domenica 18 ottobre 2009
Francesco Bertolini
ilribelle.com
Ecco pronta la nuova grande illusione per chi è abituato ad abboccare all’amo. L’economia “verde” altro non è che la vecchia economia con vicino un aggettivo. Con buona pace di speculatori e parco buoi.
Ulisse, per salvarsi dalle sirene ordinò ai suoi uomini di tapparsi le orecchie con la cera; lui stesso si fece legare a un albero della nave, vietando ai compagni di slegarlo, qualunque supplica avesse loro rivolto.
Le Sirene sono una personificazione dei pericoli del mare. Secondo la leggenda, con il fascino della loro musica attiravano i marinai che passavano nelle vicinanze; le navi si avvicinavano allora pericolosamente alla costa rocciosa e si fracassavano, e le Sirene divoravano gli imprudenti.
Non ci sono più le Sirene nell’immaginario collettivo; il loro canto armonioso è stato rimosso e sostituito dal progresso tecnico, unica conseguenza della centralità razionale del nostro tempo, con la conseguente aridità di pensiero che la accompagna.
Dopo lo spavento di un armageddon finanziario, mai stato così vicino, la crisi rallenta e l’economia si sta riprendendo; brindiamo, è stato solo un brutto incubo.
Si può ripartire; mentre il G8 indica al 2050 un obiettivo di riduzione delle emissioni di anidride carbonica pari all’80% rispetto al livello di emissioni del 1990, il governo italiano annuncia il rilancio del nucleare e il piano casa, mentre per interessi nazionali concede permessi di trivellazione negli ultimi lembi di territorio protetto e posiziona l’Italia in coda nel mondo per quanto concerne la tutela ambientale.
Ma a qualcuno interessa realmente tutto ciò? I grandi organi di informazione sono controllati dai grandi gruppi economici, in un sistema fondato sul debito, un sistema quindi che non ha nessuna intenzione di modificare alla radice le cause del possibile disastro che ci ha sfiorato; per questa ragione l’informazione, nel suo insieme, ci propina la ripresa economica come un bene, come un rimettere le cose in ordine, magari in un armadio realizzato con legno riciclato, a testimonianza che l’ambiente è una reale preoccupazione e un impegno da prendere per le generazioni future.
Sicuramente i grandi del mondo, definendo obiettivi al 2050, si preoccupano del futuro, forse un po’ troppo lontano, visto che ogni qualvolta si siano definiti obiettivi così ambiziosi da parte di organi transnazionali non si è fatto altro che una pessima figura, basti pensare alla banca mondiale che si è posta l’obiettivo di dimezzare la povertà nel mondo al 2015 o gli obiettivi del millennio delle Nazioni Unite.
Tutti obiettivi irraggiungibili,
e sempre spostati nel tempo,
per posticipare all’infinito il momento di fare i conti con la realtà. Che però ci raggiunge alle spalle. Inesorabilmente.
Sono obiettivi irraggiungibili, in quanto non ci sono risorse sufficienti per garantire un aumento del livello di consumi per l’80% degli abitanti del pianeta, non ci sono nemmeno se l’economia si tingerà di verde.
Ma proprio l’innovazione tecnologica in chiave ambientale è presentata come la chiave per coniugare il rilancio dell’economia e la tutela dell’ambiente: una sostanziale e colossale barzelletta. Stiamo condannando a morte il pianeta, ma l’esecuzione sarà con una iniezione letale, non con la crudele e inquietante sedia elettrica, poco etica e con scarsa efficienza energetica.
A volte si pensa di caratterizzare il progresso tecnico, per renderlo più attraente; si è assistito così a fasi focalizzate dalla rivoluzione industriale piuttosto che dalla rivoluzione informatica. Oggi si preannuncia la rivoluzione verde. Strano che fino a poco tempo fa investire in tecnologie ambientali non fosse così conveniente; la bacchetta magica del cambio di amministrazione americana ha trasformato il mondo e il sistema industriale in chiave ambientalista.
Come spesso succede, le bolle economiche nascono proprio in questo modo; si lancia sul mercato una grande illusione, su cui si riversano investimenti e aspettative che si autoalimentano a vicenda fino all’esplosione della bolla stessa; è capitato così dai tempi dei tulipani olandesi, fino a internet e al settore immobiliare negli Stati Uniti.
Sarà forse perché si crede sempre meno alle illusioni che ogni giorno 5 milioni di italiani fanno uso di psicofarmaci; l’Italia risulta essere, secondo l’International narcotis control board delle Nazioni Unite, il sesto paese al mondo per quanto concerne il consumo per abitanti di sedativi e il trend continua a crescere, così come in tutto il mondo cosiddetto sviluppato; si cerca la scorciatoia della felicità, e ogni volta che l’uomo si muove alla ricerca della felicità finisce per perderne anche quel poco che ha, come colui che, intrappolato nelle sabbie mobili, si dibatte disperatamente e questo suo agitarsi è la causa del suo lento e continuo sprofondare.
Tutto a posto: ora c’è l’economia verde. E se non credete a questa ennesima bolla niente paura: basta prendere un sedativo e uno psicofarmaco, e la felicità sarà a un passo...
È l’ultimo tentativo di uscire dalle sabbie mobili sembra essere l’economia verde, un aggettivo aggiunto che non modifica la questione di fondo.
È anche vero che negli ultimi anni si assiste a una crescita di consumi e stili di vita che vedono in un ritorno alla natura l’unica possibile via di uscita, ma le forze in campo sono purtroppo impari, come ormai accade spesso nelle guerre moderne, dove chi non si adegua al modello globale combatte con i sassi contro aerei telecomandati a distanza.
È proprio così; la cultura ambientalista nel nostro paese mi ricorda i bambini palestinesi che usano la fionda contro i carri armati israeliani, che, pressati dalla comunità internazionale politically correct sanno di non poterli eliminare, ma di dover trovare una soluzione condivisa, intorno a un tavolo. È lo stesso percorso della rivoluzione sostenibile; si subisce senza sussulti l’avvio dei lavori della Brescia-Bergamo-Milano, ennesima colata di cemento per una autostrada che non farà altro che accelerare il degrado di quel territorio.
È paradossale integrare l’aggettivo ambiente in un sistema che con l’ambiente non ha niente a che fare; è utopia contrastare questo sviluppo, ma forse la complicità è molto peggio. Ulisse aveva fatto tappare le orecchie ai suoi uomini per non fargli ascoltare il canto delle sirene; oggi evitare l’informazione, pervasiva, invadente e virale, è purtroppo molto più complicato.
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