mercoledì 5 gennaio 2011
On 14:54 by SA DEFENZA No comments
Non è educato dirlo, ma se gli americani sapessero quanti bilioni i loro militari spendono veramente per la protezione del petrolio, non ci starebbero più
Basi e campi militari delle forze d'occupazione USA
Peter Maass | ||
Tradotto da Raffaella Selmi | ||
Editato da Fausto Giudice |
Poco dopo che i Marines erano entrati a Bagdad abbattendo una statua di Saddam Hussein, ho visitato il ministero del petrolio. Le truppe americane avevano circondato l'edificio dalle pareti color sabbia, proteggendolo come un gioiello d’importanza strategica. Intanto, non lontano di là, i saccheggiatori alleggerivano il Museo Nazionale dei suoi veri gioielli. Baghdad era allora teatro di saccheggi diffusi. Davanti al cordone delle truppe americane si erano radunati qualche dozzina d’iracheni che lavoravano per il Ministero del petrolio e uno di questi, osservando la protezione di cui godeva il posto in cui lavorava, e la mancanza di protezione degli altri edifici, mi ha rivolto quest’osservazione: "E’ tutta una questione di petrolio."
Quest’uomo ha centrato il punto fondamentale per comprendere quanto paghiamo effettivamente un litro di benzina. La marea nera della BP nel Golfo del Messico ha ricordato agli americani che il prezzo della benzina al distributore è solo un acconto; un calcolo onesto dovrebbe includere l’inquinamento di acque, terra e aria. E il calcolo è ancora incompleto se non prendiamo in considerazione altri fattori, e in primo luogo quello che è forse il più importante fra i costi esterni: il fattore militare. In quale misura il petrolio è legato alle guerre e al mezzo bilione (500 miliardi) di dollari annuo di spese militari? In questo periodo di enorme deficit, probabilmente non è inutile chiedersi cosa paghiamo e quanto.
Il dibattito si limita spesso a una disputa da bambini: “Hai detto una bugia/no,l’hai detta tu”. Donald Rumsfeld, ex Segretario della difesa insisteva che: l'invasione dell'Iraq non aveva " nulla a che fare con il petrolio". Ma anche Alan Greenspan, ex Presidente della Federal Reserve, ha respinto l’affermazione: "È imbarazzante politicamente ammettere ciò che sanno tutti", scrive Greenspan nel suo libro di memorie . "La guerra dell'Iraq è essenzialmente una guerra per il petrolio." Anche se fosse “solo in parte” vero che abbiamo invaso l'Iraq per il petrolio e che i nostri militari e la nostra Marina sono là oggi per questo scopo, quanto ci costa? Questo è uno dei principali problemi, i costi nascosti, il che spiega in parte la nostra dipendenza dal greggio: non ne conosciamo il prezzo reale.
Eppure, se vogliamo, possiamo conoscerlo. Un approccio innovativo proviene da Roger Stern, geografo economico all'Università di Princeton. In aprile 2010, ha pubblicato uno studio , oggetto di una revisione paritaria, dei costi di manutenzione delle portaerei degli Stati Uniti nel Golfo Arabo-Persico dal 1976 al 2007. Poiché le portaerei pattugliano il Golfo per proteggere il traffico petroliero, Stern attribuisce al petrolio il costo della loro presenza. Si tratta di un ottimo metodo di stima. Attraverso una dettagliata analisi dei dati del Dipartimento della Difesa – cosa non facile perché il Pentagono non disaggrega le spese per missione o regione – arriva a un totale, in oltre tre decenni, di 7,3 bilioni (7300 milliardi) di dollari. Bilioni!
E si tratta ancora di una stima parziale delle spese sostenute perlopiù in tempo di pace. È molto più complicato stabilire in che misura le guerre in America sono collegate al petrolio e stimarne così il costo indirettamente. E se Donald Rumsfeld, oggi in pensione, finisse con l’ammettere, in un momento di “abbandono”, che l'invasione dell'Iraq ha avuto qualche cosa a che fare con il greggio? Uno studio pubblicato nel 2008 dal premio Nobel Joseph Stiglitz e da Linda Bilmes, (Università di Harvard) esperta di finanza pubblica, stima il costo di questa guerra – sommando quanto è già stato speso e quanto sarà probabilmente speso nei prossimi anni - in un minimo di 3 bilioni di dollari (e probabilmente molto di più). Ancora una volta bilioni.
Eppure, se vogliamo, possiamo conoscerlo. Un approccio innovativo proviene da Roger Stern, geografo economico all'Università di Princeton. In aprile 2010, ha pubblicato uno studio , oggetto di una revisione paritaria, dei costi di manutenzione delle portaerei degli Stati Uniti nel Golfo Arabo-Persico dal 1976 al 2007. Poiché le portaerei pattugliano il Golfo per proteggere il traffico petroliero, Stern attribuisce al petrolio il costo della loro presenza. Si tratta di un ottimo metodo di stima. Attraverso una dettagliata analisi dei dati del Dipartimento della Difesa – cosa non facile perché il Pentagono non disaggrega le spese per missione o regione – arriva a un totale, in oltre tre decenni, di 7,3 bilioni (7300 milliardi) di dollari. Bilioni!
E si tratta ancora di una stima parziale delle spese sostenute perlopiù in tempo di pace. È molto più complicato stabilire in che misura le guerre in America sono collegate al petrolio e stimarne così il costo indirettamente. E se Donald Rumsfeld, oggi in pensione, finisse con l’ammettere, in un momento di “abbandono”, che l'invasione dell'Iraq ha avuto qualche cosa a che fare con il greggio? Uno studio pubblicato nel 2008 dal premio Nobel Joseph Stiglitz e da Linda Bilmes, (Università di Harvard) esperta di finanza pubblica, stima il costo di questa guerra – sommando quanto è già stato speso e quanto sarà probabilmente speso nei prossimi anni - in un minimo di 3 bilioni di dollari (e probabilmente molto di più). Ancora una volta bilioni.
Basi e campi militari delle forze d'occupazione USA
Naturalmente dovremo aspettare a lungo prima di trovare una presentazione PowerPoint al Pentagono o alla Casa Bianca (indipendentemente dal partito al potere), sui costi legati alla difesa del greggio. Così come sono un tabù i tagli alla previdenza sociale, le spese militari per il petrolio non vengono mai menzionate nei corridoi del potere. E’ un terreno scivoloso per i politici come per generali; facendo riferimento alla questione troppo apertamente, si rischia di ridurre a mal partito il concetto chiave della politica estera degli Stati Uniti: "La nostra unica ambizione è di costruire un mondo migliore". È molto più facile fare della retorica che parlare di cifre concrete.
Si deve tornare indietro di quasi 20 anni per trovare qualcosa sul tema nel GAO (Government Accountability Office), la sezione investigativa del Congresso che, nel 1991, ha stimato che tra il 1980 e il 1990 gli Stati Uniti hanno speso un totale di 366 miliardi di dollari per difendere le forniture di petrolio dal Medio Oriente. La relazione del GAO era un’istantanea di una regione in un determinato periodo, quando l'America non era coinvolta in una guerra maggiore. Sarebbe stato un buon inizio, se a questo studio ne fossero seguiti altri più approfonditi, ma non è accaduto.
E’ quindi necessario basarsi su studi di artigiani, di esperti non governativi come Stiglitz e Stern per trovare i parametri che misurano le connessioni tra petrolio e guerra, corruzione e povertà. Tra questi esperti, Paul Collier dell'Università di Oxford, autore di The Bottom Billion, Michael Ross dell’UCLA, Michael Watts dell’Università di Berkeley, Ian Gary a Oxfam e Sarah Wykes, in precedenza componente dell’ O.N.G. Global Witness, (che tenta di far luce sui legami tra lo sfruttamento delle risorse naturali e la corruzione che lo accompagna). Le loro aree di competenza - economia, geografia, scienze politiche, corruzione - e i dati su cui lavorano sono simili agli scenari e alle idee non convenzionali degli esperti invitati dal generale David Petraeus [comandante delle operazioni militari in Iraq e poi in Afghanistan N.d.T.] per ripensare i dati e la pratica della guerra antinsurrezionale.
Il petrolio deve ancora trovare il suo Petraeus; perché il problema oggi rimane difficile da quantificare. L’astrazione del riscaldamento globale, lo spettacolo pietoso dei pellicani invischiati nel petrolio e persino quello dei morti in combattimento in Iraq non hanno modificato in modo concreto la nostra dipendenza dal dio petrolio. Gli Stati Uniti consumano più benzina oggi che il giorno dell’invasione dell'Iraq e dell’incidente sulla piattaforma della BP nel Golfo del Messico. Se, per ogni volta che un politico ha affermato -come ha fatto il Presidente Obama nel discorso sull’energia tenuto nello Studio Ovale in giugno- che "L’ora è venuta di avviarci ad un futuro di energia pulita", io avessi un dollaro, potrei costruire un parco eolico. Un atteggiamento più onesto ci costringerebbe, molto più che queste banalità ripetute fino all’usura, a confrontarci con il problema dei costi nascosti, quelli che non vediamo al distributore. E dopotutto, il sistema migliore per attirare l'attenzione dei consumatori passa attraverso il loro portafoglio.
Si deve tornare indietro di quasi 20 anni per trovare qualcosa sul tema nel GAO (Government Accountability Office), la sezione investigativa del Congresso che, nel 1991, ha stimato che tra il 1980 e il 1990 gli Stati Uniti hanno speso un totale di 366 miliardi di dollari per difendere le forniture di petrolio dal Medio Oriente. La relazione del GAO era un’istantanea di una regione in un determinato periodo, quando l'America non era coinvolta in una guerra maggiore. Sarebbe stato un buon inizio, se a questo studio ne fossero seguiti altri più approfonditi, ma non è accaduto.
E’ quindi necessario basarsi su studi di artigiani, di esperti non governativi come Stiglitz e Stern per trovare i parametri che misurano le connessioni tra petrolio e guerra, corruzione e povertà. Tra questi esperti, Paul Collier dell'Università di Oxford, autore di The Bottom Billion, Michael Ross dell’UCLA, Michael Watts dell’Università di Berkeley, Ian Gary a Oxfam e Sarah Wykes, in precedenza componente dell’ O.N.G. Global Witness, (che tenta di far luce sui legami tra lo sfruttamento delle risorse naturali e la corruzione che lo accompagna). Le loro aree di competenza - economia, geografia, scienze politiche, corruzione - e i dati su cui lavorano sono simili agli scenari e alle idee non convenzionali degli esperti invitati dal generale David Petraeus [comandante delle operazioni militari in Iraq e poi in Afghanistan N.d.T.] per ripensare i dati e la pratica della guerra antinsurrezionale.
Il petrolio deve ancora trovare il suo Petraeus; perché il problema oggi rimane difficile da quantificare. L’astrazione del riscaldamento globale, lo spettacolo pietoso dei pellicani invischiati nel petrolio e persino quello dei morti in combattimento in Iraq non hanno modificato in modo concreto la nostra dipendenza dal dio petrolio. Gli Stati Uniti consumano più benzina oggi che il giorno dell’invasione dell'Iraq e dell’incidente sulla piattaforma della BP nel Golfo del Messico. Se, per ogni volta che un politico ha affermato -come ha fatto il Presidente Obama nel discorso sull’energia tenuto nello Studio Ovale in giugno- che "L’ora è venuta di avviarci ad un futuro di energia pulita", io avessi un dollaro, potrei costruire un parco eolico. Un atteggiamento più onesto ci costringerebbe, molto più che queste banalità ripetute fino all’usura, a confrontarci con il problema dei costi nascosti, quelli che non vediamo al distributore. E dopotutto, il sistema migliore per attirare l'attenzione dei consumatori passa attraverso il loro portafoglio.
Dove sono le riserve di petrolio nel mondo?
5 agosto 2010
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