerazioni di ordine politico spicciolo, da interazioni interne e interventi internazionali.
Noi crediamo che questa missione possa essere realizzata attraverso i seguenti punti:
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dialogo libense-palestinese diretto;
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invitare i Palestinesi in Libano ad accordarsi su una sola autorità che li rappresenti in questo dialogo, oltrepassando le disparità dello status generale palestinese.
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garantire ai Palestinesi in Libano i loro diritti sociali e civili, che migliorino le loro condizioni umane e salvaguardino la loro personalità, identità e causa.
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impegnarsi per il Diritto al Ritorno e rifiutare i negoziati.
Quinto: il Libano e le relazioni col mondo arabo
Il Libano ha una identità e un’appartenenza araba che considera come una condizione originale naturale nel processo di edificazione sociale libanese.
Inoltre, l’ambito vitale, la geopolitica, la dimensione strategica, le politiche di integrazione regionale e gli interessi nazionali – che sono le specifiche strategiche ed i maggiori interessi della posizione politica del Libano - hanno reso inevitabile per il Libano di impegnarsi per le cause arabe giuste ed eque, fra le quali primeggia la causa palestinese e il conflitto con il nemico israeliano.
Per di più, c'è un urgente bisogno di sforzi concertati per superare i conflitti che attraversano i ranghi arabi. La contraddizione di strategie e la differenza di alleanze, nonostante la loro gravità e intensità, non giustificano le politiche di mirare o impegnarsi in progetti esterni basati sull’aggravare le discordie, incitare al settarismo e agitare i fattori di divisione e di disgregazione, che portano all'esaurimento della nazione e di conseguenza fanno gioco al nemico sionista e rafforzano le trame statunitensi.
Lo sviluppo di praticare una politica che si basa sul limitare o dare ordine ai conflitti ed evitare il loro proliferare in lotte aperte è una scelta degna di essere adottata per maturare un approccio qualitativo responsabile nel trattare le cause panarabe. In quanto tale, cerca di promuovere punti comuni e fornire opportunità per una comunicazione costruttiva pubblica e ufficiale, al fine di ottenere il più ampio quadro di solidarietà al servizio delle nostre cause.
La scelta della Resistenza costituisce ancora una volta la necessità centrale e un fattore obiettivo di rafforzamento della posizione araba e di indebolimento del nemico, a prescindere dalla natura delle strategie o contrattazioni politiche.
Basandosi su tutto ciò che è stato summenzionato, la resistenza non intrapprende alcuna offensiva per generalizzare il risultato di un uso della scelta di resistenza per raggiungere le varie posizioni arabe, a patto che tali risultati siano nel quadro di un indebolimento del nemico e rafforzamento della posizione araba.
In questo contesto, la Siria ha fatto registrare una distintiva fermezza nella lotta con il nemico israeliano, ha sostenuto i movimenti di resistenza nella regione, è stata accanto a noi nelle circostanze più difficili e ha cercato di unificare gli sforzi arabi per garantire gli interessi della regione e affrontare le sfide.
Vogliamo sottolineare come la necessità di stringere notevoli rapporti tra Libano e Siria sia un’esigenza politica, di sicurezza ed economica dettata dai due paesi, dai due popoli, dagli imperativi geopolitici, dai requisiti per la stabilità del Libano e per far fronte alle sfide comuni. Ci appelliamo, inoltre, perché si ponga fine a tutti i sentimenti negativi che hanno intralciato i rapporti bilaterali in questi ultimi anni e queste relazioni ritornino al loro stato normale il più presto possibile.
Sesto: il Libano e le relazioni col mondo islamico
Il mondo arabo e islamico si trova ad affrontare sfide che si estendono per raggiungere la nostra società nelle sue varie componenti, il che rende necessario che noi non ne pregiudichiamo l'efficacia.
In effetti, i conflitti e le tensioni settarie creati artificiosamente, in particolare tra sunniti e sciiti, la creazione di contrasti razziali tra curdi, turcomanni ed arabi e tra iraniani ed arabi... l’intimidire e terrorizzare le minoranze, il continuo drenaggio cristiano dall’Oriente arabo ed in particolare dalla Palestina e dall’Iraq oltre che dal Libano, sono tutti fattori che minacciano la coesione delle nostre società, indebolendo le sue forze e incrementando le difficoltà per una loro rinascita e sviluppo.
Invece di essere una fonte di ricchezza sociale e di vitalità, le diversità confessionali sembrano essere sfruttate come fattori di incitamento alla divisione sociale.
La situazione risultante da tale abuso sembra essere il risultato dell'intersezione di deliberate politiche occidentali - soprattutto americane - e di visioni interne fanatiche ed irresponsabili, oltre che di un ambiente politico instabile.
Sembra inevitabile prendere in considerazione tali fatti. È inoltre necessario elencarli tra le preoccupazioni basilari nelle piattaforme delle forze e dei movimenti essenziali, fra cui sono i movimenti islamici a doversi assumere una particolare responsabilità nell’impegnarsi in queste sfide e affrontare tali crisi.
Hezbollah sottolinea la necessità di cooperare con gli stati islamici ai vari livelli per ottenere la forza di contrastare i progetti di egemonia. Tale cooperazione serve anche ad affrontare l'invasione culturale della comunità e dei media, e incoraggia gli stati islamici a sfruttare le loro risorse per un proficuo scambio tra questi paesi.
In questo contesto, Hezbollah considera l'Iran come uno stato centrale nel mondo islamico, dal momento che è lo stato che ha abbattuto con la sua rivoluzione il regime dello Shah e i suoi preogetti statunitensi-israeliani. È anche lo stato che ha sostenuto i movimenti di resistenza nella nostra regione e che si è schierato con coraggio e determinazione al fianco delle cause arabe e islamiche, fra le quali primeggia la causa palestinese.
La politica della Repubblica Islamica è chiara e ferma nel sostenere la causa primaria, centrale e più importante per gli arabi ed i musulmani, vale a dire la Causa Palestinese. Dopo l'annuncio della vittoria benedetta della rivoluzione sotto la guida del Al Wali Al Faqih Imam Khomeini (possa Allah benedire la sua anima) e la creazione della prima ambasciata palestinese al posto della Ambasciata d'Israele, questo sostegno è continuato in varie forme fino ai giorni nostri sotto la leadership di Al Wali Al Faqih Imam Khamenai (possa Allah prolungare la sua vita). Ciò ha portato a conseguire importanti vittorie per la prima volta nella storia della lotta contro gli aggressori sionisti.
La fabbricazione di contraddizioni nella Repubblica Islamica in Iran da parte di alcuni partiti arabi rappresenta un esempio di autolesionismo e danneggiamento delle cause arabe. Ciò non è utile che ad "Israele" e agli Stati Uniti d'America.
L'Iran, che ha formato il suo credo politico e costruito il suo ambito vitale nell’avere come suo nucleo la causa palestinese, l'ostilità ad "Israele", l’ostacolare le politiche degli Stati Uniti e l’integrazione con l'ambiente arabo e islamico, deve essere trattato con la volontà di cooperare fraternamente. Bisogna confrontarsi con esso su una base di rinascita. Deve essere il centro del bilancio strategico. Deve essere considerato come un esempio di sovranità, indipendenza e libertà che sostiene il progetto moderno di indipendenza arabo-islamica e come una potenza che aumenta la fermezza e la forza degli stati e dei popoli della nostra regione.
Il mondo islamico cresce più forte con le sue coalizioni e la cooperazione tra i suoi stati. Rivendichiamo l'importanza del fare uso degli elementi di forza politici, economici ed umani che esistono in ogni Stato nel nostro mondo islamico, su una base di integrazione e patrocinio e per non essere soggetti a arroganti egemonie.
Ricordiamo l'importanza dell'unità tra i musulmani. Allah il Possente dice nel Sacro Corano: “E aggrappatevi tutti insieme alla corda di Allah e non dividetevi tra voi”. Bisogna stare attenti a tutto ciò che causa discordia tra i musulmani, come le istigazioni settarie, specialmente tra sunniti e sciiti. Scommettiamo sulla consapevolezza dei popoli musulmani nell’affrontare le congiure e le ordalie tessute contro di loro in questa prospettiva.
Settimo: il Libano e le relazioni internazionali
Le norme di disaccordo, conflitto e lotta secondo il punto di vista e l'approccio di Hezbollah si basano primariamente su questioni politiche e morali: tra l'arrogante e il supposto debole, tra l'autorevole e il soggiogato e tra l'occupante arrogante e coloro che chiedono libertà e indipendenza.
Inoltre, Hezbollah ritiene che l'egemonia unilaterale del mondo rovescia l'equilibrio e la stabilità internazionali, nonché la pace e la sicurezza internazionali.
Il sostegno illimitato degli Stati Uniti ad Israele e la sua copertura dell'occupazione israeliana dei territori arabi, oltre al dominio americano delle istituzioni internazionali e al dualismo nell’emissione e nell’implementazione delle risoluzioni internazionali, la politica di interferenze negli affari degli altri Stati, la militarizzazione del mondo e l’adozione del principio delle guerre circolanti nei conflitti internazionali, che provocano disordine e turbolenze in tutto il mondo, hanno posto l'amministrazione americana in una posizione ostile alla nostra nazione ed ai nostri popoli e la rendono in sostanza responsabile di provocare il caos nel sistema politico internazionale.
Per quanto riguarda le politiche europee, esse oscillano tra l'incapacità e l'inefficienza da un lato e la sottomissione ingiustificata alle politiche statunitensi dall'altro, cosa che sta portando in realtà ad annullare la tendenza moderata in Europa a favore dell'interesse della egemonia atlantica con il suo sfondo coloniale.
Essere sottomessi alle politiche statunitensi - in particolare nella fase del loro fallimento storico - è un errore strategico che porterà solo ad altre crisi, complicazioni e ostacoli alle relazioni euro-arabe.
Una particolare responsabilità grava sull’Europa a causa del patrimonio coloniale che ha inflitto alla nostra regione, con danni enormi le cui ripercussioni i nostri popoli stanno ancora soffrendo.
Dato che ci sono popoli europei che hanno lunga storia di resistenza agli invasori, è un obbligo umano e morale dell’Europa, ancor prima di essere un obbligo politico, quello di riconoscere il diritto dei popoli a resistere all'occupante sulla base della distinzione tra resistenza e terrorismo.
Dal nostro punto di vista, i presupposti della stabilità e della cooperazione europea-araba richiedono la costruzione di un approccio europeo più indipendente, giusto ed obiettivo. È impossibile costruire un comune ambito vitale politico e di sicurezza senza questa trasformazione che garantisca di affrontare i difetti che causano le crisi e l’instabilità.
D'altra parte, abbiamo osservato con molta attenzione e rispetto lo sforzo indipendente e libero che si oppone all'egemonia sugli stati latino-americani. Ci sono vasti punti in comune tra i loro progetti ed i progetti dei movimenti di resistenza nella nostra regione, che contribuiscono a costruire un sistema internazionale più equilibrato e giusto.
Tali sforzi sono promettenti a livello internazionale per una identità umana collettiva e un comune background politico e morale. In questo quadro, lo slogan dell’ “l'unità dei supposti deboli” rimane uno dei pilastri della nostra concezione politica per costruire la nostra consapevolezza, le nostre relazioni ed i nostri atteggiamenti verso le cause internazionali.
Capitolo 3: La Palestina ed i negoziati per un accordo
Primo: La Causa Palestinese e l’entità sionista
Sin dalla usurpazione della Palestina e dalla cacciata del suo popolo nel 1948 con il sostegno e l’appoggio delle potenze allora egemoniche, l'entità sionista ha rappresentato una aggressione diretta, un grave pericolo e una minaccia per la sicurezza e la stabilità di tutta la regione araba ed i suoi interessi. I danni non sono limitati solo al popolo palestinese o agli stati e popoli confinanti la Palestina. Le aggressioni, le tensioni e le guerre a cui la nostra regione ha assistito a causa delle tendenze aggressive e delle effettive aggressioni israeliane sono una prova concreta della massiccia oppressione che ha colpito il popolo palestinese, gli arabi ed i musulmani a causa dei crimini contro l'umanità perpetrati dall'Occidente quando ha impiantato questa strana entità nel cuore del mondo arabo e islamico, creando al tempo stesso una violazione aggressiva ed una posizione avanzata per l’arrogante progetto occidentale in generale, e una base per il controllo e l'egemonia pratica sulla regione in particolare.
Il movimento sionista è un movimento razzista a livello sia pratico che teorico. È il prodotto di una mentalità arrogante, opprimente e dominante. Il suo progetto è fondamentalmente un progetto di giudaizzazione mediante espansione degli insediamenti. Ancor di più, l'entità che è stata costituita in base a questo movimento, è cresciuta diventando sempre più forte ed è riuscita a sopravvivere mediante l'occupazione, l'aggressività, i massacri ed il terrorismo, sostenuta ed appoggiata dagli stati coloniali ed in particolare gli Stati Uniti d'America, che sono ad essa legati da un'alleanza strategica che li ha resi un suo vero e proprio partner in tutte le sue guerre, i suoi massacri e le sue pratiche terroristiche.
La lotta in cui noi e la nostra nazione ci siamo impegnati contro il progetto coloniale sionista in Palestina sta adempiendo all'obbligo di autodifesa contro l'occupazione coloniale di Israele, l'aggressione e l'oppressione che minacciano la nostra esistenza e prendono di mira i nostri diritti ed il nostro futuro. Non si basa, da parte nostra, sullo scontro religioso o razziale, semmai è così per i coloni sionisti: il progetto coloniale non ha mai esitato a coinvolgere la religione ed a sfruttare i sentimenti religiosi come mezzo per raggiungere i propri obiettivi e traguardi.
In effetti, la stessa richiesta del presidente degli Stati Uniti Bush, del suo successore Obama e dei leader dell'entità sionista a palestinesi, arabi e musulmani di riconoscere uno "Stato di Israele" ebreo, non è altro che la prova più evidente di ciò.
Il risultato naturale e inevitabile è che questa entità costituita sull’usurpazione vive una crisi esistenziale che preoccupa i suoi dirigenti ed i suoi sostenitori, perché si tratta di un neonato innaturale e di un’entità incapace di vivere e durare e soggetta alla distruzione. Ciò impone la responsabilità storica alla nazione ed ai suoi popoli di non riconoscere questa entità, indipendentemente dalle pressioni e dalle conseguenti sfide. Piuttosto, la nazione ed i suoi popoli devono continuare a lavorare per liberare tutte le terre usurpate e ripristinare tutti i diritti sequestrati, non importa quanto tempo e quanti sacrifici ciò richiederà.
Secondo: Al Qods (Gerusalemme) e la Moschea di Al Aqsa
Il mondo intero è a conoscenza dell’importanza e della santità di Al Qods (Gerusalemme) e della Moschea di Al Aqsa. Al Aqsa è il Primo dei due Kiblah ed è terza solo alle due Moschee Sacre. È la destinazione del viaggio notturno del Profeta (pace su di lui e la sua famiglia). Nessuno tra i musulmani nega il suo grande status come uno dei luoghi più sacri, che ha un profondo rapporto con l'Islam come uno dei più importanti simboli islamici sulla Terra.
La città di Al Qods (Gerusalemme) incarna insieme molti luoghi santi islamici e cristiani, cosa che la rende sublime sia per i musulmani che per i cristiani.
La continua occupazione israeliana della città santa, insieme alle trame ed ai progetti di giudaizzazione, all'espulsione dei suoi abitanti, alla confisca delle loro case e dei loro possedimenti, al suo accerchiamento con quartieri, cinture e blocchi di insediamenti ebraici ed al suo soffocamento con il Muro di Separazione razzista, ed in aggiunta agli incessanti tentativi israeliani e statunitensi di consacrarla come la capitale eterna internazionalmente riconosciuta dell'entità sionista, tutte queste sono misure aggressive che vanno respinte e condannate.
Per di più, le incessanti e ripetute aggressioni pericolose alla benedetta Moschea di Al Aqsa, gli scavi eseguiti in tale area ed i progetti di demolirla costituiscono un serio pericolo reale che minaccia la sua esistenza e sopravvivenza e preannuncia pericolose ripercussioni in tutta la regione.
Sostenere Al Qods (Gerusalemme) e difendere e salvaguardare la Moschea di Al Aqsa è un obbligo religioso e una responsabilità morale e umana che devono essere assunti da ogni persona nobile e libera nella nostra nazione araba e islamica e da tutti i popoli liberi e nobili del mondo.
Ci appelliamo agli arabi edai musulmani a livello pubblico e ufficiale ed a tutti gli stati che hanno a cuore la pace e la stabilità mondiali perchè esercitino ogni sforzo possibile per liberare Al Qods (Gerusalemme) dall'occupazione sionista e per preservare la sua vera identità ed i suoi luoghi sacri islamici e cristiani.
Terzo: La Resistenza Palestinese
Il popolo palestinese, mentre è impegnato nella battaglia di autodifesa e di lotta per ripristinare i propri legittimi diritti nazionali in Palestina - nel suo significato e nella sua posizione geografica storici - sta in realtà esercitando un diritto legittimo approvato e reso necessario dalle missioni divine, dalle leggi internazionali e dai codici e dalle norme umani.
Tale diritto include la resistenza in tutte le sue forme – prima fra tutte la resistenza armata - e con tutti i mezzi che le fazioni della resistenza palestinese sono in grado di utilizzare, in particolare in queste condizioni di squilibrio di forze a vantaggio dell’entità sionista, che è armata con le più avanzate armi di distruzione e che le usa uccidendo, attaccando e distruggendo.
Questi tentativi hanno costituito una prova evidente che non lascia spazio a dubbi, lungo tutto il processo di lotta e di scontro tra la nostra nazione e l'entità sionista sin da quando ha usurpato la Palestina fino ad oggi: l'importanza e l'efficacia della scelta di resistenza jihadista e la lotta armata contro le aggressioni e per liberare le terre, ripristinare i diritti e raggiungere un equilibrio che colmi il divario di superiorità strategica attraverso i ribilanciamenti che la resistenza ha imposto sfruttando le capacità disponibili, la forza di volontà e la determinazione nel campo di battaglia. La miglior prova di ciò sono le vittorie consecutive conseguite dalla resistenza in Libano e le conquiste militari e morali che hanno segnato tutto il suo processo jihadista, in particolare costringendo i sionisti a mettere in scena nel maggio 2000 un massiccio ritiro israeliano dalla maggior parte dei territori libanesi occupati ed il fiasco assoluto dell'esercito sionista nel corso dell’aggressione del luglio 2006, quando la Resistenza ha ottenuto una vittoria divina, storica e strategica che ha cambiato radicalmente la forma della lotta e ha inflitto una sconfitta al nemico israeliano che è la prima del suo genere, poichè ha spazzato via la leggenda dell’esercito imbattibile.
L’altra prova è ciò che ha ottenuto la resistenza in Palestina: conquiste successive che sono iniziate con il tentativo di rivoluzione palestinese, la scelta della resistenza armata che ha adottato, la prima e la seconda Intifada, fino a costringere alla ritirata l’esercito israeliano nel corso del totale ritiro dalla striscia di Gaza nel 2005, un ritiro incondizionato, non conseguente ad alcuna trattativa od accordo e privo di alcun risultato politico, geografico o a livello di sicurezza. Quella è stata la prima grande (a livello geografico) vittoria sul campo di questo tipo. Il significato del fatto che la scelta della resistenza in Palestina sia stata la prima a costringere ad un ritiro israeliano, dovuto alla resitenza all’interno dei confini storici della Palestina, è molto importante a livello strategico nel processo di lotta tra noi e l'entità sionista. Per di più, la brillante fermezza del popolo palestinese in lotta e la sua resistenza a Gaza contro il nemico sionista nel 2008, sono una lezione per le generazioni a venire e un avvertimento per gli invasori e gli aggressori.
Se questa è stata l'efficienza della resistenza in Libano e Palestina, qual è stata l'efficienza della scelta dei negoziati e degli accordi? Quali sono gli esiti, gli interessi ed i risultati ottenuti dai negoziati in tutte le loro fasi e attraverso tutti gli accordi conclusi? Non sono forse una maggiore arroganza e posizione dominante israeliana, e maggiori condizioni, interessi e conquiste a vantaggio di Israele?
Come abbiamo sottolineato il nostro sostegno permanente e fermo al popolo ed alla causa palestinese con i suoi dati storici, geografici e politici, così rimarchiamo definitivamente e decisamente il nostro sostegno e supporto a questo popolo ed ai movimenti di resistenza palestinesi ed alla loro lotta contro il progetto israeliano.
Quarto: I negoziati per un accordo
La nostra posizione nei confronti del processo di negoziazione e degli accordi prodotti dai negoziati di Madrid (l’“Accordo di Wadi Arabah”) con le sue appendici, degli “Accordi di Oslo” con le loro appendici e prima ancora dell’“Accordo di Camp David” con le sue appendici è sempre stata e sempre sarà quella di un rifiuto assoluto al principio stesso di un accordo con l'entità sionista che si basi sul riconoscimento della legittimità all'esistenza di questa entità e sulla rinuncia a suo favore alle terre che ha usurpato alla Palestina araba ed islamica.
Questa nostra posizione è una posizione finale, definitiva e permanente, che non è oggetto di negoziazione o ritiro, anche se il mondo intero dovesse riconoscere "Israele".
Perciò, in nome della fratellanza e della responsabilità, ci appelliamo a tutte le autorità arabe perchè si impegnino a rispettare le scelte del loro popolo, riconsiderando la scelta dei negoziati e rivedendo i risultati degli accordi conclusi con il nemico sionista, in modo da abbandonare in modo decisivo e definitivo il processo illusorio verso una soluzione di oppressione che viene falsamente chiamato "processo di pace"; in particolare coloro che hanno trattato credendo nel ruolo dei governi statunitensi succedutesi di partner o mediatori imparziali e giusti per il processo, hanno visto senza dubbi che sono venuti meno a tale ruolo, hanno esercitato pressioni su di loro o addirittura li hanno ricattati. Anche questa amministrazione statunitense ha dimostrato ostilità verso i loro popoli, le loro cause ed i loro interessi, e si è schierata totalmente ed apertamente con il suo alleato strategico, l'entità sionista.
Per quanto riguarda l'entità sionista con cui ritengono di poter fare pace, ha dimostrato in tutte le fasi dei negoziati che non cerca od auspica la pace. Piuttosto, sta sfruttando i negoziati per imporre le sue condizioni, promuovere la sua posizione, ottenere i propri interessi e rompere l'ostilità e il blocco psicologico dei loro popoli verso di sè. Per conseguire ciò, mira ad una aperta normalizzazione ufficiale e pubblica, che renda possibile la convivenza naturale e la sua integrazione nel sistema regionale e la imponga come uno status quo nella regione, che quindi la dovrebbe accettare e dovrebbe riconoscere la sua legittimità all'esistenza, dopo averle lasciato le terre palestinesi che ha usurpato.
Perciò chiediamo, ci aspettiamo e ci auguriamo che tutti gli arabi ed i musulmani, a livello ufficiale e pubblico, possano considerare nuovamente la Palestina e Al Qods (Gerusalemme) come la loro causa centrale, attraverso cui possano unirsi tutti ed impegnarsi a liberarla dalla abominevole ed oppressiva occupazione sionista. Ci auguriamo che espletino i loro obblighi religiosi, fraterni ed umani nei confronti dei loro santuari in Palestina e del suo popolo oppresso, che gli forniscano tutti i mezzi di sostegno per salvaguardare la fermezza del popolo palestinese, che gli consentano di proseguire nella sua resistenza e rifiutino e facciano fallire tutti i piani di normalizzazione con il nemico sionista e rispettino il diritto al ritorno per tutti i rifugiati palestinesi alle loro terre ed alle loro case da cui sono stati espulsi, rifiutino decisamente tutte le proposte alternative senza possibilità di accordi, risarcimenti o compensazioni…, si attivino immediatamente per la revoca dell'assedio imposto al popolo palestinese ed in particolare dell'assedio totale sulla Striscia di Gaza e adottino la causa degli oltre 11 mila prigionieri nelle carceri israeliane e mettano in opera piani per liberarli.
Conclusione
Questi sono i nostri punti di vista e le nostre aspettative. Nel delinearli, abbiamo cercato di appellarci alla giustizia ed alla verità. Queste sono le nostre posizioni ed i nostri impegni. Abbiamo cercato, nel definirli, di essere delle persone leali, sincere e fiduciose nella giustizia, che parlano chiaro, difendono la giustizia e si sacrificano per ottenerla, fino al martirio. Noi non ci aspettiamo altro, nel farlo, che l'approvazione del nostro Creatore e Dio, il Signore degli Orizzonti e della Terra. Non ci aspettiamo che di migliorare il nostro popolo e la nostra nazione ed il loro benessere e la felicità in questo Mondo e nell'Aldilà.
O Allah! Tu sai che non lo abbiamo fatto per competere per il potere o andare in cerca di relitti mondani. Solo per rilanciare la giustizia e battere la menzogna, per difendere i nostri schiavi oppressi e diffondere la giustizia nella Tua terra, in cerca della Tua approvazione e cercando di avvicinarci a Te. Per questo i nostri martiri sono stati onorati con il martirio e per questo andiamo avanti e continuiamo la nostra lotta e la nostra jihad, e Tu ci ha promesso uno dei due lieto fine: la vittoria o essere onorati dalla riunione con Te, tinti del nostro sangue.
La nostra promessa a Te, Nostro Signore, e a tutti i Tuoi schiavi oppressi è quella di essere sempre uomini sinceri, che mantengono i loro giuramenti, ed attendono il loro compimento fermamente e senza esitazioni.
martedì 21 settembre 2010
Nel giorno dei funerali a Roma del tenente Romani, ucciso in battaglia in Afghanistan la settimana scorsa, ieri Falco Accame, presidente dell'Associazione nazionale assistenza vittime arruolate nelle forze armate e famiglie dei caduti ha dichiarato «Se quella in Afghanistan fosse considerata una guerra, agli orfani e alle vedove spetterebbero i trattamenti previsti per una situazione di guerra. L'ipocrisia con cui mascheriamo come operazioni di pace quelle che sono operazioni di guerra fa sì che si adotti il codice di pace e che quindi non si abbia il dovuto risarcimento per le vittime, che in condizioni di guerra ricevono trattamenti molto più adeguati».
ilmanifesto.it
mercoledì 14 luglio 2010
www.mondialisation.ca/
I bombardamenti e l'invasione dell'Afghanistan nel 2001, sono stati presentati all'opinione pubblica mondiale come una guerra giusta, una guerra contro i talebani e Al Qaeda, una guerra per eliminare il "terrorismo islamico" e stabilire una stile democrazia occidentale.
La dimensione economica della "guerra globale al terrore" (GWOT) sono raramente menzionati e la "campagna contro il terrorismo" post 11 settembre è servito a nascondere i veri obiettivi della guerra degli Stati Uniti e la NATO.
La guerra contro l'Afghanistan è un programma a scopo di lucro: è una guerra di conquista e di saccheggio economico, una guerra delle risorse ".
Anche se l'Afghanistan è riconosciuto come un focus strategico in Asia centrale fino ai confini dell'ex Unione Sovietica, Cina e Iran al centro delle autostrade, gasdotti e grandi riserve di petrolio e gas naturali, le sue enormi ricchezze minerarie e le sue riserve di gas naturale non sfruttate rimasta completamente sconosciuta al pubblico americano fino al giugno del 2010.
Secondo un rapporto congiunto del Pentagono, l'Unione Sportiva Geological Survey (USGS) e USAID, si dice che l'Afghanistan oggi ha certamente risorse minerali e "finora sconosciuto, stimati a un miliardo di conclusivamente di dollari. (New York Times, U. S. Identifica Vasto minerale ricco in Afghanistan - NYTimes.com , 14 GIUGNO 2010. Vedi anche BBC, 14 Giugno 2010).
"L'ignoto depositi in precedenza, tra cui vene gigante di ferro, rame, cobalto, oro e metalli industriali come il litio cruciale, sono così grandi e così contenere molti minerali essenziali per i rappresentanti dell'industria moderna i cittadini americani credono che l'Afghanistan potrebbe alla fine essere trasformato in uno dei centri minerari più importanti del mondo.
Una nota interna del Pentagono indica, per esempio, che l'Afghanistan potrebbe diventare "l'Arabia Saudita del litio, una materia prima fondamentale per la fabbricazione di batterie per computer portatili e BlackBerry.
La ricchezza minerale parte di quelli in Afghanistan, è stato scoperto da una piccola squadra di funzionari del Pentagono e gli americani geologi. Il governo afghano Hamid Karzai e il Presidente sono stati informati di recente, ha detto che i funzionari americani
Anche se lo sviluppo di una industria estrattiva può richiedere molti anni, il potenziale è così grande che i funzionari e leader del settore ritengono che potrebbe attrarre investimenti significativi anche prima che le miniere sono redditizie, creare posti di lavoro potrebbe distrarre una popolazione in guerra da generazioni.
"Vi è un potenziale sensazionale," ha detto il generale David H. Petraeus, comandante del Comando Centrale degli Stati Uniti [...] "Ci sono molti" se ", naturalmente, ma penso che questa è potenzialmente molto importante"
Il valore dei depositi di minerali di recente scoperta riduce al minimo le dimensioni della attuale economia afghana, sprecato dalla guerra e in gran parte basato sulla produzione di oppio e il traffico di stupefacenti, nonché l'assistenza da parte degli Stati Uniti e gli altri paesi industrializzati. Il prodotto interno lordo dell'Afghanistan è solo di circa 12 miliardi di dollari.
"Questa diventerà la spina dorsale dell'economia afghana", ha detto Jalil Jumriany, consigliere del ministro delle Miniere afgano. (New York Times, op. cit.) (New York Times, op. Cit.)
Il New York Times, l'Afghanistan potrebbe diventare « l'Arabie Saoudite du lithium ». "L'Arabia Saudita del litio. "Il litio è una risorsa più critica, usato nelle batterie di tutti i generi, dai telefoni cellulari ai computer portatili, e svolge un ruolo chiave nel futuro delle auto elettriche". Attualmente, Cile, Australia, Cina e Argentina sono i principali fornitori di litio sul mercato mondiale. Bolivia e Cile sono i paesi con le maggiori riserve conosciute di litio.
"Il Pentagono sta conducendo le indagini sul campo in Afghanistan occidentale." Funzionari del Pentagono ha detto loro prima analisi in una località nella provincia di Ghazni ha dimostrato il potenziale dei giacimenti di litio grandi come quelli di Bolivia ( Unione Sportiva Identifica Vasta minerale ricco in Afghanistan - NYTimes.com , 14 giugno 2010, si veda anche Li - Wikipedia, l'enciclopedia libera )
«Depositi di minerali precedentemente sconosciuti" in Afghanistan
La "stima" di "depositi precedentemente sconosciuto" a quasi un miliardo di dollari dal Pentagono è una cortina fumogena utile. L'importo di un miliardo di avanzata dal Pentagono, che ha stimato di più battuto: "Sapevamo che c'era, abbiamo avuto un occhio veloce e si chiese che cosa sarebbe oggi in termini di denaro. L'importo di un miliardo sembrava degno di menzione nelle notizie. "(The Times Domenica, Londra, 15 giugno 2010, è autore l'accento che la)
Inoltre, i risultati di uno studio del USGS (citata nella nota del Pentagono), sulla ricchezza minerale dell'Afghanistan sono stati rivelati tre anni fa in una conferenza organizzata nel 2007 dalla Camera di commercio americana e Afghanistan . Tuttavia, la questione della ricchezza minerale non è stata considerata degna di essere riportata alla stampa al momento.
Quello che il governo degli Stati Uniti riconosce che sia venuta a conoscenza della vasta ricchezza mineraria del paese dopo la pubblicazione del rapporto 2007 del USGS è una palese schiva. I minerali e le risorse energetiche in Afghanistan (compreso il gas naturale) erano note sia le élite degli affari e americani prima che il governo sovietico-afgana Guerra (1979-1988).
Studi geologici condotti dall'Unione Sovietica negli anni 1970 e 1980, primi confermare l'esistenza di grandi riserve di rame (tra le più grandi in Eurasia), il minerale di ferro con alto tenore di cromo, uranio, berillio, bario, il piombo, zinco, fluorite, bauxite, litio, tantalio, smeraldo, oro e argento (Afghanistan, di data mining di revisione annuale, La Gazzetta Mining, giugno 1984). Questi studi suggeriscono che il valore attuale di tali riserve potrebbero infatti essere notevolmente superiore al "preventivo" di un miliardo di dollari annunciato dal Pentagono studio, USGS e USAID.
Più di recente, in una relazione del 2002, il Cremlino ha confermato quanto era già noto: "Non è un segreto che l'Afghanistan ha riserve ricche, in particolare del rame Aynak deposito di minerale di ferro Khojagek, l'uranio, minerale polimetallici, petrolio e gas "(RIA Novosti, 6 Gennaio 2002)
"L'Afghanistan non è mai stato una colonia di nessuno: nessuno straniero è mai" scavato "qui prima del 1950. I minerali si trovano tra le montagne dell'Hindu Kush, che si estende, con i loro piedi, una vasta area in Afghanistan. Negli ultimi 40 anni, varie decine di depositi sono stati scoperti nel paese e la maggior parte di queste scoperte sono stati sensazionali. Essi sono, tuttavia, è rimasto segreto, ma alcuni fatti sono ancora stati resi pubblici di recente.
Il se trouve que l'Afghanistan possède des réserves de métaux ferreux et non-ferreux, et de pierres précieuses qui, si elles étaient exploitées, pourraient possiblement même remplacer les revenus de l'industrie de la drogue. E 'che l'Afghanistan ha riserve di sassi ferrosi e non ferrosi e preziosi, se sfruttate, potrebbero anche sostituire gli introiti provenienti dal settore della droga. On dit du gisement de cuivre d'Aynak au sud de la province d'Helmand qu'il est le plus grand du continent eurasien et son emplacement (à 40 km de Kaboul) rend son exploitation bon marché. Ha detto che il deposito di rame Aynak sud della provincia di Helmand, che è il più grande del continente eurasiatico e la sua posizione (40 km da Kabul) fa il suo buon uso. Le gisement de minerai de fer à Hajigak, dans la province centrale de Bamian, offre pour sa part du minerai d'une très grand qualité et dont les réserves sont estimées à 500 000 tonnes. Il deposito di minerale di ferro Hajigak nella provincia centrale di Bamian, offre la propria quota di minerale di grande qualità e le cui riserve sono stimate a 500.000 tonnellate. Un gisement de charbon a également été découvert non loin de là. Un deposito di carbone è stato scoperto nelle vicinanze.
On dit de l'Afghanistan qu'il est un pays de transit pour le pétrole et le gaz. Toutefois, peu de gens savent que les spécialistes soviétiques y ont découvert d'énormes réserves de gaz dans les années 1960 et ont construit le premier gazoduc du pays pour approvisionner l'Ouzbékistan . Si dice che l'Afghanistan è un paese di transito di petrolio e gas. Tuttavia, pochi sanno che gli esperti sovietici hanno trovato enormi riserve di gas nel 1960 e costruito il primo oleodotto il paese a fornire Uzbekistan. À l'époque, l'Union Soviétique recevait annuellement 2,5 billion de mètres cube de gaz afghan. Al momento, l'Unione Sovietica ha ricevuto ogni anno 2.500 miliardi di metri cubi di gas in Afghanistan. Durant cette même période, on a découvert d'importants gisements d'or, de fluorine, de baryte et de marbre onyx d'une composition très rare. Durante questo stesso periodo, si è scoperto grandi depositi di oro, fluorite, barite e onice composizione in marmo molto rara.
Cependant, les gisements pegmatitiques découverts à l'est de Kaboul sont véritablement sensationnels. Tuttavia, i depositi pegmatitici trovato a est di Kabul sono davvero sensazionali. Des gisements de rubis, de béryllium, d'émeraude, de kunzite et d'hiddénite que l'on ne trouve nulle part ailleurs s'étendent sur des centaines de kilomètres. Depositi di rubini, berillio, smeraldo, Kunzite Hiddenite e che non possono trovare altrove tratto centinaia di chilometri. Par ailleurs, les pierres contenant les métaux rares que sont le béryllium, le thorium, le lithium et le tantale sont d'une importance stratégique (on les utilise dans la fabrication d'aéronefs et d'astronefs). Inoltre, rocce, contenenti metalli rari come il berillio, il torio, litio e tantalio sono di importanza strategica (sono usati nella fabbricazione di aeromobili e veicoli spaziali).
La guerre en vaut la peine (Olga Borisova, "Afghanistan - the Emerald Country", Karavan, Almaty, original en russe, traduit par BBC News Services, 26 avril 2002. p. 10, c'est l'auteur qui souligne.) La guerra è la pena (Olga Borisova, "Afghanistan - il paese di Smeraldo", Karavan, Almaty, in originale russo, tradotto da BBC News Service, 26 aprile 2002. P. 10, enfasi aggiunta.)
Alors qu'on a nourri l'opinion publique d'images d'un pays en développement déchiré par la guerre et sans ressources, la réalité est tout autre : l'Afghanistan est un pays riche tel que le confirment les études géologiques de l'ère soviétique. Poi hanno alimentato l'immagine pubblica di un paese in via di sviluppo lacerato dalla guerra e senza risorse, la realtà è ben diversa: l'Afghanistan è un paese ricco come gli studi geologici confermano l' dell'era sovietica.
La question des « gisements jusqu'alors méconnus » perpétue un mensonge. La questione delle "sorgenti precedentemente sconosciuto" perpetua una bugia. La grande richesse minérale est exclue d'un casus belli justifiable. La ricchezza minerale vasto è governato un casus belli giustificabile. Cet énoncé affirme que le Pentagone a seulement appris récemment que l'Afghanistan faisait partie des pays les plus riches en ressources minérales et qu'il est comparable à la République démocratique du Congo ou l'ex-Zaïre du temps de Mobutu. Questa dichiarazione afferma che il Pentagono ha da poco appreso che l'Afghanistan è stato uno dei paesi più ricchi di risorse minerarie ed è paragonabile alla Repubblica democratica del Congo o dello Zaire Mobutu tempo. Les rapports géopolitiques soviétiques étaient connus. Le relazioni sovietico geopolitiche, sono noti. Durant la guerre froide, toute cette information était avouée dans les moindres détails : Durante la Guerra Fredda, tutte queste informazioni è stata ricoverata in più piccoli dettagli:
[...] Lors de l'exploration soviétique à grande échelle, de superbes cartes géologiques ont été produites ainsi que des rapports dressant la liste de plus de 1400 affleurements minéraux et d'environ 70 gisements commercialement viables […] L'Union Soviétique a par la suite consacré plus de 650 millions de dollars à l'exploration et au développement de ressources en Afghanistan avec des projets incluant une raffinerie de pétrole capable de produire un demi million de tonnes annuellement, ainsi qu'un complexe métallurgique pour le gisement d'Aynak, lequel devait produire 1,5 millions de tonnes de cuivre par an. [...] Durante la navigazione su larga scala Sovietica, superbo carte geologiche sono stati prodotti e che le relazioni di cui oltre 1.400 minerali affioramenti di più e circa 70 depositi commercialmente praticabile [...] L'Unione Sovietica successivamente ha speso più di 650 milioni dollari per l'esplorazione e sviluppo delle risorse in Afghanistan con progetti che includono una raffineria di petrolio in grado di produrre mezzo milione di tonnellate all'anno, e un complesso metallurgico orebody 'Aynak, che producono 1,5 milioni di tonnellate di rame all'anno. Dans la foulée du retrait des Soviétiques, une analyse subséquente de la Banque mondiale projetait que la production de cuivre d'Aynak pourrait éventuellement absorber annuellement à elle seule jusqu'à 2 % du marché mondial. Dopo il ritiro sovietico una successiva analisi della Banca Mondiale prevede che la produzione di rame Aynak potrebbero assorbire annualmente da solo fino al 2% del mercato globale. Le pays jouit par ailleurs d'énormes gisements de charbon, dont l'un d'eux, le gisement de fer d'Hajigak dans la chaîne de montagnes de l'Hindu Kush à l'ouest de Kaboul, est jugé comme étant l'un des plus grands gisements à teneur élevée au monde. Il paese ha anche enormi giacimenti di carbone, uno di loro, i depositi di ferro del Hajigak nelle montagne dell'Hindu Kush a ovest di Kabul, è considerato come il uno dei più grandi depositi di alta qualità nel mondo. (John CK Daly, Analysis: Afghanistan's untapped energy, UPI Energy, 24 octobre 2008, c'est l'auteur qui souligne) (CK John Daly, Analisi: l'energia non sfruttate in Afghanistan, UPI Energia, 24 ottobre 2008, è enfasi dell'autore)
Le gaz naturel afghan Afghan gas naturale
L'Afghanistan est un pont terrestre. L'Afghanistan è un ponte di terra. L'invasion et l'occupation de l'Afghanistan menée par les États-Unis en 2001 a été analysée par des critiques de la politique étrangère étasunienne comme un moyen de sécuriser le contrôle du couloir de transport stratégique transafghan, liant le bassin de la mer Caspienne et la mer d'Oman. L'invasione e occupazione di Afghanistan guidata dagli Stati Uniti nel 2001 è stato analizzato dai critici della politica estera degli Stati Uniti come un mezzo per assicurarsi il controllo del corridoio di trasporto transafghan strategica, che collega Bacino del Mar Mar Caspio e del Mare Arabico.
Plusieurs projets de pipelines et de gazoducs transafghans ont été envisagés, dont le projet de pipeline TAPI (Turkménistan, Afghanistan, Pakistan, Inde) de 1900 km et d'une valeur de 8 milliards de dollars, lequel transporterait le gaz naturel turkmène par l'Afghanistan dans ce que l'on a décrit comme un « couloir de transit crucial ». Diversi progetti di gasdotti e gasdotti transafghans sono state considerate, tra cui il gasdotto TAPI (Turkmenistan, Afghanistan, Pakistan e India) del 1900 e un valore di 8 miliardi di dollari, che sarebbe il trasporto del gas naturale turkmeno da Afghanistan in quella che fu descritto come un "corridoio di transito vitale». (Voir Gary Olson, Afghanistan has never been the 'good and necessary' war; it's about control of oil, The Morning Call, 1 er octobre, 2009). (Cfr. Gary Olson, l'Afghanistan è mai stato la 'buona e' guerra necessaria, si tratta di controllo del petrolio, la chiamata di mattina, 1 ottobre 2009). L'escalade militaire dans le cadre de la guerre étendue d'« Afpak » est liée au TAPI. L'escalation militare nella guerra estesa a "Afpak" è legato al TAPI. Le Turkménistan possède la troisième plus grande réserve de gaz naturel après la Russie et l'Iran. Il Turkmenistan ha la terza più grande riserva naturale di gas dopo la Russia e l'Iran. Le contrôle stratégique des voies de transport sortant du Turkménistan fait partie des plans de Washington depuis l'effondrement de l'Union Soviétique en 1991. il controllo strategico delle vie di fuori del Turkmenistan è uno dei piani di Washington dopo il crollo dell'Unione Sovietica nel 1991.
Cependant, on a rarement considéré dans la géopolitique des pipelines que l'Afghanistan est non seulement voisin de pays riches en pétrole et en gaz naturel, (par exemple le Turkménistan), mais qu'il possède aussi sur son territoire d'assez grandes réserves inexploitées de gaz naturel, de charbon et de pétrole. Tuttavia, è stato raramente visto nella geopolitica dei gasdotti che l'Afghanistan non è solo dei paesi vicini ricchi di petrolio e gas naturale (ad esempio, Turkmenistan), ma ha anche nel suo territorio grandi riserve sufficienti gas naturale non sfruttate, carbone e petrolio. Dans les années 1970, les Soviétiques évaluaient « les réserves gazières afghanes "explorées" (confirmées ou probables) à environ 5 billions de pieds cube. Nel 1970, i sovietici è stato votato "riserve di gas afghano esplorato" (confermato o probabile) di circa 5 miliardi di metri cubi. Les réserves initiales d'Hodja-Gugerdag étaient évaluées à un peu moins de 2 billions de pieds cube » (Voir, The Soviet Union to retain influence in Afghanistan, Oil & Gas Journal, 2 mai, 1988). riserve iniziali di Nasreddin-Gugerdag sono state stimate a poco meno di due miliardi di piedi cubi (V., L'Unione Sovietica a conservare influenza in Afghanistan, Oil & Gas Journal, 2 maggio 1988).
L'Agence d'Information sur l'Énergie (Energy Information Administration ou EIA) a reconnu en 2008 que les réserves de gaz naturel d'Afghanistan sont « substantielles » : L'agenzia di informazione sull'energia (Energy Information Administration o EIA) ha riconosciuto nel 2008 che le riserve di gas naturale in Afghanistan sono "sostanziale":
« Puisque le nord de l'Afghanistan est "une extension du sud du bassin centrasiatique très fécond d'Amu Darya, susceptible de contenir du gaz naturel", l'Afghanistan possède des réserves de gaz naturel confirmées et probables d'environ 5 billions de pieds cube. » (UPI, John CK Daly, Analysis: Afghanistan's untapped energy, 24 octobre, 2008) "Come nord dell'Afghanistan è" l'estensione del bacino meridionale dell'Asia centrale di Amu Darya molto produttivo, che possono contenere gas naturale ", l'Afghanistan ha confermato le riserve di gas naturale e probabile circa 5.000 miliardi piedi cubici. "(UPI, CK John Daly, Analisi: l'energia non sfruttate in Afghanistan, 24 ottobre 2008)
Dès le début de la guerre soviéto-afghane en 1979, l'objectif de Washington a été de conserver un point d'ancrage géopolitique en Asie centrale. Fin dall'inizio della guerra in Afghanistan nel 1979, l'obiettivo di Washington era quello di mantenere un punto di appoggio nella geopolitica dell'Asia Centrale.
Le trafic de drogue du Croissant d'or Il traffico di droga dalla Mezzaluna d'Oro
La guerre clandestine des États-Unis, à savoir son soutien aux moudjahidines, « combattants de la liberté » (alias Al Qaida), était également destinée au développement du trafic des opiacés du Croissant d'or, utilisé par les services de renseignement étasuniens afin de financer l'insurrection contre les Soviétiques [1]. La guerra segreta degli Stati Uniti, vale a dire il suo sostegno Mujahadeen "combattenti per la libertà" (conosciuto anche come Al Qaeda), è stato anche finalizzato allo sviluppo del traffico di oppiacei dalla Mezzaluna d'Oro, che viene utilizzato dai servizi segreti americani per per finanziare l'insurrezione contro i sovietici [1].
Instauré au début de la guerre soviéto-afghane et protégé par la CIA, le trafic de drogue est devenu au fil des ans une entreprise extrêmement lucrative de plusieurs milliards de dollars. Introdotto all'inizio della guerra sovietico-afgana e protetti dalla CIA, il traffico di droga è diventata nel corso degli anni in un business altamente lucrativo di diversi miliardi di dollari. Il s'agissait de la pierre angulaire de la guerre clandestine étasunienne dans les années 1980. E 'stata la pietra angolare della guerra segreta degli Stati Uniti nel 1980. Aujourd'hui, sous l'occupation militaire des États-Unis et de l'OTAN, le trafic de drogue génère des revenus monétaires de plus de 200 milliards de dollars dans les marchés occidentaux. Oggi, sotto l'occupazione militare degli Stati Uniti e della NATO, il traffico di droga genera entrate di cassa di oltre 200 miliardi dollari nei mercati occidentali. (Voir Michel Chossudovsky, America's War on Terrorism, Global Research, Montreal, 2005, voir aussi Michel Chossudovsky, Heroin is "Good for Your Health": Occupation Forces support Afghan Narcotics Trade , Global Research, 29 avril 2007) (Si veda Michel Chossudovsky, America's War on Terrorism, Global Research, Montreal, 2005, vedi anche Michel Chossudovsky, eroina è "buono per la salute": Professione forze di appoggio afghano commercio degli stupefacenti , Global Research, 29 aprile 2007)
Verso una economia di rapina
In coro, i media statunitensi hanno confermato che la "recente scoperta" delle risorse minerarie in Afghanistan è una "soluzione" allo sviluppo dell'economia, decimata dalla guerra e un mezzo per sradicare la povertà. L'invasione degli Stati Uniti e della NATO nel 2001 e l'occupazione, ha spianato la strada per l'appropriazione di ricchezza mineraria e da conglomerati di energia West.
La guerra contro l'Afghanistan è una "guerra delle risorse" a scopo di lucro
Sotto l'occupazione degli Stati Uniti e alleati, questa ricchezza di minerali è destinato ad essere saccheggiato da una manciata di conglomerati multinazionali minerarie volta che il paese è pacificato. Secondo gli scritti di Olga Borisova dopo l'invasione nel mese di ottobre 2001 "guerra contro il terrorismo" condotta dagli Stati Uniti, "[si trasformerà] nella politica coloniale di un paese influenzano enormemente ricco". (Borisova, op cit). (Borisova, op cit).
Parte del piano degli Stati Uniti e la NATO è inoltre prima o poi prendere possesso di riserve di gas naturale in Afghanistan e prevenire lo sviluppo di interessi energetici russi, l'Iran e la Cina nel paese.
Per vedere la mappa delle risorse minerali, clicca qui .
Nota
1. Il traffico di oppiacei dalla Mezzaluna d'Oro è ormai il fulcro dell'economia di esportazione dell'Afghanistan. Il traffico di eroina, istituito presso l'inizio della guerra in Afghanistan nel 1979 e protetti dalla CIA, genera un reddito di cassa superiore a 200 miliardi all'anno in mercati occidentali. Dall'invasione del 2001, la produzione di stupefacenti in Afghanistan è aumentata di oltre 35 volte. Nel 2009, la produzione di oppio pari a 6.900 tonnellate, rispetto a meno di 200 tonnellate nel 2001. A questo proposito, il fatturato di diversi miliardi di dollari derivanti dalla produzione di oppio afghano sono generati in gran parte al di fuori del paese. Secondo i dati delle Nazioni Unite, i ricavi da traffico di droga indietro per l'economia locale sono l'ordine da 2 a 3 miliardi di euro all'anno, rispetto a tutto il mondo le vendite di eroina da oppiacei illeciti afghana, che superano 200 miliardi. ( (Si veda Michel Chossudovsky, Guerra America's al Terrorismo ", Global Research, Montreal, 2005)
Articolo originale inglese, "La guerra è Worth Waging" Afghanistan Le riserve di minerali e gas naturale, la guerra in Afghanistan è orientato al profitto "Resource War", pubblicato 16 giugno 2010.
Traduzione a cura di Julie Lévesque Mondialisation.ca .
Michel Chossudovsky è direttore del Centro per la Ricerca sulla Globalizzazione e Professore di Economia all'Università di Ottawa. Egli è l'autore di Guerra e globalizzazione, la verità dietro 11 settembre e la globalizzazione della povertà e il Nuovo Ordine Mondiale (best-seller internazionale pubblicato in 12 lingue).
lunedì 14 giugno 2010
ilribelle.com
Al momento nel quale andiamo in stampa, se non già da tempo, dovrebbe essere chiaro a tutti - e certamente lo è ai lettori del Ribelle - che le misure prese - meglio, non prese - dai vari governi e soprattutto a livello europeo per tentare in qualche modo di superare lo stato di crisi nel quale abbiamo iniziato a entrare decisamente da qualche anno, non sono adatte alla situazione. Di più, sono nella migliore delle ipotesi insufficienti ma, molto più probabilmente, del tutto controproducenti.
Finanza e politica a essa collegata - e di converso tutti noi che subiamo e l'una e l'altra senza poter fare nulla - si sono buttate a capofitto nel creare l'ultima bolla possibile per cercare, per un po' di tempo, di mantenere in piedi una impalcatura sistemica destinata matematicamente al collasso. Il che significa esattamente l'opposto di ciò che chi guida i popoli dovrebbe fare. A misure di lungo corso, sebbene drastiche, si è preferito utilizzare manovre di piccolo cabotaggio. La maggior parte di queste, peraltro, sulle spalle di tutti i cittadini.
Parliamo naturalmente della bolla del debito pubblico della quale abbiamo già accennato lo scorso mese.
Tutti i Paesi sono indebitati con Banche e altri Paesi che hanno acquistato i titoli. La ratio alla base dei titoli pubblici venduti promettendo interesse è la fede nel fatto che in un futuro non meglio precisato, vi sia così tanta crescita economica da poter non solo ripagare i debiti contratti, ma anche gli interessi.
Si dà il fatto, però, che oltre a varare politiche di portata mondiale, in pratica, su un atto di fede, la cosa non possa funzionare per due motivi, il primo logico il secondo matematico. La parte logica impone convincersi che non si può crescere all'infinito in uno spazio finito. La parte matematica che non è possibile, in una direttrice in evidente discesa, sperare in una non meglio precisata - e infatti non è precisata affatto - ripresa dell'economia al fine non solo di far cambiare direzione verso un segno positivo della crescita, ma talmente tanto da poter ripagare anche i debiti e gli interessi sui debiti.
A questo si aggiunge che, nello stesso momento in cui si parla ormai tranquillamente - ah, gli ultimi arrivati... - di crisi sistemica, ciò che si fa non è, come logica vorrebbe, il varo di norme in grado di cambiare il sistema, quanto continuare imperterriti a fare né più né meno di ciò che si è sempre fatto e che ha portato al collasso attuale.
Si sa - scrive Serge Latouche - che i drogati siano i primi sostenitori della droga. Ma il fatto è che ciò comporta conseguenze anche per chi dalla "droga" vorrebbe stare alla larga.
Naturalmente, questa l'aggravante, al sistema si sacrifica tutto. La vita e il futuro delle persone che attualmente vivono sulla faccia della terra e quelle che verranno dopo di noi. A vantaggio, naturalmente, dei soliti noti.
La stessa Bce presta alle Banche tutto il denaro di cui fanno richiesta al solo 1% di interesse, ciò non gli impedisce, però, di prestarlo alla Grecia al 6%. Come dire, naturalmente, il favore lo faccio alle Banche, alle quali presto denaro a costo irrisorio, mentre ai cittadini greci (ed europei in genere) cerco di succhiare tutto il succhiabile, per via diretta o per via indiretta.
A chiudere il cerchio, per chi fosse ancora poco convinto di quanto scritto, il fatto che sperare in una ripresa economica quando le economie private sono in profonda crisi (tagli degli stipendi, dei servizi, disoccupazione, crisi sociale) grazie a dove ci ha portato il sistema, e grazie ai tagli che "l’Europa" impone ai vari Stati per uscire dalla crisi del debito che il sistema stesso crea, è un po' come sperare che partendo da Roma si arrivi a Milano, in automobile, quando la velocità di crociera cala, il serbatoio è agli sgoccioli, e i distributori sono chiusi oppure non ci venderanno un solo litro di benzina perché materialmente non abbiamo il denaro per acquistarlo.
Un atto di fede, appunto, più adatto a un pellegrinaggio che a una direttrice politica.
Le misure da prendere sarebbero invece molto diverse e drastiche, e imporrebbero un rovesciamento del sistema finanziario, industriale e capitalistico che dirige il mondo (di queste misure parleremo il prossimo mese). Inutile sperare, in ogni caso, che la cosa possa essere sostenuta proprio da quei dracula finanziari, industriali e capitalistici che in questo momento stanno facendo, pur in periodo di crisi, un lauto pasto banchettando sulla vita dei popoli europei.
Le scelte, per farla breve, dovrebbero insomma essere politiche. O meglio, ancora prima, metapolitiche. Ovvero decidere in che direzione sarebbe bello e giusto che andasse il mondo, e di conseguenza prendendo decisioni politiche, anche se impopolari, al fine di indirizzare il tutto in tal modo. Per esempio, una cosa su tutte, relegare l'economia al ruolo che dovrebbe avere, e certamente non quello centrale e supremo che ha ora e che ha portato allo stato attuale delle cose.
I singoli Paesi, in teoria (ci torneremo a breve) possono molto poco. Ammesso e concesso che vogliano e siano in grado di farlo. Dovrebbe pensarci l'Europa, per quanto riguarda il nostro continente. Ma l'Europa non c'è, o meglio, non c'è mai stata. Anche sostenendo (e noi, al contrario di Ciampi, Draghi, Prodi & Co., oltre che tutti gli esponenti politici attuali, non lo sosteniamo) che ci debba essere una moneta unica, il punto è che la moneta senza una politica economica e ancora di più senza una politica generale per un grande spazio come l'Europa, ovvero la condizione attuale, non c'è mai stata né, su queste basi, ci sarà, è inutile.
Il massimo che si è riusciti a fare in Europa, al momento, è stato pendere dalle labbra della Bce, che impone, oltre allo scandaloso signoraggio bancario (e dunque l'attentato alla sovranità monetaria degli stati) delle politiche economiche restrittive ai vari Stati che essa stessa (e le Banche e la finanza) ha concorso a indebitare.
Breve inciso: è ridicolo e avvilente anche solo fare qualche accenno allo stato pietoso della politica nel nostro misero paese - per farlo basta leggere, o meglio saltare a piè pari, la prima metà dei quotidiani italiani - per capire che nessuno Stato europeo, men che meno il nostro dove operano "politici" del calibro di Berlusconi, Alfano, D'Alema & Co. (che si stanno preparando per le meritate ferie d'Agosto mentre il mondo crolla) sono in grado di prendere alcun tipo di decisione che possa davvero essere definita politica.
Il punto è insomma chiaro: gli Stati - tutti - sono oberati di debiti (chi più chi meno) e le Banche sono piene di titoli che non verrano - per logica e matematica, come avevamo detto prima - onorati. Tutti sono indebitati con tutti senza nessuna speranza di poter avere indietro nulla. O quasi.
Inoltre, e questa la cosa più importante, i cittadini di tutti gli Stati (ora la Grecia, la Spagna e il Portogallo, domani l'Italia e dopodomani tutti gli altri a seguire) stanno subendo e subiranno sempre in misura maggiore il salasso economico della crisi e delle misure imposte.
Dal punto di vista economico (e sociale) insomma, ci stiamo dirigendo verso la catastrofe.
Il tutto per salvare questo sistema e per salvare l'Euro. Totem funesto che ci è stato imposto e che ci viene posto come ultimo baluardo da tenere in piedi. Non fosse che per tenerlo in piedi stiamo buttando in schiavitù le nostre vite e quella dei nostri figli e dei nostri nipoti.
Una via d'uscita c'è: il ripudio del debito. L'uscita dall'Euro.
Tecnicamente molto semplice. Eticamente sacrosanto, visto quanto ci ha fatto di male sino a ora e ce ne farà. E di fatto anche auspicabile, malgrado ciò che la cosa comporta, se si raffronta l’operazione allo schianto al quale stiamo comunque andando incontro. Le bancarotte sovrane sono in ogni caso dietro l'angolo. E sono inevitabili.
Il Paese che per primo ripudierà il debito darà scacco matto ai "signori del mondo" che, di fatto, dipendono non altro che dalla buona volontà di chi ha debiti nel continuare a pagarli. Siamo noi debitori, al momento, ad avere il coltello dalla parte del manico, se solo avessimo la voglia e la capacità di utilizzarlo nei confronti di chi attenta la nostra vita da decenni.
Il trucco del debito, che di questo si tratta, sta in piedi infatti solo fino a che c'è qualcuno che comunque continua a pagare interessi (e a subire tagli alle proprie vite). Nel momento in cui si dice basta, i creditori rimangono con il cerino in mano. Tutti gli "attivi" che segnano ora sui propri libri, ovvero di crediti che devono esigere da noi, diverrebbero di colpo dei "passivi" irrecuperabili. Tratteremmo da "delinquenti" con quei "delinquenti" che fino a ora ci hanno succhiato le vite.
Certo, la cosa comporta in ogni caso momenti durissimi per i popoli. Immaginiamo una Grecia che decidesse di ripudiare il debito e di uscire dall'Euro. Farebbe fallire le Banche, nazionalizzerebbe il sistema finanziario ed economico (e la Bce lo prenderebbe in quel posto), la moneta tornerebbe di Stato, ovvero propria, e ricomincerebbe tutto da capo. La nuova Dracma sarebbe fortemente svalutata. Fatto dolorosissimo per la popolazione greca, ma solo temporaneamente. Perché quella nuova moneta - propria moneta, e non della Bce e di chi la possiede, ovvero dei privati - diverrebbe presto competitiva. Sacrifici e perdita di ricchezza monetaria imponente, sulle prime. Ma con un futuro davanti. Futuro che ora invece non c'è.
E se la cosa si estendesse? Sarebbe in pratica una guerra mondiale dei creditori contro i debitori. Ma delle due l'una, i governi dei vari Paesi dovranno scegliere presto, in ogni caso, tra ripudiare i debiti e uscire dall'Euro oppure dissanguare le proprie popolazioni per ripagare i debiti. Brutalmente: scegliere se fare gli interessi delle Banche o quelli dei popoli. Probabilmente faranno quelli delle Banche finché sarà possibile. Dopo di allora, però, sarà inevitabile il ripudio.
Vorrei ricordare, a chi storce il naso di fronte a una soluzione così drastica, che ci sono dei precedenti piuttosto autorevoli. E per inciso, provengono proprio da chi può sembrare più insospettabile. Il ripudio del debito ha una tradizione molto antica proprio negli Stati Uniti. Nel decennio del 1840, Maryland, Pennsylvania, Illinois, Indiana, Michigan, Arkansas, Louisiana e Florida ripudiarono totalmente e in modo permanente il proprio debito pubblico, dopo il panico del 1837 e 1839 creato con un boom infazionistico dalla Second Bank of United States.
Specie per quei Paesi che hanno un debito detenuto da stranieri, dunque, sarebbe un bel colpo: da un giorno all'altro, a pagare il conto sarebbe proprio chi la crisi ha creato, ovvero chi detiene quei debiti pubblici. E certamente non sarebbero i cittadini a pagare il prezzo più alto. Di fronte a uno schianto inevitabile, dunque, dopo un prosciugamento inutile delle proprie esistenze, non è forse più logico, e comunque meno utopistico, ripudiare il debito con tutto ciò che esso comporta, ma con qualche prospettiva di salvezza?
Beninteso: nessuno lo farà finché non sarà costretto. E in questo è il male. Perché prendere quella decisione lì quando si sarà con le spalle al muro e dopo aver subito anni e anni di tagli e prosciugamenti - cosa comunque inevitabile - sarà molto, ma molto peggio che farlo ora, dove qualche margine di riuscita c'è.
Però, anche facendo sacrifici (comunque destinati a una rinascita) non sarebbe male, ripudiare il tutto, e lasciare lor signori con tante cambiali con le quali potrebbero solo asciugarsi le lacrime, o no?
Valerio Lo Monaco
www.ilribelle.com
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