lunedì 27 ottobre 2008
On 15:29 by SA DEFENZA No comments
Pubblichiamo una recensione del romanzo Stato di paura, seguita da un'intervista a Michael Crichton, autore di libri di successo come Jurassic Park. Attraverso la finzione, lo scrittore denuncia la mistificazione inerente all'effetto serra che sarebbe causato, secondo insigni pseudo-ambientalisti e pseudo-scienziati dalle emissioni di biossido di carbonio. Soprattutto, però, Crichton , tra i nuclei narrativi, incista delle verità sulla manipolazione climatica e tettonica, attuata tramite dispositivi tecnologici correlati all'operazione H.A.A.R.P. - scie chimiche. Inquietanti e più che plausibili, ad esempio, i cenni ad armi soniche ed ai batteri usati per influire sulle perturbazioni.Si legga dunque la fatica di Crichton non tanto come un'opera di fantasia, piuttosto come una raffigurazione realistica dei problemi ambientali e delle loro vere cause.Ringraziamo la gentilissima lettrice per la segnalazione.L’autore smonta le paure sull’effetto serra in una trama che mescola suspense e climatologiaEcoterroristi pronti a tutto si aggirano per il pianeta. Con esplosivi a tempo ed onde d’urto, minirazzi e microfilamenti, onde sonore e macchine cavitazionali (onde soniche - n.d.r.), provocano il distacco dei ghiacci in Antartide, piogge tropicali in Nord America ed un maremoto al largo delle isole Salomone. Pur di far credere che l’effetto serra produce catastrofi incontrollabili gli ambientalisti, inconsapevoli bracci armati di politici senza scrupoli, producono quello che gli scienziati teorizzano.«Stato di paura» è una profezia, se non già un atto di accusa contro la strumentalizzazione della scienza, lo strapotere dei media nel creare opinioni che fatalmente diventano pubbliche, contro il cinismo di industriali e politici. [...]Incuriosito dai ripetuti allarmi circa le conseguenze dell’"effetto serra", Michael Crichton ha raccolto per tre anni dati e studi scientifici sulle variazioni di temperatura e sulle possibili cause. [...] In barba al protocollo di Kyoto ed agli studi di "autorevoli" climatologi, Crichton non teme di sostenere che non è affatto vero che stiamo andando verso una tropicalizzazione del clima.Ambientalisti sclerotizzati sulle ideologie degli anni Settanta, industriali avidi e organizzazioni governative malate di potere sarebbero coalizzati per tenerci in un costante stato di paura. Dalla paura nasce nella gente il bisogno di essere protetti, la richiesta di governi totalitari.Seicento pagine di suspence e climatologia ben mescolati come l’abile Crichton sa fare ormai da trent’anni. Promessa del basket statunitense - è alto due metri e dieci - medico, antropologo e poi scrittore a tempo pieno, l’autore di Chicago si è compromesso con un tema di grande attualità.Come è nato il suo scetticismo ecologista?«Ricordo che da piccolo, studiando geografia, avevo notato la strana coincidenza tra la linea di costa dell’Africa occidentale e quella del Sud America, ma erano gli anni Cinquanta e la teoria della deriva dei continenti non era ancora stata divulgata. Presi un brutto voto e il professore mi considerò uno sciocco a pensare che i continenti si muovessero. Quell’esperienza mi insegnò che spesso quello che la maggior parte della gente considera vero può essere frutto della superficialità o di conoscenze imperfette. Così anche le previsioni climatiche prodotte negli anni Settanta, circa il pericolo di una nuova era glaciale, si rivelano oggi errate. Per tre anni ho compiuto ricerche sull’"effetto serra" e ho verificato che gli allarmismi sono del tutto infondati».Non sarebbe comunque più saggio scatenare una «guerra preventiva» al surriscaldamento terrestre piuttosto che rischiare l’estinzione?«Purtroppo, come per la guerra in Iraq, se nel campo dell’ambiente si combatte una guerra preventiva, si rischia di provocare morti innocenti».In "Preda" e "Jurassic Park" i temi sollevati la avvicinavano agli ambientalisti. Oggi il suo pensiero è cambiato?«Penso ai miei libri in modo diverso. Nei romanzi che ho scritto prevale l’avvertimento contro le persone che pensano di avere ragione e non si mettono mai in discussione. Penso ai disastri generati dalla teoria eugenetica d’inizio secolo, che ebbe tanti sostenitori, da Roosvelt a Churchill, a famosi scienziati e opinionisti e portò dritto ai forni crematori. Penso alle teorie pseudoscientifiche del russo Lysenko, appoggiato da Stalin, che manipolava i semi per accelerare il ciclo biologico delle specie vegetali. Risultato: milioni di persone morirono per le carestie e gli scienziati che si opponevano alle teorie di Lysenko finirono nei gulag. Spero che tra trent’anni si guarderà a "Stato di paura" come a un libro che ha inaugurato un nuovo modo di investigare la scienza».Oltre a molti nemici, con questo libro si è procurato anche amici non graditi?«Ammetto che dopo l’uscita del libro negli Stati Uniti molte organizzazioni di conservatori mi hanno invitato per tenere delle conferenze, ma ho rifiutato perché questo non mi interessava».Ora si sente un attivista?«Non direi proprio di essere un attivista. Per quanto riguarda la politica, non sono schierato. Anzi nella scheda elettorale specifico la voce ”non partisan” che viene scelta dal 30% degli Statunitensi per sottolineare che il non voto è una dichiarazione di sfiducia nei confronti di entrambi i principali schieramenti».Che cosa pensa della politica ambientalista di Bush?«Se guardiamo ai fatti noto che la politica di Bush non è molto diversa da quella di Clinton. Certo, se ascoltiamo quello che dicono sembra tutta un’altra cosa, ma negli Stati Uniti c’è un detto che recita: "Parlare costa poco"».
tankerenemy.
tankerenemy.
domenica 26 ottobre 2008
On 13:50 by SA DEFENZA No comments
1 Professor Popper, Lei è noto per aver sostenuto che la scienza non si basa sul metodo induttivo. Di solito si attribuisce a Francesco Bacone il merito del prestigio ottenuto da tale metodo. Ma Lei sarebbe giunto alla conclusione che sarebbe stata l'immensa autorità di Newton a convincere quasi tutti della correttezza e della validità del metodo induttivo. Ci può illustrare meglio le sue idee riguardo a questo punto?
Non credo che il metodo induttivo avrebbe raggiunto il prestigio che di fatto ha conseguito se Newton non avesse appoggiato questa concezione del metodo della scienza con il peso della sua impressionante autorità. Penso anche che Bacone oggi sarebbe quasi dimenticato se Newton non si fosse espresso in favore del suo metodo. Enunciando la legge di gravitazione, Newton non si propose soltanto di risolvere uno specifico problema - quello di spiegare dinamicamente le tre leggi di Keplero - bensì pretese anche di far vedere come questa legge fosse non solo vera, ma dimostrabilmente certa, cercando d'introdurre un metodo di dimostrazione di tale certezza legato all'induzione.
Ma, per prima cosa, dobbiamo capire bene da quale problema fosse partito Newton. Il problema gli fu posto dal suo contemporaneo Robert Hooke, il quale, com'è noto, gli suggerì anche alcuni indizi di possibile soluzione. Una possibile soluzione che però era - come Newton ben comprese - non soltanto ipotetica, ma anche non pienamente soddisfacente. Vediamo meglio le cose. Ci sono le tre leggi di Keplero, che riguardano il movimento dei pianeti: un problema che si era posto sin dall'antichità. Probabilmente, già mille anni prima della nascita di Cristo l'uomo aveva notato che certe stelle avevano un movimento differente da quello di tutte le altre stelle. C'è un piccolo gruppo di stelle che non prendono parte al movimento solidale dei cieli sopra di noi: diversamente da tutte le altre stelle, si muovono invece per conto proprio. Sono i pianeti. Per questa ragione tali pianeti vennero considerati entità divine, dotate di libera volontà. Di quelle divinità, in effetti, presero appunto il nome: Giove è un dio, Marte è un dio (il dio della guerra), e così via. Sin dall'antichità il problema consisteva nell'esser capaci di predire e, se possibile, spiegare il movimento di questi pianeti in termini di moto regolare e non a caso. All'osservazione, infatti, esso appariva estremamente irregolare: per un certo tempo i pianeti andavano in una certa direzione, poi la mutavano e ne prendevano un'altra, e così di seguito. Ebbene, questi loro movimenti vennero descritti con chiarezza da Keplero, il quale formulò tre leggi che risultarono molto soddisfacenti. Newton, da parte sua, andò ben oltre la semplice descrizione del movimento dei pianeti, arrivando a spiegare i loro movimenti in base ad alcuni principi generali.
Non credo che il metodo induttivo avrebbe raggiunto il prestigio che di fatto ha conseguito se Newton non avesse appoggiato questa concezione del metodo della scienza con il peso della sua impressionante autorità. Penso anche che Bacone oggi sarebbe quasi dimenticato se Newton non si fosse espresso in favore del suo metodo. Enunciando la legge di gravitazione, Newton non si propose soltanto di risolvere uno specifico problema - quello di spiegare dinamicamente le tre leggi di Keplero - bensì pretese anche di far vedere come questa legge fosse non solo vera, ma dimostrabilmente certa, cercando d'introdurre un metodo di dimostrazione di tale certezza legato all'induzione.
Ma, per prima cosa, dobbiamo capire bene da quale problema fosse partito Newton. Il problema gli fu posto dal suo contemporaneo Robert Hooke, il quale, com'è noto, gli suggerì anche alcuni indizi di possibile soluzione. Una possibile soluzione che però era - come Newton ben comprese - non soltanto ipotetica, ma anche non pienamente soddisfacente. Vediamo meglio le cose. Ci sono le tre leggi di Keplero, che riguardano il movimento dei pianeti: un problema che si era posto sin dall'antichità. Probabilmente, già mille anni prima della nascita di Cristo l'uomo aveva notato che certe stelle avevano un movimento differente da quello di tutte le altre stelle. C'è un piccolo gruppo di stelle che non prendono parte al movimento solidale dei cieli sopra di noi: diversamente da tutte le altre stelle, si muovono invece per conto proprio. Sono i pianeti. Per questa ragione tali pianeti vennero considerati entità divine, dotate di libera volontà. Di quelle divinità, in effetti, presero appunto il nome: Giove è un dio, Marte è un dio (il dio della guerra), e così via. Sin dall'antichità il problema consisteva nell'esser capaci di predire e, se possibile, spiegare il movimento di questi pianeti in termini di moto regolare e non a caso. All'osservazione, infatti, esso appariva estremamente irregolare: per un certo tempo i pianeti andavano in una certa direzione, poi la mutavano e ne prendevano un'altra, e così di seguito. Ebbene, questi loro movimenti vennero descritti con chiarezza da Keplero, il quale formulò tre leggi che risultarono molto soddisfacenti. Newton, da parte sua, andò ben oltre la semplice descrizione del movimento dei pianeti, arrivando a spiegare i loro movimenti in base ad alcuni principi generali.
On 13:41 by SA DEFENZA No comments
Maximilien Robespierre: Ascoltate la voce della giustizia e della ragione; essa grida che mai il giudizio dell’uomo è tanto certo da far sì che la società possa dare la morte a un uomo condannato da altri uomini soggetti a sbagliare. Provate a immaginarvi il più perfetto ordinamento giudiziario; provate a trovare i giudici più onesti e più illuminati, resterà sempre un margine di errore o di prevenzione. Perché togliervi la possibilità di ripararli? Perché condannarvi all’impossibilità di soccorrere l’innocenza oppressa? Che importanza hanno questi rimpianti sterili, questi rimedi illusori che concedete a un’ombra vana, a cenere insensibile: non sono altro che la triste testimonianza della temerarietà incivile delle vostre leggi penali. Togliete all’uomo la possibilità di espiare il suo peccato col pentimento o col compiere azioni virtuose, precludergli senza pietà il ritorno alla virtù, alla stima di se stesso, affrettarsi a farlo, per così dire, scendere nella tomba ancora marchiato del suo crimine, rappresenta ai miei occhi la più orrenda raffinatezza della crudeltà.Il primo dovere di un Legislatore è di forgiare e conservare i costumi pubblici, fonte di ogni libertà, di ogni benessere sociale; egli commette l’errore più grossolano e funesto, per arrivare a uno scopo particolare, si allontana da quello generale ed essenziale. Bisogna dunque che la legge rappresenti sempre per i popoli il modello più puro della giustizia e della ragione. Se le leggi, invece di caratterizzarsi per un’efficace, calma, moderata severità, offrono il destro alla collera e alla vendetta, se fanno scorrere sangue che dovrebbero invece risparmiare e che comunque non hanno il diritto di spargere, se offrono allo sguardo del popolo scene crudeli e cadaveri straziati dalle torture, allora esse confondono nella mente dei cittadini il concetto del giusto e dell’ingiusto e fanno nascere in seno alla società feroci pregiudizi che a loro volta ne producono altri. L’uomo non è più per l’uomo una cosa così sacra; si ha un concetto meno alto della dignità umana quando la pubblica autorità si fa gioco della vita. L’idea dell’assassinio ispira molto meno orrore quando è la stessa legge a darne spettacolo ed esempio; l’orrore del crimine diminuisce poiché essa lo punisce con un altro crimine. State molto attenti a non confondere l’efficacia delle pene con l’eccesso di severità: l’una è assolutamente l’opposto dell’altra. Tutto è fecondo nelle leggi equilibrate, tutto cospira contro leggi crudeli.
30 maggio 1791
30 maggio 1791
sabato 25 ottobre 2008
On 12:41 by SA DEFENZA No comments
di: Karl Otto Apel
DOMANDA: Prof. Apel, lei ritiene che le posizioni irrazionaliste, manifestatesi in alcune correnti filosofiche del XX secolo, possano provocare danni anche sul piano politico e storico?
Una grossa domanda! A tal riguardo ho espresso alcune idee nel mio ultimo lavoro, scritto in occasione di un convegno dedicato alla questione: che cosa abbia significato la catastrofe del Nazismo per i filosofi tedeschi, e per i cultori di etica in particolare, i quali, vivendo in quel periodo, ne hanno avuto esperienza diretta. Ho tentato di rispondere così alla Sua domanda: è possibile addurre molte ragioni per spiegare la crisi che ha preceduto l'instaurarsi del Nazismo: ragioni economiche, il risentimento della popolazione nei confronti del Trattato di Versailles, il fatto che non esistesse ancora una vera base sociale per la democrazia (forse, come anch'io ritengo, sarebbe stato meglio se, come in Giappone, l'imperatore fosse rimasto).
Di queste cause della dinamica che ha condotto alla catastrofe rappresentata dal cosiddetto Terzo Reich, dal nazionalsocialismo, si può ben dire senza dubbio che siano tutte importanti e che non sia dunque possibile una spiegazione monocausale. Ma la catastrofe morale che ebbe luogo del Terzo Reich con la distruzione dello Stato di diritto e, per usare i termini di Kohlberg, con la regressione di quello stesso popolo che aveva generato un Kant a stadi primitivi di una morale puramente nazionalistica del tipo "law and order", se non ad una morale ancora più arcaica fondata sulla parentela di sangue come nell'ideologia razzista; anche queste regressioni morali sono parti essenziali del quadro generale.
Forse non è giusto sopravvalutare certi fenomeni passeggeri, che pur occupano la ribalta del momento, dell'odierno panorama filosofico. Se però riconosciamo una rappresentatività a quanto - risultando al momento alla moda fra i media - ci viene presentato come una delle maggiori e più importanti novità filosofiche, si può nutrire a volte una qualche paura. Se si guarda a come certe posizioni di Nietzsche ed altri, o una certa predilezione per Heidegger, ormai diffusasi anche all'estero, ci viene ora riproposta qui in Germania come filosofia alla moda, esteticamente banalizzata; quando considero tutto ciò, mi chiedo se questi intellettuali abbiano coscienza dei problemi davvero nuovi con cui oggi siamo chiamati a confrontarci.
E' singolare ad esempio che il post-modernismo assurga a proposta filosofica complessiva, connessa con una critica radicale dell'epoca moderna e persino della intera storia della cultura e della filosofia. Esistono certo a mio parere molti aspetti di tutto rilievo per cui è possibile sottoporre a critica particolarmente lo sviluppo prodottosi nell'evo moderno, ad esempio l'unilaterale manifestazione di certe forme di razionalità, come quella tecnica o strategica. Ed oggi possiamo senza dubbio indicare alcuni fatti che annunciano qualcosa di molto simile ad una fine dell'età moderna. Esistono elementi di assoluta novità, come ad esempio il problema della crisi ecologica, con cui non possiamo fare a meno di confrontarci, che nessuno prima aveva previsto e da cui risultano problemi nuovi per la responsabilità tecnica e scientifica. Ma la cosa singolare è che proprio questo movimento, che si definisce post-moderno, non tematizzi nulla di tutto ciò. Ben altre cose vengono dichiarate importanti e tematizzate, cose dinanzi a cui, secondo me, non si può che scuotere il capo.
Si diffondono slogan del tipo: non dobbiamo più perseguire il consenso, ma il dissenso; oppure che sarebbe una catastrofe per l'umanità se si volesse dimostrare come vincolante un principio morale di natura universale, valido per tutti gli individui e le diverse culture. A ciò non posso che rispondere che esattamente questo è necessario. Proprio se vogliamo immaginarci il coesistere di diverse forme di vita e se ogni individuo, così come già Kant richiedeva, ha il diritto di ricercare la felicità a suo modo, devono esistere norme universali che rendano possibile la convivenza di forme di vita diverse. Cosa oggi necessaria a livello mondiale, se le grandi culture vogliono andare d'accordo. Anzi, è richiesto ancora di più: le culture devono cooperare tra loro, non solo convivere, se vogliamo aprirci una qualche possibilità per superare la crisi ecologica. Ed a questo scopo abbiamo ovviamente bisogno di consenso e di norme universali, entro i cui limiti tutti possano realizzare le loro forme individuali di vita.
Da questo punto di vista non posso che dichiarare assurde certe affermazioni di Foucault o anche di Lyotard. Posso solo dire che di fatto la catastrofe si verificherebbe, se noi, invece di perseguire il consenso, cercassimo solo di tendere al dissenso. Si verificherebbe una catastrofe, se non ci fossero principi universali, rappresentati, ad esempio, dai diritti dell'uomo, se non potessimo considerarli vincolanti per tutti.
Tratto dall'intervista "Il fondamento ultimo. Semiotica trascendentale" - Francoforte, casa Apel, sabato 16 gennaio 1988
DOMANDA: Prof. Apel, lei ritiene che le posizioni irrazionaliste, manifestatesi in alcune correnti filosofiche del XX secolo, possano provocare danni anche sul piano politico e storico?
Una grossa domanda! A tal riguardo ho espresso alcune idee nel mio ultimo lavoro, scritto in occasione di un convegno dedicato alla questione: che cosa abbia significato la catastrofe del Nazismo per i filosofi tedeschi, e per i cultori di etica in particolare, i quali, vivendo in quel periodo, ne hanno avuto esperienza diretta. Ho tentato di rispondere così alla Sua domanda: è possibile addurre molte ragioni per spiegare la crisi che ha preceduto l'instaurarsi del Nazismo: ragioni economiche, il risentimento della popolazione nei confronti del Trattato di Versailles, il fatto che non esistesse ancora una vera base sociale per la democrazia (forse, come anch'io ritengo, sarebbe stato meglio se, come in Giappone, l'imperatore fosse rimasto).
Di queste cause della dinamica che ha condotto alla catastrofe rappresentata dal cosiddetto Terzo Reich, dal nazionalsocialismo, si può ben dire senza dubbio che siano tutte importanti e che non sia dunque possibile una spiegazione monocausale. Ma la catastrofe morale che ebbe luogo del Terzo Reich con la distruzione dello Stato di diritto e, per usare i termini di Kohlberg, con la regressione di quello stesso popolo che aveva generato un Kant a stadi primitivi di una morale puramente nazionalistica del tipo "law and order", se non ad una morale ancora più arcaica fondata sulla parentela di sangue come nell'ideologia razzista; anche queste regressioni morali sono parti essenziali del quadro generale.
Forse non è giusto sopravvalutare certi fenomeni passeggeri, che pur occupano la ribalta del momento, dell'odierno panorama filosofico. Se però riconosciamo una rappresentatività a quanto - risultando al momento alla moda fra i media - ci viene presentato come una delle maggiori e più importanti novità filosofiche, si può nutrire a volte una qualche paura. Se si guarda a come certe posizioni di Nietzsche ed altri, o una certa predilezione per Heidegger, ormai diffusasi anche all'estero, ci viene ora riproposta qui in Germania come filosofia alla moda, esteticamente banalizzata; quando considero tutto ciò, mi chiedo se questi intellettuali abbiano coscienza dei problemi davvero nuovi con cui oggi siamo chiamati a confrontarci.
E' singolare ad esempio che il post-modernismo assurga a proposta filosofica complessiva, connessa con una critica radicale dell'epoca moderna e persino della intera storia della cultura e della filosofia. Esistono certo a mio parere molti aspetti di tutto rilievo per cui è possibile sottoporre a critica particolarmente lo sviluppo prodottosi nell'evo moderno, ad esempio l'unilaterale manifestazione di certe forme di razionalità, come quella tecnica o strategica. Ed oggi possiamo senza dubbio indicare alcuni fatti che annunciano qualcosa di molto simile ad una fine dell'età moderna. Esistono elementi di assoluta novità, come ad esempio il problema della crisi ecologica, con cui non possiamo fare a meno di confrontarci, che nessuno prima aveva previsto e da cui risultano problemi nuovi per la responsabilità tecnica e scientifica. Ma la cosa singolare è che proprio questo movimento, che si definisce post-moderno, non tematizzi nulla di tutto ciò. Ben altre cose vengono dichiarate importanti e tematizzate, cose dinanzi a cui, secondo me, non si può che scuotere il capo.
Si diffondono slogan del tipo: non dobbiamo più perseguire il consenso, ma il dissenso; oppure che sarebbe una catastrofe per l'umanità se si volesse dimostrare come vincolante un principio morale di natura universale, valido per tutti gli individui e le diverse culture. A ciò non posso che rispondere che esattamente questo è necessario. Proprio se vogliamo immaginarci il coesistere di diverse forme di vita e se ogni individuo, così come già Kant richiedeva, ha il diritto di ricercare la felicità a suo modo, devono esistere norme universali che rendano possibile la convivenza di forme di vita diverse. Cosa oggi necessaria a livello mondiale, se le grandi culture vogliono andare d'accordo. Anzi, è richiesto ancora di più: le culture devono cooperare tra loro, non solo convivere, se vogliamo aprirci una qualche possibilità per superare la crisi ecologica. Ed a questo scopo abbiamo ovviamente bisogno di consenso e di norme universali, entro i cui limiti tutti possano realizzare le loro forme individuali di vita.
Da questo punto di vista non posso che dichiarare assurde certe affermazioni di Foucault o anche di Lyotard. Posso solo dire che di fatto la catastrofe si verificherebbe, se noi, invece di perseguire il consenso, cercassimo solo di tendere al dissenso. Si verificherebbe una catastrofe, se non ci fossero principi universali, rappresentati, ad esempio, dai diritti dell'uomo, se non potessimo considerarli vincolanti per tutti.
Tratto dall'intervista "Il fondamento ultimo. Semiotica trascendentale" - Francoforte, casa Apel, sabato 16 gennaio 1988
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