sabato 25 ottobre 2008
On 12:41 by SA DEFENZA No comments
di: Karl Otto Apel
DOMANDA: Prof. Apel, lei ritiene che le posizioni irrazionaliste, manifestatesi in alcune correnti filosofiche del XX secolo, possano provocare danni anche sul piano politico e storico?
Una grossa domanda! A tal riguardo ho espresso alcune idee nel mio ultimo lavoro, scritto in occasione di un convegno dedicato alla questione: che cosa abbia significato la catastrofe del Nazismo per i filosofi tedeschi, e per i cultori di etica in particolare, i quali, vivendo in quel periodo, ne hanno avuto esperienza diretta. Ho tentato di rispondere così alla Sua domanda: è possibile addurre molte ragioni per spiegare la crisi che ha preceduto l'instaurarsi del Nazismo: ragioni economiche, il risentimento della popolazione nei confronti del Trattato di Versailles, il fatto che non esistesse ancora una vera base sociale per la democrazia (forse, come anch'io ritengo, sarebbe stato meglio se, come in Giappone, l'imperatore fosse rimasto).
Di queste cause della dinamica che ha condotto alla catastrofe rappresentata dal cosiddetto Terzo Reich, dal nazionalsocialismo, si può ben dire senza dubbio che siano tutte importanti e che non sia dunque possibile una spiegazione monocausale. Ma la catastrofe morale che ebbe luogo del Terzo Reich con la distruzione dello Stato di diritto e, per usare i termini di Kohlberg, con la regressione di quello stesso popolo che aveva generato un Kant a stadi primitivi di una morale puramente nazionalistica del tipo "law and order", se non ad una morale ancora più arcaica fondata sulla parentela di sangue come nell'ideologia razzista; anche queste regressioni morali sono parti essenziali del quadro generale.
Forse non è giusto sopravvalutare certi fenomeni passeggeri, che pur occupano la ribalta del momento, dell'odierno panorama filosofico. Se però riconosciamo una rappresentatività a quanto - risultando al momento alla moda fra i media - ci viene presentato come una delle maggiori e più importanti novità filosofiche, si può nutrire a volte una qualche paura. Se si guarda a come certe posizioni di Nietzsche ed altri, o una certa predilezione per Heidegger, ormai diffusasi anche all'estero, ci viene ora riproposta qui in Germania come filosofia alla moda, esteticamente banalizzata; quando considero tutto ciò, mi chiedo se questi intellettuali abbiano coscienza dei problemi davvero nuovi con cui oggi siamo chiamati a confrontarci.
E' singolare ad esempio che il post-modernismo assurga a proposta filosofica complessiva, connessa con una critica radicale dell'epoca moderna e persino della intera storia della cultura e della filosofia. Esistono certo a mio parere molti aspetti di tutto rilievo per cui è possibile sottoporre a critica particolarmente lo sviluppo prodottosi nell'evo moderno, ad esempio l'unilaterale manifestazione di certe forme di razionalità, come quella tecnica o strategica. Ed oggi possiamo senza dubbio indicare alcuni fatti che annunciano qualcosa di molto simile ad una fine dell'età moderna. Esistono elementi di assoluta novità, come ad esempio il problema della crisi ecologica, con cui non possiamo fare a meno di confrontarci, che nessuno prima aveva previsto e da cui risultano problemi nuovi per la responsabilità tecnica e scientifica. Ma la cosa singolare è che proprio questo movimento, che si definisce post-moderno, non tematizzi nulla di tutto ciò. Ben altre cose vengono dichiarate importanti e tematizzate, cose dinanzi a cui, secondo me, non si può che scuotere il capo.
Si diffondono slogan del tipo: non dobbiamo più perseguire il consenso, ma il dissenso; oppure che sarebbe una catastrofe per l'umanità se si volesse dimostrare come vincolante un principio morale di natura universale, valido per tutti gli individui e le diverse culture. A ciò non posso che rispondere che esattamente questo è necessario. Proprio se vogliamo immaginarci il coesistere di diverse forme di vita e se ogni individuo, così come già Kant richiedeva, ha il diritto di ricercare la felicità a suo modo, devono esistere norme universali che rendano possibile la convivenza di forme di vita diverse. Cosa oggi necessaria a livello mondiale, se le grandi culture vogliono andare d'accordo. Anzi, è richiesto ancora di più: le culture devono cooperare tra loro, non solo convivere, se vogliamo aprirci una qualche possibilità per superare la crisi ecologica. Ed a questo scopo abbiamo ovviamente bisogno di consenso e di norme universali, entro i cui limiti tutti possano realizzare le loro forme individuali di vita.
Da questo punto di vista non posso che dichiarare assurde certe affermazioni di Foucault o anche di Lyotard. Posso solo dire che di fatto la catastrofe si verificherebbe, se noi, invece di perseguire il consenso, cercassimo solo di tendere al dissenso. Si verificherebbe una catastrofe, se non ci fossero principi universali, rappresentati, ad esempio, dai diritti dell'uomo, se non potessimo considerarli vincolanti per tutti.
Tratto dall'intervista "Il fondamento ultimo. Semiotica trascendentale" - Francoforte, casa Apel, sabato 16 gennaio 1988
DOMANDA: Prof. Apel, lei ritiene che le posizioni irrazionaliste, manifestatesi in alcune correnti filosofiche del XX secolo, possano provocare danni anche sul piano politico e storico?
Una grossa domanda! A tal riguardo ho espresso alcune idee nel mio ultimo lavoro, scritto in occasione di un convegno dedicato alla questione: che cosa abbia significato la catastrofe del Nazismo per i filosofi tedeschi, e per i cultori di etica in particolare, i quali, vivendo in quel periodo, ne hanno avuto esperienza diretta. Ho tentato di rispondere così alla Sua domanda: è possibile addurre molte ragioni per spiegare la crisi che ha preceduto l'instaurarsi del Nazismo: ragioni economiche, il risentimento della popolazione nei confronti del Trattato di Versailles, il fatto che non esistesse ancora una vera base sociale per la democrazia (forse, come anch'io ritengo, sarebbe stato meglio se, come in Giappone, l'imperatore fosse rimasto).
Di queste cause della dinamica che ha condotto alla catastrofe rappresentata dal cosiddetto Terzo Reich, dal nazionalsocialismo, si può ben dire senza dubbio che siano tutte importanti e che non sia dunque possibile una spiegazione monocausale. Ma la catastrofe morale che ebbe luogo del Terzo Reich con la distruzione dello Stato di diritto e, per usare i termini di Kohlberg, con la regressione di quello stesso popolo che aveva generato un Kant a stadi primitivi di una morale puramente nazionalistica del tipo "law and order", se non ad una morale ancora più arcaica fondata sulla parentela di sangue come nell'ideologia razzista; anche queste regressioni morali sono parti essenziali del quadro generale.
Forse non è giusto sopravvalutare certi fenomeni passeggeri, che pur occupano la ribalta del momento, dell'odierno panorama filosofico. Se però riconosciamo una rappresentatività a quanto - risultando al momento alla moda fra i media - ci viene presentato come una delle maggiori e più importanti novità filosofiche, si può nutrire a volte una qualche paura. Se si guarda a come certe posizioni di Nietzsche ed altri, o una certa predilezione per Heidegger, ormai diffusasi anche all'estero, ci viene ora riproposta qui in Germania come filosofia alla moda, esteticamente banalizzata; quando considero tutto ciò, mi chiedo se questi intellettuali abbiano coscienza dei problemi davvero nuovi con cui oggi siamo chiamati a confrontarci.
E' singolare ad esempio che il post-modernismo assurga a proposta filosofica complessiva, connessa con una critica radicale dell'epoca moderna e persino della intera storia della cultura e della filosofia. Esistono certo a mio parere molti aspetti di tutto rilievo per cui è possibile sottoporre a critica particolarmente lo sviluppo prodottosi nell'evo moderno, ad esempio l'unilaterale manifestazione di certe forme di razionalità, come quella tecnica o strategica. Ed oggi possiamo senza dubbio indicare alcuni fatti che annunciano qualcosa di molto simile ad una fine dell'età moderna. Esistono elementi di assoluta novità, come ad esempio il problema della crisi ecologica, con cui non possiamo fare a meno di confrontarci, che nessuno prima aveva previsto e da cui risultano problemi nuovi per la responsabilità tecnica e scientifica. Ma la cosa singolare è che proprio questo movimento, che si definisce post-moderno, non tematizzi nulla di tutto ciò. Ben altre cose vengono dichiarate importanti e tematizzate, cose dinanzi a cui, secondo me, non si può che scuotere il capo.
Si diffondono slogan del tipo: non dobbiamo più perseguire il consenso, ma il dissenso; oppure che sarebbe una catastrofe per l'umanità se si volesse dimostrare come vincolante un principio morale di natura universale, valido per tutti gli individui e le diverse culture. A ciò non posso che rispondere che esattamente questo è necessario. Proprio se vogliamo immaginarci il coesistere di diverse forme di vita e se ogni individuo, così come già Kant richiedeva, ha il diritto di ricercare la felicità a suo modo, devono esistere norme universali che rendano possibile la convivenza di forme di vita diverse. Cosa oggi necessaria a livello mondiale, se le grandi culture vogliono andare d'accordo. Anzi, è richiesto ancora di più: le culture devono cooperare tra loro, non solo convivere, se vogliamo aprirci una qualche possibilità per superare la crisi ecologica. Ed a questo scopo abbiamo ovviamente bisogno di consenso e di norme universali, entro i cui limiti tutti possano realizzare le loro forme individuali di vita.
Da questo punto di vista non posso che dichiarare assurde certe affermazioni di Foucault o anche di Lyotard. Posso solo dire che di fatto la catastrofe si verificherebbe, se noi, invece di perseguire il consenso, cercassimo solo di tendere al dissenso. Si verificherebbe una catastrofe, se non ci fossero principi universali, rappresentati, ad esempio, dai diritti dell'uomo, se non potessimo considerarli vincolanti per tutti.
Tratto dall'intervista "Il fondamento ultimo. Semiotica trascendentale" - Francoforte, casa Apel, sabato 16 gennaio 1988
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