lunedì 26 dicembre 2011
On 07:41 by SA DEFENZA No comments
di Pino Cabras – Megachip.
Solo
gli illusi, purtroppo ancora tanti e inguaribili, potevano sperare che
il recente inserimento delle punte di diamante di Goldman Sachs nel
cuore della sfera pubblica europea – Draghi, Monti e Papademos - non si
sarebbe tradotto in una cuccagna per le banche e in una rovina per le
classi medie.
Nessuno però arrivava a pensare che i protagonisti potessero essere così spudorati.
Ma finché avremo presidenti come Napolitano e copertine dell’Espresso che fanno di Napolitano “l’uomo dell’anno”, lo scandalo sarà sopito e troncato. Cos’è successo?
Mettiamola
così. Ci viene imposto uno “stato di eccezione” che – dicono – deve
“cambiare tutto”: niente di quanto abbiamo è acquisito, e ogni nostra
sicurezza sociale deve poter precipitare dalla sera al mattino, per
salvarci.
Viceversa, nessuna urgenza può scalfire le regole immutabili della Banca Centrale Europea. Ci descrivono il sacro.
E
il sacerdote Mario Draghi lo ripete: non può prestare soldi agli Stati,
non può comprare i buoni del Tesoro. Il debito non può essere ingoiato
in modo diretto dalla sua moneta creata dal nulla. Può esserlo però in
un modo indiretto, ad esempio prestando mezzo trilione di euro alle
banche, affinché queste corrano ad acquistare i buoni dei PIIGS,
maledetti maiali-cicala. Con l’idea che le banche paghino alla BCE un
tasso dell’1%. E che gli Stati paghino alle banche interessi ben più
corposi, fino al 7% e oltre: lucro per le banche, tagli per lo stato
sociale, insostenibilità economica. L’Italia di Monti e Napolitano,
insomma. L'Europa di Draghi.
Ma
è possibile che nessuno si ribelli a questo controsenso? Cioè
all’assurdità di essere impiccati al profitto preteso da chi dovrebbe
solo fallire (se il famoso mercato esistesse davvero)?
Nel
mondo alla rovescia ci dicono invece che non può esistere una cosa che
funzionerebbe in modo più semplice e ci toglierebbe il cappio dal
collo: da Francoforte potrebbero prestare quel mezzo trilione
direttamente agli Stati, a tassi di interesse bassissimi. Agli Stati
sarebbe risparmiato l’affanno di procacciarsi quella provvista sui
mercati offrendo tassi d’interesse elevatissimi (insostenibili anche
per un’economia in boom, figuriamoci per una in recessione). Lo spettro
del default imminente e lo spettro dei rating sarebbero così debellati,
e senza chiamare i ghostbusters. Specie se questi ghostbusters, i
banchieri, sono essi stessi dei morti viventi, in termini di credito.
Alle casseforti di Francoforte – per loro prodighe - le banche non
hanno infatti da offrire granché in garanzia, se non “collaterals”
buoni per pulirsi il culo. Ma Draghi non solleva nemmeno un
sopracciglio.
E
nemmeno Monti, che si è premurato di controgarantire la loro papiraglia
- scoperta come una cabriolet - con un impegno del governo italiano.
È
come la guerra: mentre nell’ordinamento civile la regola è non
uccidere, in guerra è l’opposto. Allo stesso modo, la guerra dei
signori banchieri mette in pratica comportamenti che normalmente
sarebbero sanzionati con leggi penali. Per lorsignori, niente manette
della guardia di finanza, il rischio è semmai di diventare uomini
dell’anno.
E
se tanto mi dà tanto, il quadro delle garanzie messo in moto dal
governo Monti, lungi dal far calare il debito, lo ha incrementato,
perché quel che dovevano garantire le banche lo garantiamo noi, in
aggiunta a quanto già ci strozzava. Congratulazioni.
È
il capolavoro di un’ideologia apparentemente anti-statalista, che
arriva all’assurda intransigenza di non prestare a basso interesse agli
Stati (le regole sacre della BCE), perché troppo comodo, troppo poco
liberista. Ma che prevede che lo Stato copra tutte le acrobazie
speculative terminali dei superfalliti.
Poi
è successo che dall’Eurotower un fiume di liquidità si è dovuto
ugualmente riversare a comprare titoli di stato lungo la sponda sud
dell’Euro: le banche non si stanno scapicollando per acquistarli. Se il
lupo non perde il vizio, punteranno ancora a qualche alchimia derivata
per imbellettare i propri attivi, mostrarsi apparentemente più
solvibili, e chiedere ancora più soldi, perché mezzo trilione di euro è
ancora poco per le loro voragini.
Come
a dire: i mercati non sono mercati. Siamo allo statalismo più
assistenziale e classista che si sia mai visto, riverniciato con
un’ideologia liberista. Centinaia di milioni di individui e famiglie,
milioni di storie, intere classi, interi insediamenti sociali costruiti
nel corso di generazioni, dovrebbero essere sacrificati al più costoso,
inutile e disordinato programma assistenzialistico della storia, volto
a salvare l’attuale assetto della finanza.
Le
banche, il cui mestiere sarebbe assistere con prestiti e affidamenti
chi investe sul futuro, non sganciano più nulla e anzi sono foraggiate.
Una mostruosità.
L’obiezione
che il denaro facile ha spinto gli Stati a indebitarsi troppo può
essere abbattuta da una contro-obiezione: e il denaro facile elargito
alle banche non le spinge forse a debiti che sono perfino multipli di
quelli degli Stati? E c’è di peggio. Gli Stati, ormai colonizzati dai
banchieri, coprono esattamente quel superdebito con garanzie che
nessuno giustificherebbe a cuor leggero, se non Letta Letta.
Nel 2012 le scommesse impossibili appariranno nude: come calcola Aldo Giannuli, «nell’anno
prossimo, fra titoli sovrani, obbligazioni di enti pubblici minori,
corporate bond (debiti d’impresa), obbligazioni bancarie, scadono
titoli per 11.000.000.000.000 (undicimila miliardi) di dollari. Faccio
grazia degli spiccioli. Ve l’ho scritto con tutti i 12 zeri per farvi
apprezzare la cifra in tutta la sua imponenza: si tratta di poco meno
di un sesto del Pil mondiale e di circa l’11% dell’intero debito
mondiale.»
Non
saranno i giochetti degli ometti di Goldman Sachs che potranno salvarci
dal debito. Prima ricollocheremo i loro comportamenti nell’ambito del
penale, prima avremo speranza di risorgere.
mercoledì 21 dicembre 2011
On 11:15 by SA DEFENZA No comments
http://www.repubblica.it/scienze/2011/12/21/news/virus_aviaria_pubblicazioni_scientifiche-26990966/
Due esperimenti in Olanda e Usa documentano l'alterazione in laboratorio dell'agente patogeno, molto contagioso e potenzialmente pericoloso per l'uomo. Una commissione governativa americana chiede di censurare parte dei dati, pubblicando solo le conclusioni, nel timore di un possibile uso terroristico dell'informazione. E nella comunità scientifica scoppia il caso
DA UNA parte il diritto ad essere informati, dall'altro il pericolo che
l'informazione, decisamente sensibile, possa finire in mani sbagliate
con conseguenze potenzialmente catastrofiche. A far scoppiare il caso è
stata l'irrituale richiesta di censura da parte di una commissione che
fa capo al governo statunitense a due riviste scientifiche del calibro
di Science e Nature. Il National Science Advisory Board for Biosecurity
- creato ad hoc dopo l'emergenza antrace - sulla scia della
preoccupazione per un possibile utilizzo terroristico dei dati, ha
chiesto ai direttori delle due prestigiose pubblicazioni di non
divulgare parte dei dettagli di due studi sperimentali che documentano
la realizzazione di un "supervirus" dell'influenza aviaria ottenuto in
due laboratori, negli Stati Uniti e in Olanda.
La notizia sulla realizzazione dell'agente patogeno, aggressivo come l'H5N1 ma molto più contagioso tanto da essere definito peggiore dell'antrace, nella comunità scientifica circolava gia da qualche tempo e aveva già suscitato polemiche. Che sono aumentate dopo l'intervento dell'organo consultivo ufficiale Usa, i National Institutes of Health: le conclusioni della ricerca possono essere pubblicate, "ma non i dettagli sperimentali e i dati che potrebbero rendere possibile una ripetizione degli esperimenti di laboratorio", è scritto nella raccomandazione inviata alle riviste.
E' la prima volta in assoluto che succede, ricorda il New York Times. Se è vero che
La notizia sulla realizzazione dell'agente patogeno, aggressivo come l'H5N1 ma molto più contagioso tanto da essere definito peggiore dell'antrace, nella comunità scientifica circolava gia da qualche tempo e aveva già suscitato polemiche. Che sono aumentate dopo l'intervento dell'organo consultivo ufficiale Usa, i National Institutes of Health: le conclusioni della ricerca possono essere pubblicate, "ma non i dettagli sperimentali e i dati che potrebbero rendere possibile una ripetizione degli esperimenti di laboratorio", è scritto nella raccomandazione inviata alle riviste.
E' la prima volta in assoluto che succede, ricorda il New York Times. Se è vero che
Secondo gli esperti governativi la pubblicazione dei dettagli potrebbe risultare particolarmente interessante per i bioterroristi. L'alterazione del virus messa a punto in laboratorio ha "maggiori potenzialità di essere contagiosa per l'uomo", avverte l'organo Usa. Da qui la richiesta di togliere "i dettagli sperimentali e i dati sulla mutazione che permetterebbero la replica degli esperimenti".
Se gli autori delle pubblicazioni e molti altri colleghi difendono il diritto della comunità scientifica ad essere informata dei progressi della ricerca, l'Nih replica che farà in modo che tali informazioni siano disponibili per gli esperti con le dovute credenziali. Il sistema, spiega Anthony Fauci alla Bbc, sarà messo a punto prima della prevista pubblicazione degli studi, a gennaio. Ma se Science e Nature decidessero di procedere con la pubblicazione completa, senza censure, ammette, non sarebbe possibile fermarli.
giovedì 15 dicembre 2011
On 07:04 by SA DEFENZA No comments
zret
Giuseppe
Flavio (Gerusalemme, 37 o 38 d.C., Roma dopo il 103 d.C.) è il noto
storico ebreo. Di ricca famiglia sacerdotale, partecipò alla guerra
giudaica: nel 67 fu catturato da Tito Flavio Vespasiano che lo trattò
benignamente per poi liberarlo. Per riconoscenza, Giuseppe assunse il
soprannome di Flavio. In Palestina con Tito fu testimone della presa di
Gerusalemme. Accompagnò poi Tito nell’Urbe dove visse per il resto
della sua vita. Giuseppe Flavio si prefisse con le sue opere di
promuovere nel mondo ellenistico e romano la conoscenza della realtà
ebraica. Scrisse la “Guerra giudaica” in sette libri prima in aramaico
poi in greco, mettendo a frutto la sua cognizione diretta dei fatti. Di
più largo respiro sono le “Antichità giudaiche” in venti libri, in
greco, in cui è ripercorsa la storia dei Giudei dalle origini ai tempi
della rivolta, attingendo a fonti ormai scomparse. Nei due libri
“Contro Apione”, un grammatico alessandrino che si era pronunciato
contro gli Ebrei,
riprese i motivi tradizionali dell’apologetica giudaica sull’antichità
e la superiorità degli Ebrei rispetto ai Greci. Nell’”Autobiografia”
integrò alcune parti delle “Antichità”.
Lo storico, nel VI libro della “Guerra giudaica”, nel corso della narrazione degli eventi, che si snodano dal dal 60 al 70 d.C., indugia su alcuni episodi sbalorditivi occorsi prima del conflitto conclusosi con l’espugnazione di Gerusalemme per opera dei Romani. La morsa attorno al tempio di Salomone ed agli edifici circostanti, in cui resistono i combattenti messianisti, si stringe sempre più. La situazione per gli assediati è ormai disperata: le legioni di Tito attaccano in massa, scorrono fiumi di sangue, i cadaveri dei ribelli si ammucchiano nelle strade, mentre le fiamme avvolgono il santuario.
Giuseppe Flavio attribuisce la débâcle dei ribelli a fanatismo e sprovvedutezza nonché alla predicazione di profeti mendaci. Secondo l’autore, i suoi correligionari avevano ignorato o interpretato in maniera distorta alcuni prodigi che avrebbero dovuto stornarli dal prendere le armi contro i Romani.
''A causare la loro morte fu un falso profeta che in quel giorno aveva proclamato agli abitanti della città che il Dio comandava loro di salire al tempio per ricevere i segni della salvezza. E in verità allora, istigati dai capi ribelli, si aggiravano tra il popolo numerosi profeti che andavano predicando di aspettare l'aiuto del Dio e ciò per distogliere la gente dalla diserzione e per infondere coraggio a chi non aveva nulla da temere da loro e sfuggiva al loro controllo. Nella disgrazia l'uomo è pronto a credere e, quando l'ingannatore fa intravedere la fine dei mali incombenti, allora il misero s'abbandona tutto alla speranza. Così il popolo fu allora abbindolato da ciarlatani e da falsi profeti, senza più badare né prestar fede ai segni manifesti che preannunziavano l'imminente rovina.
Quasi fossero stati frastornati dal tuono ed accecati negli occhi e nella mente, non compresero gli ammonimenti del Dio, come quando sulla città apparvero un astro a forma di spada ed una cometa che durò un anno o come quando, prima che scoppiassero la ribellione e la guerra, essendosi il popolo radunato per a festa degli Azzimi nell'ottavo giorno del mese di Xanthico, all'ora nona della notte l'altare e il tempio furono circonfusi da un tale splendore che sembrava di essere in pieno giorno ed il fenomeno durò per mezz'ora. Agli inesperti sembrò di buon augurio, ma dai sacri scribi fu subito interpretato in conformità di ciò che accadde dopo.
Durante la stessa festa, una mucca, che un tale menava al sacrificio, partorì un agnello in mezzo al sacro recinto; inoltre la porta orientale del tempio, quella che era di bronzo e assai massiccia, sì che la sera a fatica venti uomini riuscivano a chiuderla e veniva sprangata con sbarre legate in ferro e aveva dei paletti che si conficcavano assai profondamente nella soglia costituita da un blocco tutto d'un pezzo, all'ora sesta della notte fu vista aprirsi da sola. Le guardie del santuario corsero a informare il comandante che salì al tempio e a stento riuscì a farla richiudere. Ancora una volta questo parve agli ignari un sicurissimo segno di buon augurio, come se il Dio avesse spalancato a loro la porta delle sue grazie; ma gli intenditori compresero che la sicurezza del santuario era finita di per sé e che l'aprirsi della porta rappresentava un dono per i nemici e pertanto interpretarono in cuor loro il prodigio come preannunzio di rovina.
Non molti giorni dopo la festa, il ventuno del mese di Artemisio, apparve una visione miracolosa cui si stenterebbe a prestar fede; e in realtà, io credo che ciò che sto per raccontare potrebbe apparire una fola, se non avesse dauna parte il sostegno dei testimoni oculari, dall'altra la conferma delle sventure che seguirono.
Prima che il sole tramontasse, si videro in cielo su tutta la regione carri da guerra eschiere di armati che sbucavano dalle nuvole e circondavano le città. Inoltre, alla festa che si chiama la Pentecoste, i sacerdoti che erano entrati di notte nel tempio interno per celebrarvi i soliti riti riferirono di aver prima sentito una scossa e un colpo e poi un insieme di voci che dicevano: 'Da questo luogo noi andiamo via'''.
Lo storico, nel VI libro della “Guerra giudaica”, nel corso della narrazione degli eventi, che si snodano dal dal 60 al 70 d.C., indugia su alcuni episodi sbalorditivi occorsi prima del conflitto conclusosi con l’espugnazione di Gerusalemme per opera dei Romani. La morsa attorno al tempio di Salomone ed agli edifici circostanti, in cui resistono i combattenti messianisti, si stringe sempre più. La situazione per gli assediati è ormai disperata: le legioni di Tito attaccano in massa, scorrono fiumi di sangue, i cadaveri dei ribelli si ammucchiano nelle strade, mentre le fiamme avvolgono il santuario.
Giuseppe Flavio attribuisce la débâcle dei ribelli a fanatismo e sprovvedutezza nonché alla predicazione di profeti mendaci. Secondo l’autore, i suoi correligionari avevano ignorato o interpretato in maniera distorta alcuni prodigi che avrebbero dovuto stornarli dal prendere le armi contro i Romani.
''A causare la loro morte fu un falso profeta che in quel giorno aveva proclamato agli abitanti della città che il Dio comandava loro di salire al tempio per ricevere i segni della salvezza. E in verità allora, istigati dai capi ribelli, si aggiravano tra il popolo numerosi profeti che andavano predicando di aspettare l'aiuto del Dio e ciò per distogliere la gente dalla diserzione e per infondere coraggio a chi non aveva nulla da temere da loro e sfuggiva al loro controllo. Nella disgrazia l'uomo è pronto a credere e, quando l'ingannatore fa intravedere la fine dei mali incombenti, allora il misero s'abbandona tutto alla speranza. Così il popolo fu allora abbindolato da ciarlatani e da falsi profeti, senza più badare né prestar fede ai segni manifesti che preannunziavano l'imminente rovina.
Quasi fossero stati frastornati dal tuono ed accecati negli occhi e nella mente, non compresero gli ammonimenti del Dio, come quando sulla città apparvero un astro a forma di spada ed una cometa che durò un anno o come quando, prima che scoppiassero la ribellione e la guerra, essendosi il popolo radunato per a festa degli Azzimi nell'ottavo giorno del mese di Xanthico, all'ora nona della notte l'altare e il tempio furono circonfusi da un tale splendore che sembrava di essere in pieno giorno ed il fenomeno durò per mezz'ora. Agli inesperti sembrò di buon augurio, ma dai sacri scribi fu subito interpretato in conformità di ciò che accadde dopo.
Durante la stessa festa, una mucca, che un tale menava al sacrificio, partorì un agnello in mezzo al sacro recinto; inoltre la porta orientale del tempio, quella che era di bronzo e assai massiccia, sì che la sera a fatica venti uomini riuscivano a chiuderla e veniva sprangata con sbarre legate in ferro e aveva dei paletti che si conficcavano assai profondamente nella soglia costituita da un blocco tutto d'un pezzo, all'ora sesta della notte fu vista aprirsi da sola. Le guardie del santuario corsero a informare il comandante che salì al tempio e a stento riuscì a farla richiudere. Ancora una volta questo parve agli ignari un sicurissimo segno di buon augurio, come se il Dio avesse spalancato a loro la porta delle sue grazie; ma gli intenditori compresero che la sicurezza del santuario era finita di per sé e che l'aprirsi della porta rappresentava un dono per i nemici e pertanto interpretarono in cuor loro il prodigio come preannunzio di rovina.
Non molti giorni dopo la festa, il ventuno del mese di Artemisio, apparve una visione miracolosa cui si stenterebbe a prestar fede; e in realtà, io credo che ciò che sto per raccontare potrebbe apparire una fola, se non avesse dauna parte il sostegno dei testimoni oculari, dall'altra la conferma delle sventure che seguirono.
Prima che il sole tramontasse, si videro in cielo su tutta la regione carri da guerra eschiere di armati che sbucavano dalle nuvole e circondavano le città. Inoltre, alla festa che si chiama la Pentecoste, i sacerdoti che erano entrati di notte nel tempio interno per celebrarvi i soliti riti riferirono di aver prima sentito una scossa e un colpo e poi un insieme di voci che dicevano: 'Da questo luogo noi andiamo via'''.
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