giovedì 10 settembre 2009

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Alessio Mannino

ilribelle.com

Il presupposto di una stampa libera è che gli

editori facciano solo gli editori. Esattamente

il contrario di quello che avviene qui in Italia.

Benché di recente il governo Berlusconi abbia inferto un colpo alla trasparenza proprietaria delle aziende con una leggina1 che estende le società “fiduciarie”, cioè senza obbligo di dichiarare chi sono i possessori di azioni o obbligazioni, anche al settore dell’editoria, è ancora possibile sapere chi sono i padroni dell’informazione in Italia. I padroni veri, in senso letterale. Basta una ricerca sul sito web della Consob (Commissione Nazionale per le Società e la Borsa) e voilà l’azionariato, le partecipazioni rilevanti e persino i patti parasociali dei colossi che influenzano l’opinione pubblica del Paese. Esclusi perché marginali o azzoppati gli attori minori2, a controllare ciò che gli italiani devono o non devono sapere sono infatti sette grandi gruppi: Rcs Mediagroup, Mediaset-Mondadori, Gruppo L’Espresso, Gruppo Il Sole 24 Ore, Gruppo Riffeser, Gruppo Caltagirone, Telecom Italia Media. Le Sette Sorelle della (dis)informazione.

«La vera libertà di stampa è dire alla gente ciò che la gente non vorrebbe sentirsi dire», diceva George Orwell, che di Grandi Fratelli, essendone stato il coniatore e preveggente, se ne intendeva. La gente è imbevuta ogni giorno di notizie ma ignora completamente, o quasi, a quali poteri economici e finanziari rispondono coloro che le fabbricano. Gli interessi degli editori italiani non sono “puri”, cioè concentrati esclusivamente nell’ambito editoriale (come in Germania, ad esempio), ma si estendono ai campi più disparati. Questo dato basilare, che spiega perchè vengono resi noti certi fatti e altri no e rende possibile la loro decodificazione, viene scientificamente fatto rimanere nell’ombra. La notizia delle notizie è una non-notizia. Per questo noi ve ne diamo conto qui, in un excursus sommario ma che dà un’idea, ci auguriamo, sufficientemente chiara della cupola che manovra dall’alto il giornalismo tricolore.

Rcs

Rcs ha la proprietà del Corriere della Sera, tradizionalmente considerato il più importante giornale italiano. La holding è molto ramificata e spazia dall’editoria libraria (Rizzoli) ai quotidiani (oltre al già citato Corsera, la Gazzetta dello Sport e il free press City), ai periodici (gli allegati al Corriere come Magazine, Io Donna, Style, e poi Il Mondo, Anna, Amica, Novella 2000, Max, Sportweek, Astra, Brava casa, Casamica), alle radio (Play Radio, Agr Radio, Crn Radio, Rin Digital Radio). In Spagna fanno capo a Rcs le testate El Mundo, Expansion (economia) e Marca (sport). Il capitale sociale è in mano ad un ferreo patto di sindacato che detiene il 60% delle azioni, composto dai più grossi nomi della finanza e dell’industria italiana (il cosiddetto “salotto buono”): Mediobanca (banca d’affari), Fiat (auto), Gruppo Pesenti (cemento), Gruppo Ligresti (costruzioni), Diego Della Valle (abbigliamento), Pirelli (telecomunicazioni), Banca Intesa, Generali (assicurazioni), Capitalia, Sinpar (acciaio), Merloni Invest (finanziaria), Mittel (finanziaria), Eridano (finanziaria), Edison (energia), Gemina (finanziaria), Benetton (abbigliamento, autostrade, autogrill, telecomunicazioni), il costruttore romano Toti. Gli intrecci fra loro costituiscono un groviglio di potere in cui è ravvisabile tutto lo sfacciato imperversare dei conflitti d’interesse all’italiana. Qualche esempio. Mediobanca è partecipata da Mediolanum e dal Gruppo Fininvest, che ha fatto insediare nel board Marina Berlusconi, primogenita del premier Silvio, patron di Mediaset. Intesa partecipa alla Generali, in cui c’è anche Unicredit (e le stesse Capitalia e Mediobanca). Il Gruppo Fiat lo ritroviamo padrone unico dell’altro storico quotidiano nazionale, La Stampa. Del Gruppo Telecom, azionista del patto, è Telecom Italia Media, a sua volta una delle Sette Sorelle. Infine, Rcs ha una quota del 7,5% nella Poligrafici Editoriale, società che fa capo ad un altro gigante “rivale”, il Gruppo Riffeser.

Mediaset-Mondadori

Mediaset è l’impero mediatico del Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. I suoi tre canali analogici, Canale 5 Italia Uno e Retequattro, formano l’altra metà del cielo televisivo italiano. Le tre emittenti pubbliche della Rai sono comunque sottoposte ai desiderata del Cavaliere, in quanto capo del governo: difatti la scelta dei direttori di rete e dei tiggì passa per Palazzo Chigi e per le alchimie interne alla maggioranza del momento, con le conventicole di viale Mazzini col cappello in mano a reclamare poltrone. Quello berlusconiano è il primo gruppo privato in Italia e uno dei maggiori in Europa (in Spagna detiene il 20% dello share). La concessionaria di pubblicità, Publitalia, ha il primato della raccolta pubblicitaria, ed ha fornito i primi quadri di Forza Italia negli anni ’90. Attraverso la casa madre Fininvest, la famiglia Berlusconi possiede anche la Mondadori, principale editrice di libri del Paese, ed è presente in Mediobanca e Capitalia (e quindi in Rcs). Della galassia Mondadori fanno parte Einaudi, Sperling & Kupfer, Electa, Random House Mondadori. Periodici e radio: Panorama, Tv Sorrisi e canzoni, Chi, Donna moderna, Grazia, Auto oggi, Cambio, Casa viva, Confidenze, Economy, Flair, Focus, Guida Tv, Men’s Health, Prometeo, Starbene, Sale & Pepe, Cosmopolitan, Cucina moderna, Nuovi argomenti, Ciak, Radio 101.

Come si vede, la presa sulla costruzione dell’immaginario collettivo, che passa anche se non soprattutto dai media di intrattenimento, vede una presenza preponderante del politico-editore Berlusconi. Il fratello del premier, Paolo, è il titolare del quotidiano Il Giornale. L’abnorme conflitto d’interessi che investe il nostro premier, unico al mondo (i suoi affari si allargano alla finanza, al business immobiliare, al cinema, al calcio), è diventato una barzelletta: mai risolto, anzi rivendicato sulla base del fatto che gli elettori lo votano comunque, è il cavallo di battaglia di un centrosinistra che non ha mai mosso un dito, neanche quand’era al potere, per porvi la parola fine.

Espresso

Rivale diretto dell’universo Mediaset è il Gruppo Espresso, il cui padrone è l’ingegner Carlo De Benedetti (il cui figlio Marco è il rappresentante italiano del fondo Carlyle, potente private equity americano nei settori delle armi, delle telecomunicazioni e dell’energia). Le testate controllate annoverano al primo posto il quotidiano fondato da Eugenio Scalfari e dal defunto Carlo Caracciolo, La Repubblica (con relativi allegati: Il Venerdì, D La repubblica delle donne, Salute, Trova Roma, Trova Milano, Metropoli, XL, Velvet, Affari&Finanza), e il settimanale L’Espresso. Inoltre: Micromega, Limes, National Geographic Italia, Le Scienze, Il Tirreno, La Nuova Sardegna, Messaggero veneto, Il Piccolo, Gazzetta di Mantova, Il Mattino di Padova, La Provincia Pavese, Il Centro, La Tribunadi Treviso, Gazzetta di Reggio, La Nuova Ferrara, Nuova Gazzetta di Modena, La Nuova Venezia, La Città. Oltre a De Benedetti, altri soci rilevanti nell’azionariato sono le Generali (anche in Rcs), la Fondazione Cassa di Risparmio di Trieste e la “zarina” Giulia Maria Crespi (protagonista del turbolento periodo anni ’70 del Corriere, oggi a capo del Fondo per l’Ambiente Italiano). Importanti sul mercato le controllate Radio Deejay e Radio Capital, la televisione All Music e la concessionaria di pubblicità A. Manzoni. Repubblica.it e Kataweb sono fra i siti internet più visitati.

Sole 24 Ore

Il Sole 24 Ore è il primo quotidiano economico italiano, ed è proprietà della Confindustria, nella quale ritroviamo, in qualità di imprenditori, molti dei nomi che popolano i vertici delle Sette Sorelle. Il Gruppo Sole 24 Ore ha anche un’agenzia di stampa, Radiocor, e un braccio radiofonico, Radio 24, quanto a informazione secondo solo alla radiofonia Rai. La Confindustria è tradizionalmente filo-governativa, posizionandosi a seconda di dove tira il vento: con Luca Cordero di Montezemolo vicino a Prodi, con l’attuale presidentessa Emma Marcegaglia vicino a Berlusconi.

Riffeser

La famiglia Riffeser, con Maria Luisa Riffeser Monti (57%) e l’amministratore delegato Andrea Riffeser (7%), ha in mano il gruppo a cui fanno riferimento il Quotidiano Nazionale, Il Giorno, La Nazione, Il Resto del Carlino e la concessionaria pubblicitaria Spe. è da tener presente, però, che i quotidiani sono sotto il controllo della Poligrafici Editoriale, a sua volta controllata al 60% da Maria Luisa (assieme, con una quota minoritaria, a Rcs). Presente anche la Fondazione Cassa di Risparmio di Trieste (quasi il 3%), che abbiamo già registrato fra gli azionisti del Gruppo Espresso.

Caltagirone

Caltagirone Editore è l’espressione del gruppo del costruttore (Cementir, Vianini) e finanziere romano Francesco Gaetano Caltagirone (lo troviamo azionista del Monte dei Paschi di Siena e consigliere di Generali). è suocero di Pierferdinando Casini, segretario dell’Udc, e ha amicizie trasversali (in particolare con gli ultimi sindaci romani, Rutelli e Veltroni). Fanno parte del gruppo il Messaggero, il Mattino, il Gazzettino, il Corriere Adriatico e il Nuovo quotidiano di Puglia, il leader della free press Leggo e il portale Caltanet, le concessionarie Piemme ed Area Nord Spa e l’emittente regionale Telefriuli.

Telecom

La rete televisiva La 7 e l’agenzia di stampa Apcom sono i fiori all’occhiello di Telecom Italia Media, società della multinazionale di comunicazione Telecom guidato da Franco Bernabè (e nel cui cda troviamo Tarek Ben Ammar, finanziere tunisino amico di Berlusconi, gli economisti Jean Paul Fitoussi e Luigi Zingales, l’ex presidente Fs Elio Catania, l’avvocato Berardino Libonati ex Eni ed ex Alitalia e nel cda di Mediobanca, Pirelli e Nomisma). La catena di azionisti è folta: il primo, col 24%, è la cordata italo-spagnola Telco Spa (Mediobanca, Assicurazioni Generali, Intesa Sanpaolo, Sintonia-Benetton e Telefónica S.A.), poi ci sono la Findim Group Sa, finanziaria lussemburghese della famiglia Fossati, ed una miriade di investitori esteri (Brandes Investment Partners Lcc, BNP Paribas SA, Alliance Bernstein LP) e italiani.

Statalismo

La principale agenzia di stampa, l’Ansa, è di proprietà di quasi tutti i principali quotidiani, mentre l’Adnkronos è della Giuseppe Marra Communications. L’Agi è dell’Eni, compagnia energetica di Stato. A proposito di Stato: dalle casse pubbliche piovono ogni anno generose sovvenzioni all’intero sistema delle agenzie, base informativa di tutti i giornali, radiogiornali e telegiornali, e i contributi pubblici all’editoria ammontano complessivamente ad un miliardo di euro annui. Vediamo come. Per la sola carta stampata, dalle nostre tasche arrivano 600 milioni3 (fra contributi diretti, credito d’imposta per la carta, agevolazioni postali, credito agevolato per gli investimenti, credito d’imposta per investimenti, fondo mobilità e rimborsi per teletrasmissione). Altri 180 milioni tramite provvidenze per radio e tivù locali e aiuti del Ministero delle Telecomunicazioni. Con le agenzie e con la Rai ci sono convenzioni equivalenti a 120 milioni, senza contare quelle stipulate dai vari ministeri, enti e regioni. Infine, 10 milioni per le dirette parlamentari di Radio Radicale. è il magna-magna denunciato da Beppe Grillo col suo secondo V-Day sull’informazione. Un’abbuffata, è bene sottolinearlo, a cui partecipano non soltanto i fogli di partito, gli organi dei movimenti, le più o meno finte cooperative editoriali, le testate della Chiesa Cattolica, i giornali italiani diffusi all’estero, ma soprattutto gli stessi giganti che si spartiscono la torta pubblicitaria. E che magari predicano le virtù salvifiche del libero mercato e montano campagne moralizzatrici contro la Casta arraffona4. Il Sole 24 Ore si becca quasi 20 milioni di euro. Idem al Gruppo Espresso. Rcs si accaparra 23 milioni di euro. La Stampa 7 milioni. Il Gruppo Riffeser più di 3 milioni. L’Avvenire, voce della Conferenza Episcopale Italiana, oltre 10 milioni. Libero, Il Foglio e Il Riformista, tutti e tre in trincea contro l’assistenzialismo e gli sprechi della politica, insieme portano a casa 11 milioni di euro circa.

Primus inter pares

Secondo gli ultimi dati forniti dall’Autorità per le Comunicazioni, la carta stampata non arriva a racimolare il 30% della pubblicità, mentre la televisione supera il 55% (con Mediaset che resta a far la parte del leone, e Sky della News Corp di Rupert Murdoch ferma ad un misero 6%, pur avendo superato quest’anno i ricavi pubblicitari di Mediaset)5. Rai e Mediaset, dominate da un sol uomo, stanno allestendo con La 7 una piattaforma satellitare comune, in modo da sottrarsi al monopolio di Murdoch in questa tecnologia. Così facendo, tuttavia, la Rai perderebbe di colpo 60 milioni di entrate pubblicitarie a tutto vantaggio dell’alleata-aguzzina Mediaset. Nel frattempo tutti i grandi agglomerati editoriali, per fronteggiare la riduzione di introiti dovuti alla crisi economica (meno 25% rispetto all’anno scorso), stanno tagliando personale e programmi d’investimento. E chi ne approfitta, come al solito, è soltanto il mostro Raiset, con la La 7 e le televisioncine locali a raccogliere le briciole che avanzano.

Gli italiani leggono poco, preferiscono guardare la televisione. Questa è il regno pressocchè incontrastato di Silvio Berlusconi, che è anche a capo del governo. Il caso di Europa 7, in questo senso, è emblematico: la tv generalista di Francesco Di Stefano, bloccata per anni per comune accordo bipartisan in aperta violazione della legge che gli conferiva di diritto l’accesso alle frequenze di Retequattro, ha dovuto subire l’ennesima beffa di vedersene assegnate in quantità tale da non coprire l’intero territorio nazionale, restando ancora una volta fuori mercato. Ciliegina finale, il socio occulto dell’intero sistema, la pubblicità, vede in posizione predominante sempre Lui. Che assieme all’affollata brigata di protagonisti col sedere ubiquo in quel consiglio d’amministrazione e in quell’altra società a sua volta incastrata nella concorrente e così via, rappresenta, primus inter pares col suo famoso sorriso a 24 denti, lo sfregio più sfacciato a ciò che viene ipocritamente chiamata “informazione”. Sarebbe meglio ribattezzarla manipolazione. Col fondamentale corollario dell’occultamento dei suoi mandanti e beneficiari.


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