domenica 30 dicembre 2012

On 11:14 by SA DEFENZA   No comments
Chiara Rossi 
 yogavitaesalute

Scie Chimiche e la Chimica dell'Acqua - prima parte
Ho una formazione di carattere scolastico e scientifico in chimica, dai miei primi vagiti ho sempre avuto una predilezione per l'acqua. Ricordo che, ad appena 2 anni, quando i miei genitori mi portarono al mare, le mie parole già suggerivano l'intento: volevo nuotare dove non si toccava, dove l'acqua diventa un tutt'uno con la persona, era importante e lo è tutt'ora. Per me l'acqua assume il significato di vita nella sua forma di bene che unisce tutti e che, nell'intento distruttivo di pochi, rischia di essere strumento di morte per molti e di potere per quei pochi parassiti che pure la vogliono sfruttare economicamente.
I miei studi sono sempre stati affascinati dall'elemento acqua, ho potuto fare un'esperienza stagistica presso l'acquedotto comunale della provincia in cui abitavo, in qualità di perito chimico ho lavorato per anni presso una ditta dove quotidianamente analizzavo l'acqua. Conosco le analisi dal punto di vista chimico, microbiologico e come si può stabilire se un corso d'acqua è sano.
Nel tempo l'uomo ha cancellato, modificato, stravolto ed infamato l'elemento acqua, bene essenziale per la vita tutta: infatti senza l'acqua la vita non esisterebbe.
Immergiamoci per gradi nello specifico: ci ricordiamo il ciclo dell'acqua? Tale processo è conosciuto tecnicamente come ciclo idrologico. L'acqua circola all'interno dell'idrosfera, che rappresenta tutte le acque presenti nel sottosuolo e nella superficie del pianeta, e cambia di stato fisico tra la fase liquida, solida e gassosa. Il ciclo idrologico è l'infinito scambio di massa idrica tra l'atmosfera, la terra, le acque superficiali, le acque sotterranee e gli organismi. Se l'atmosfera è inquinata, inevitabilmente lo sarà anche l'acqua, con i suoi tempi: niente è disunito nella vita! L'acqua è formata da un atomo di ossigeno e da due atomi di idrogeno, disciolti nella stessa possiamo trovare quantità minime di altri componenti quali sali, particelle presenti come anioni o cationi, che definiscono con cosa è venuta in contatto.

CHE COS’È L’ACQUA POTABILE?

Per definizione: è detta potabile l’acqua destinata al consumo umano, impiegata nella preparazione degli alimenti senza danneggiare la salute. I danni alla salute possono insorgere se l’acqua, durante il suo ciclo, raccoglie sostanze contaminanti, che possono essere naturalmente presenti nell’ambiente o disperse dalle attività umane per sbaglio o con intento, se la volontà di bene comune viene meno.
Secondo l'ultimo decreto ministeriale D.Lgs. 2 febbraio 2001 n.31, l'acqua deve avere determinate caratteristiche per essere definita potabile. Dal punto di vista chimico e dal punto di vista qualitativo, per esempio, deve essere inodore ed incolore; inoltre aggiungo che, per finalità di potabilizzazione, l'acqua viene addizionata di cloro o suoi derivati, che a contatto con l'aria si volatilizzano. Il cloro ha azione disinfettante, la sua aggiunta è necessaria perché l'acqua compie un lungo tragitto fino ad arrivare nel nostro bicchiere, a meno che non viviamo vicini ad una sorgente... ma ciò sarebbe possibile in un mondo ideale che rispetta il pianeta e non che ne sfrutta ogni risorsa allo stremo.

In questa sede vorrei portare l'attenzione su elementi che non dovrebbero essere presenti in grandi quantità nell'ambiente che circonda il ciclo dell'acqua, ma che ugualmente fanno capolino nelle nostre falde: punto l'attenzione sull'alluminio, la silice, batteri di ogni tipo e filamenti polimerici di origine sintetica (quindi creati in laboratorio), elementi che numerosi ricercatori ci insegnano come derivanti dalle scie chimiche.
Genova, il Corriere Mercantile del 26-01-2012 denuncia alluminio nell'acqua potabile, 670 micro grammi per litro; il limite stabilito per legge é, ad oggi, di 200 micro grammi per litro.1
La domanda è lecita: perché questa presenza anomala?
Una elevata assunzione di alluminio può influenzare negativamente la salute e provocare danni ai nervi. È probabilmente mutageno e cancerogeno, inoltre si sospetta una correlazione fra l'assorbimento di alluminio e l’aumento del numero di casi di Alzheimer.2
L'accumulo delle particelle d'alluminio può causare disordini funzionali ai polmoni. Il cloruro di alluminio può corrodere la pelle, irritare le membrane mucose negli occhi e causare traspirazione, mancanza di respiro e tosse. L'allume, o solfato di alluminio, combinazione tra zolfo e alluminio, aumenta la coagulazione del sangue con conseguenze all'apparato circolatorio. Questa carrellata di sintomi viene denunciata da migliaia di persone ed è dovuta alla continua irrorazione a cui siamo sottoposti.
Respiriamo questi elementi tossici, ne siamo a contatto con la pelle, e attraverso l'acqua rischiamo un'ulteriore intossicazione... ma noi mica glielo abbiamo chiesto questo 3 per 2!
Questo è solo l'inizio dell'indagine che percorreremo insieme nel corso di questi articoli, dal taglio semi scientifico, al fine di fare chiarezza su ciò che stiamo accettando passivamente. Per dover di cronaca ricordo anche che è stata subdolamente invalidata recentemente la decisione popolare della non privatizzazione dell'acqua potabile, mi riferisco in specifico alla fusione di Hera ed Acegas.3
L'acqua, come vi ho detto fin dall'inizio, è il bene comune per eccellenza, se non ci svegliamo e ci riprendiamo ciò che è nostro di diritto come umanità, rischia di divenire veicolo del male che dirama i suoi artigli, raggiungendoci veramente in modo infido!
To be continued...

Fonti:


1    http://lesciechimicheagenova.blogspot.ch/2012/01/allarme-alluminio-nellacqua-potabile.html

2    http://scienzamarcia.blogspot.ch/2012_09_01_archive.html
3    http://www.ilmanifestobologna.it/wp/2012/10/fusione-hera-acegas-progetto-oscuro-taciuto-ai-comuni-solo-il-pd-di-bologna-sostiene-la-privatizzazione-dellacqua/

venerdì 7 dicembre 2012

On 06:19 by SA DEFENZA   No comments
Dati e Previsioni al 5 dicembre 2012 
augustforecast.com

Dopo il crollo quasi totale del settore finanziario nel 2008, ci si sarebbe potuto aspettare che le grandi banche smettessero – o perlomeno diminuissero – il loro esagerato dedicarsi ad operazioni a rischio. Purtroppo non è stato così. Anzi, ad essere sinceri, è successo esattamente il contrario: il livello di rischio finanziario detenuto attualmente dalle grandi banche è il più altro di sempre.

Le principali 9 grandi banche [private] hanno un’esposizione in derivati pari ad oltre 200 trilioni di dollari [200.000.000.000.000 di dollari o 320.000.000.000.000.000 – trecentoventi milioni di miliardi – delle vecchie lire, ndt], un valore che è oltre 3 volte l’intera economia mondiale. Se poi prendiamo in considerazione tutte le banche globali, il valore nominale dei derivati supera abbondantemente i 1.500 trilioni (1.000 trilione = 1 quadrilione di $; un valore pari a 22 volte l’intera economia mondiale).


 
I mercati dei derivati non hanno alcuna regola. Vige esclusivamente la legge della giungla. Predatori e prede lottano per la sopravvivenza in sale poco illuminate dove si determinano gli scambi. Se un amico predatore viene divorato, la notizia viene appresa con gioia; significa che ne rimane di più per i sopravvissuti.

Detto in parole semplici, un derivato è una scommessa circa il verificarsi o meno di un evento futuro. Mentre un allibratore raccoglie la scommessa sull’esito di una corsa dei cavalli prevista per la prossima settimana, gli operatori sui derivati scommettono su avvenimenti distanti mesi, od anche anni.

Ecco come funziona una scommessa sui derivati: acquisto obbligazioni societarie, con basso rating, per 1 milione di dollari, un rendimento del 6 % ed un rimborso nominale fra 10 anni. So che esiste un rendimento più alto perché c’è un rischio più alto che l’obbligazione non venga onorata, cioè un rischio di fallimento. A quel punto, cerco uno scommettitore che, ad un costo che ritengo ragionevole, punti contro tale fallimento. Cerco cioè un banchiere X che ritiene che le mie obbligazioni alla scadenza saranno rimborsate e che mi addebita 25.000 dollari a fronte dell’assicurazione – che mi fornisce – contro il fallimento.

In cosa consiste questa assicurazione? Se ci sarà il fallimento, il banchiere mi pagherà la differenza fra quanto ho già incassato e quanto mi rimane. I 25.000 dollari sono, per la banca, un guadagno netto; di fatto non viene registrata nel bilancio nessuna passività.

Ma se l’azienda che ha emesso le obbligazioni va a gambe all’aria in 5 anni, e la mia perdita è di 800.000 dollari, il banchiere mi deve immediatamente tutti gli 800.000 dollari, che è quello che viene indicato come valore nominale del contratto. Così, a causa di tutte le variabili in gioco, il valore nominale corrente di un contratto sui derivati può solo essere ipotizzato.

Se chiedi ad un allibratore per quanto è esposto, ed immaginiamo che ti dica 100.000 dollari, lui sa che non perderà tutte le scommesse. Alcune saranno in perdita ed altre in vincita. Se è in gamba, ne ricaverà una rendita settimanale: pagherà meno scommesse di quelle che incasserà. Se gli va storta e non può pagare, allora i clienti lo cercheranno per suonargliele.

I banchieri trattano i derivati allo stesso modo: sanno che perderanno alcune scommesse, ma essendo personalità megalomaniache, si immaginano che vinceranno più di quello che perderanno e pensano quindi che più scommesse accettano, più guadagneranno. È questo il motivo per il quale il mercato dei derivati continua ad espandersi.

I venditori di derivati hanno raccolto – e fatto abboccare – vagonate di compratori che erroneamente credono di poter ridurre il proprio rischio aggiungendo derivati alle proprie operazioni esageratamente rischiose. In altre parole, se non ci fosse il mercato dei derivati, per prima cosa la gente non farebbe investimenti tanto rischiosi. La tentazione di prendere un rischio troppo alto, perché sono disponibili i derivati, si chiama azzardo morale.

È opinione dello scrivente che l’intero mercato dei derivati non sia che un pentolone interamente pieno di tale azzardo. Quando le cose andranno nuovamente male, questo mercato distruggerà l’intero sistema finanziario mondiale: banche centrali, banche, compagnie di assicurazione, portafogli di ricchi investitori, fondi pensione, ricchi fondi sovrani, tesorerie di Stato, ecc.

Ma non basta. C’è un ulteriore azzardo morale reso possibile dal mercato dei derivati: un azzardo che, per coloro che si augurano la morte del capitalismo e che invocano l’Armageddon finanziario, sembra molto vicino...

Il saggio agricoltore mette via dal raccolto di quest’anno abbastanza sementi da seminare l’anno prossimo. Questa saggezza, nel resto dell’America, si è persa: ci siamo già mangiati i semi di parecchi anni a venire.



Il grafico qui sopra mostra gli Investimenti Interni Netti [Net Domestic Invest­ment, NDI] in percentuale contro il PIL [GDP, Gross Domestic Product]. L’NDI sottrae il deprezzamento, cioè l’erosione del capitale fisso. A partire dal 1965, il tasso di crescita dell’NDI è calato, ed ora è inchiodato a zero.

Da un simile grafico si possono dedurre parecchie cose, ma una è una decisiva su tutte: una società in salute riesce a rimpiazzare con continuità il capitale di investimento, una società in declino, NO. L’economia americana richiede, perché ci sia una vera svolta, che venga reinvestito nei mezzi di produzione – beni capitale ed infrastrutture – un valore compreso fra il 6 ed il 10% del PIL.

Date le attuali condizioni economiche, la cosa è semplicemente impossibile... la scorta di semi è andata da un pezzo.

lunedì 12 novembre 2012

On 11:22 by SA DEFENZA   No comments
 organicauthority.com/

Una delle rivelazioni più illuminanti contenuta nel documentario di Jeffrey Smith’s intitolato: Roulette genetica: scommettono sulle nostre vite, è il convincente parallelo fra l’aumento dei disturbi digestivi e i cibi OGM negli ultimi 20 anni.
 
 Stando al documentario, i disordini all’apparato digerente sono cresciuti in modo esponenziale da quando gli OGM sono entrati nel nostro ciclo alimentare: sindrome dell’intestino irritato, colite ulcerosa, costipazione cronica, infezioni gastrointestinali, malattia di Crohn e riflusso acido sono diventate molto più frequenti, così come l’intolleranza al glutine e la malattia celiaca. Uno dei probabili responsabili, suggerisce Smith, è la tossina Bt (Bacillus thuringiensis), registrata presso l’EPA come ‘pesticida’; la Bt fa sì che le piante (soprattutto mais e cotone) producano esse stesse un batterio, a sua volta pesticida.

Effettivamente la tossina Bt uccide gli insetti facendone esplodere lo stomaco. Ma, mentre gli scienziati dell’industria biotecnica hanno dichiarato che il processo digestivo umano distrugge qualsiasi traccia di tossina Bt rimasta nei cibi, il continuo proliferare di disturbi digestivi, intolleranza al glutine compresa, suggerisce che le cose stiano ben diversamente. 

Smith cita uno studio condotto nel 2010 dal Department of Obstetrics and Gynecology dell’University of Sherbrooke Hospital Centre (Quebec, Canada), il quale trova la presenza della tossina Bt nel sangue del 93% delle donne incinta e nell’80% dei bambini non nati, una situazione assolutamente impossibile se le cose stessero come sostenuto dagli scienziati dell’industria biotecnica, se cioè il processo digestivo distruggesse la tossina. 

Questo video mostra la discussione fra Jeffrey Smith e Tom Materre mentre trattano in dettaglio i rapporti fra OGM e glutine. Le alterazioni delle sementi sono ritenute da tempo una causa primaria della sensibilità al glutine. E comunque un fattore considerevole. Ma Smith suggerisce che la grande presenza di OGM nella catena alimentare sia la causa della sindrome dell’intestino perforato, nella quale si accusano fori lungo tutto il tratto digestivo (cosa che coincide con l’attività della tossina Bt), che causano quell’assorbimento scorretto dei cibi capace di innescare una reazione a catena che, per esempio, implica l’invio di proteine alle cellule immunitarie e la conseguente risposta infiammatoria. 

A sua volta altre patologie, fra le quali disordini da risposta autoimmune. Mais e grano OGM, trattati con il pesticida glifosato (il Roundup della Monsanto), trattengono alti livelli del pesticida il quale, di fatto, è un antibiotico brevettato per la sua capacità di uccidere i batteri intestinali, e che a sua volta potrebbe essere la causa di un’altra patologia digestiva molto diffusa e nota come SIBO (Small Intestinal Bowel Overgrowth), nella quale si rileva uno sbilanciamento batterico nell’intestino tenue associato a numerosi altri disturbi. Negli USA: grano, soia, cotone e barbabietola da zucchero vengono d’abitudine spruzzate con il glifosato.  

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 Per ulteriori informazioni sugli OGM e la sensibilizzazione al glutine, si possono visionare i seguenti video:

https://vimeo.com/51259453
http://www.youtube.com/watch
http://www.youtube.com/watch

martedì 6 novembre 2012

On 13:16 by SA DEFENZA   No comments
www.jpost.com


NSS war game simulates regional conflict scenario of a unilateral Israeli strike without US participation.

IAF F-15s refueling midflight [file]  
Photo: Baz Ratner / Reuters

for National Security Studies (INSS), ha recentemente simulato le prime 48 ore dopo un attacco unilaterale – dunque senza partecipazione USA– portato dall’esercito israeliano contro l’Iran ed effettuato dopo la mezzanotte del 9 novembre.

L’istituto, di base nell’Università dei Tel Aviv, ha dato inizio alla simulazione con il seguente annuncio: «Al Jazeera riferisce che aerei israeliani hanno attaccato siti nucleari iraniani con tre successive ondate. Le fonti ufficiali israeliane hanno poi confermato di aver attaccato i siti nucleari iraniani visto che non c’era altra scelta». Nella proiezione, gli attacchi distruggono con successo i siti nucleari iraniani e rispediscono il programma nucleare iraniano indietro di 3 anni.

Quale parte della simulazione, l’Iran risponde con tutte le proprie forze, spara circa 200 missili Shihab contro Israele, in due ondate, ed incita i propri alleati Hezbollah, Hamas ed altre organizzazioni radicali, affinché attacchino Israele. Nel gioco di guerra, inizialmente l’Iran si astiene dall’attaccare obbiettivi USA nella regione del Golfo Persico ed Israele, forte del proprio successo, cerca di contenere gli attacchi e di far sbollire la situazione e mettere fine alle ostilità il prima possibile.

La comunità internazionale rimarrà paralizzata a causa dei tentativi russi di sfruttare la situazione per favorire i propri interessi strategici.

Nelle prime 48 ore Israele condurrà un quarto assalto contro l’Iran per completare la distruzione di un sito nucleare di primaria importanza.

Dichiara l’INSS: «Lo scopo strategico di Israele è quello di prevenire un’espansione della guerra a livello regionale e cercare di raggiungere il prima possibile un livello nel quale gli incidenti siano sotto controllo, di bassa intensità».

All’interno della simulazione, gli USA – benché non fossero stati preavvisati dell’attacco – staranno chiaramente dalla parte di Israele senza opporre divisioni, anzi mostrando un fronte unito e riducendo così le possibilità di un crescendo bellico nell’area. Manifesteranno la propria volontà di ritornare al tavolo dei colloqui con l’Iran e di alleggerire le sanzioni in cambio di un ritiro iraniano [dal programma] e dell’annuncio che cessi ogni attività nucleare a scopo militare. La posizione americana sarà dunque politica, posizione che indicherebbe un coinvolgimento solo nel caso in cui l’Iran decidesse di chiudere lo Stretto di Hormuz o attaccasse interessi od impianti petroliferi USA nel Golfo.

All’inizio, Teheran farà di tutto per evitare uno scontro armato con gli USA. Ma i partecipanti evidenzieranno come «più Teheran verrà messa all’angolo e si ridurranno le sue opzioni, più comprenderà che la sua carta migliore sarà quella di agire contro gli interessi USA nel Golfo e chiudere lo Stretto di Hormuz». Così afferma l’INSS.

Nel gioco, i vicini libanesi sciiti di Hezbollah si troveranno  a dover scegliere: da una parte saranno messi sotto pressione dagli iraniani perché colpiscano Israele con missili. Teheran dirà ad Hezbollah che «questo è il giorno del giudizio». Dall’altra, Hezbollah sarà frenato dal timore di causare, ancora una volta, danni al Libano.

Così prosegue l’INSS: «Pertanto, Hezbollah accetterà di soddisfare parzialmente le richieste iraniane e lancerà missili contro obbiettivi israeliani, soprattutto aeroporti  e sistemi di difesa attiva». Ed aggiunge: «La contenuta reazione israeliana acuisce il dilemma di Hezbollah, e ne rinforzerà la decisione di sparare un numero relativamente limitato di missili e solo su bersagli militari».

Anche il giocatore che rappresenta Hamas sceglie una partecipazione media, mostrando un certo coinvolgimento a favore dell’Iran, ma cercando di evitare di dare ad Israele un motivo per una forte offensiva di terra nella Striscia di Gaza.

Egitto, Arabia Saudita, Giordania, Stati del Golfo e Turchia agiranno tutti nel proprio interesse, prendendo le distanze dal conflitto e cercando di evitare un crescendo regionale.

L’INSS fa notare che tutti i partecipanti alla simulazione agiranno in modo «molto razionale, attivando politiche mosse solo da interessi essenziali ed ignorando i condizionamenti interni ed esterni».

All’interno della simulazione, la cittadinanza israeliana sarà in grado di accettare un conflitto esteso e ciò anche grazie alla convinzione che l’attacco all’Iran sia necessario e vitale per loro; il successo delle operazioni militari non farà che rafforzare la loro determinazione.

La Repubblica Islamica, appoggiandosi fortemente sui propri alleati, scoprirà che i propri mezzi per attaccare direttamente Israele saranno limitati. Mentre avrà maggiori possibilità di azione contro gli interessi USA nel Golfo, attraverso la minaccia della salita dei prezzi del petrolio; ma capirà ben presto quanto enorme sarebbe il costo di un coinvolgimento USA all’interno del conflitto.

«Dopo due giorni, gli iraniani – ed in misura minore i loro alleati – continuano a portare attacchi contro Israele. La crisi non sembra avvicinarsi ad una soluzione». E qui termina il gioco per l’INSS.

L’INSS ha poi dichiarato che il gioco era stato programmato all’inizio dell’anno, quando sembrava che proprio questo autunno sarebbe stato il momento decisivo per risolvere la questione iraniana realmente. «Da allora – aggiunge – le cose si sono un po’ raffreddate, ma dopo le elezioni, verso la primavera, la questione di un attacco verrà di nuovo a galla. È pertanto vitale un continuo esame delle possibili conseguenze».

Riguardo all’esito di un attacco israeliano all’Iran, all’interno dell’INSS vi sono due scuole di pensiero: la prima prevede lo scoppio di un più ampio conflitto regionale, la seconda ritiene che – data la presenza di meccanismi limitanti – siano scarse le possibilità che l’Iran possa dar fuoco al Medio Oriente.

domenica 9 settembre 2012

On 13:02 by SA DEFENZA   No comments

Di Marianne Arens
wsws.org/


MINADORIS SARDUS  photo de Fabio Dongu
Domenica sera oltre un centinaio di minatori ha iniziato una occupazione della miniera Carbosulcis, che si trova sulla costa sud-occidentale della Sardegna.
Alla fine del turno 30 minatori hanno occupato il secondo tunnel più basso del pozzo, che è a circa 400 metri di profondità. Il giorno dopo, lunedi notte, i quasi 470 lavoratori hanno deciso in un’assemblea di continuare l'occupazione. Da allora la miniera è stata occupata e gli ingressi bloccati per tutto il giorno.
I lavoratori della miniera hanno 350 kg di esplosivo che usano sotto terra per demolire le pareti rocciose. Essi minacciano di usare gli esplosivi per far saltare in aria l'intera miniera.

Carbosulcis è l'ultima miniera di carbone rimasta in Italia. I lavoratori chiedono una garanzia da parte del governo di Mario Monti che la miniera venga mantenuta. E 'stata gestita dalla Regione Sardegna a partire dal 1995.
Piani sono stati espressi per la conversione della miniera in un sistema di alimentazione "pulita" basata su carbone CCS, ossia un moderno impianto a base di carbone, per cui l’anidride carbonica è dispersa verso l'interno della terra piuttosto che scaricata nell'ambiente. Il progetto è in discussione da tempo, ma richiede grandi investimenti da parte del governo e dell'Unione Europea. Nel frattempo la miniera è a rischio di chiusura per la fine del mese di dicembre 2012 se non si troverà nessun acquirente. Il governo italiano si riunirà oggi per decidere sul futuro dell’industria mineraria in Sardegna. 

Non è la prima volta che una miniera viene occupata in questa regione. Molti lavoratori hanno partecipato in occupazioni di miniere nel 1984, 1993 e 1995. Nel 1995 l'occupazione durò 100 giorni prima che la miniera ricominciasse a funzionare con le promesse della futura introduzione della tecnologia CCS.
Oltre alla minaccia di chiusura delle miniere, la ragione per l'occupazione spontanea sono le condizioni di lavoro dei minatori. Per decenni hanno lavorato in condizioni completamente disumane e pericolose. I minatori lavorano in condizioni di calore estremo e buio. Le sezioni del tunnel si estendono per oltre settanta chilometri, fino sotto il mare. Le gallerie più profonde sono fino a 500 metri e il calore nella miniera può raggiungere i 40 gradi centigradi. Ora la miniera rischia la chiusura e tutti i posti di lavoro e i salari saranno spazzati via.
Molti lavoratori che partecipano all'occupazione hanno lavorato per decenni alla Carbosulcis, come l'artigiano Massimo, 54. Egli ha dichiarato al giornale Il Fatto Quotidiano che la quantità di polvere liberata nel processo di estrazione è talmente elevata che i minatori spesso non sono in grado di vedere per l’intero turno di otto ore.

Massimo ha due figli e ha lavorato nella miniera per 25 anni. Lui guadagna 1.500 euro al mese, ma ne deve restituirne 700 per un prestito. "Pensa cosa mi rimane. La più grande ... vorrebbe andare a studiare a Cagliari, ma non so ... se potrò permetterglielo."

Giancarlo, 52 anni, che guadagna anche lui 1.500 euro, vuole impedire che suo figlio, che ha 26 anni, diventi minatore. Il suo scopo è "arrivare alla pensione e portare mio figlio in Liguria, magari lì troverà lavoro: è sempre stato disoccupato." Ma Giancarlo non sa se potrà mai raggiungere l'età pensionabile. Il governo l’ha di recente innalzata.

Alessandro è giovane, sposato da poco e ha lavorato per cinque anni nella miniera. "Pago un mutuo di 600 euro al mese." Anche se si è formato come operaio qualificato è occupato come manovale e guadagna 1400 euro. "A 32 anni un figlio non posso permettermelo. Posso fare anche l’operaio, immerso in polvere e fango tutto il giorno, ma questo non è proprio giusto. Hanno deciso che possono cancellare il tuo futuro e non contenti poi ti schiacciano anche all’occorrenza, ma non ci faremo schiacciare da nessuno."

La regione mineraria della Sardegna ad ovest di Cagliari è considerata la casa dei poveri d'Italia con un reddito medio mensile inferiore a 1.000 euro. Su 150.000 abitanti, un terzo sono disoccupati e un altro terzo sono in pensione. In tutta la regione si trovano miniere antiquate, rovine industriali e insediamenti abbandonati.

Non lontano, sulla costa opposta della Sardegna, l'elite ricca italiana ha costruito residenze di lusso. Porto Rotondo, sul Golfo di Marinella, si estende per chilometri ed è luogo di una delle ville dell'ex Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.

Altri operai della regione stanno anch’essi lottando per la loro sopravvivenza, come ad esempio i lavoratori della società di alluminio di proprietà statunitense Alcoa. La società prevede di chiudere lo stabilimento sardo ai primi di novembre con una perdita di oltre mille posti di lavoro. Centinaia di lavoratori Alcoa hanno occupato l'aeroporto di Cagliari una settimana fa in segno di protesta. Alcuni si sono gettati nel porto per impedire al traghetto locale di attraccare al porto.
I lavoratori della fossa Carbosulcis hanno reso chiaro di non avere nulla da perdere. Mercoledì Stefano Meletti, 49 anni, si è tagliato un polso di fronte alle telecamere gridando: "Non ce la facciamo più. Non possiamo. Non possiamo. Se qualcuno qui ha deciso di ammazzare le famiglie dei minatori, signori, ci tagliamo noi, ci tagliamo noi."

I sindacati e i politici non offrono nessuna prospettiva ai minatori e stanno cercando di sabotare la loro lotta. Mettono i minatori sardi contro i loro compagni di lavoro in altre regioni come il Veneto, dove si trova la centrale di Porto Tolle tra Ravenna e Venezia. Il governo è tenuto per legge a mantenere una centrale elettrica basata sulla tecnologia CCS (Carbon Capture and Storage). I politici sardi hanno risposto chiedendo il mantenimento della Carbosulcis a scapito di Porto Tolle, che appartiene alla società elettrica a partecipazione statale ENEL.

Questa prospettiva sciovinista provinciale in Sardegna è supportata da tutte le fazioni politiche, dall’estrema destra alla cosiddetta estrema sinistra. Mauro Pili, che ha iniziato la sua carriera politica nel post-stalinista PDS (Partito Democratico della Sinistra) e ora appartiene al Pdl di Berlusconi ha dichiarato: "Il nostro nemico giurato si chiama Enel, serve un decreto immediato, che Enel ostacola. Se perdiamo la miniera ... la situazione potrebbe diventare pericolosa, molto pericolosa."

lunedì 20 agosto 2012

On 10:53 by SA DEFENZA   No comments
Alberto Bagnai
L’uscita dall’euro prossima ventura
www.ilmanifesto.it


Un anno fa, discorrendo con Aristide, chiedevo come mai la sinistra italiana rivendicasse con tanto orgoglio la paternità dell’euro: non vedeva quanto esso fosse opposto agli interessi del suo elettorato? Una domanda simile a quella di Rossanda. Aristide, economista di sinistra, mi raggelò: “caro Alberto, i costi dell’euro, come dici, sono noti, tutti i manuali li illustrano. Li vedevano anche i nostri politici, ma non potevano spiegarli ai loro elettori: se questi avessero potuto confrontare costi e benefici non avrebbero mai accettato l’euro. Tenendo gli elettori all’oscuro abbiamo potuto agire, mettendoli in una impasse dalla quale non potranno uscire che decidendo di fare la cosa giusta, cioè di andare avanti verso la totale unione, fiscale e politica, dell’Europa.” Insomma: “il popolo non sa quale sia il suo interesse: per fortuna a sinistra lo sappiamo e lo faremo contro la sua volontà”. Ovvero: so che non sai nuotare e che se ti getto in piscina affogherai, a meno che tu non “decida liberamente” di fare la cosa giusta: imparare a nuotare. Decisione che prenderai dopo un leale dibattito, basato sul fatto che ti arrivo alle spalle e ti spingo in acqua. Bella democrazia in un intellettuale di sinistra! Questo agghiacciante paternalismo può sembrare più fisiologico in un democristiano, ma non dovrebbe esserlo. “Bello è di un regno come che sia l’acquisto”, dice re Desiderio. Il cattolico Prodi l’Adelchi l’ha letto solo fino a qui. Proseguendo, avrebbe visto che per il cattolico Manzoni la Realpolitik finisce in tragedia: il fine non giustifica i mezzi. La nemesi è nella convinzione che “più Europa” risolva i problemi: un argomento la cui futilità non può essere apprezzata se prima non si analizza la reale natura delle tensioni attuali.

Il debito pubblico non c’entra.
Sgomenta l’unanimità con la quale destra e sinistra continuano a concentrarsi sul debito pubblico. Che lo faccia la destra non è strano: il contrattacco ideologico all’intervento dello Stato nell’economia è il fulcro della “controriforma” seguita al crollo del muro. Questo a Rossanda è chiaro. Le ricordo che nessun economista ha mai asserito, primadel trattato di Maastricht, che la sostenibilità di un’unione monetaria richieda il rispetto di soglie sul debito pubblico (il 60% di cui parla lei). Il dibattito sulla “convergenza fiscale” è nato dopo Maastricht, ribadendo il fatto che queste soglie sono insensate. Maastricht è un manifesto ideologico: meno Stato (ergo più mercato). Ma perché qui (cioè a sinistra?) nessuno mette Maastricht in discussione? Questo Rossanda non lo nota e non se lo chiede. Se il problema fosse il debito pubblico, dal 2008 la crisi avrebbe colpito prima la Grecia (debito al 110% del Pil), e poi Italia (106%), Belgio (89%), Francia (67%) e Germania (66%). Gli altri paesi dell’eurozona avevano debiti pubblici inferiori. Ma la crisi è esplosa prima in Irlanda (debito pubblico al 44% del Pil), Spagna (40%), Portogallo (65%), e solo dopo Grecia e Italia. Cosa accomuna questi paesi? Non il debito pubblico (minimo nei primi paesi colpiti, altissimo negli ultimi), ma l’inflazione. Già nel 2006 la Bce indicava che in Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna l’inflazione non stava convergendo verso quella dei paesi “virtuosi”. I Pigs erano un club a parte, distinto dal club del marco (Germania, Francia, Belgio, ecc.), e questo sì che era un problema: gli economisti sanno da tempo che tassi di inflazione non uniformi in un’unione monetaria conducono a crisi didebito estero (prevalentemente privato).

Inflazione e debito estero.
Se in X i prezzi crescono più in fretta che nei suoi partner, X esporta sempre meno, e importa sempre più, andando in deficit di bilancia dei pagamenti. La valuta di X, necessaria per acquistare i beni di X, è meno richiesta e il suo prezzo scende, cioè X svaluta: in questo modo i suoi beni ridiventano convenienti, e lo squilibrio si allevia. Effetti uguali e contrari si producono nei paesi in surplus, la cui valuta diventa scarsa e si apprezza. Ma se X è legato ai suoi partner da un’unione monetaria, il prezzo della valuta non può ristabilire l’equilibrio esterno, e quindi le soluzioni sono due: o X deflaziona, o i suoi partner in surplus inflazionano. Nella visione keynesiana i due meccanismi sono complementari: ci si deve venire incontro, perché surplus e deficit sono due facce della stessa medaglia (non puoi essere in surplus se nessuno è in deficit). Ai tagli nel paese in deficit deve accompagnarsi un’espansione della domanda nei paesi in surplus. Ma la visione prevalente è asimmetrica: l’unica inflazione buona è quella nulla, i paesi in surplus sono “buoni”, e sono i “cattivi” in deficit a dover deflazionare, convergendo verso i buoni. E se, come i Pigs, non ci riescono? Le entrate da esportazioni diminuiscono e ci si deve indebitare con l’estero per finanziare le proprie importazioni. I paesi a inflazione più alta sono anche quelli che hanno accumulato più debito estero dal 1999 al 2007: Grecia (+78 punti di Pil), Portogallo (+67), Irlanda (+65) e Spagna (+62). Con il debito crescono gli interessi, e si entra nella spirale: ci si indebita con l’estero per pagare gli interessi all’estero, aumenta lo spread e scatta la crisi.

Lo spettro del 1992.
E l’Italia? Dice Rossanda: “il nostro indebitamento è soprattutto all’interno”. Non è più vero. Pensate veramente che ai mercati interessi con chi va a letto Berlusconi? Pensate che si preoccupino perché il debito pubblico è “alto”? Ma il nostro debito pubblico è sopra il 100% da 20 anni, e i nostri governi, anche se meno folcloristici, sono stati spesso più instabili. Non è questo che preoccupa i mercati: quello che li preoccupa è che oggi, come nel 1992, il nostro indebitamento con l’estero sta aumentando, e che questo aumento, come nel 1992, è guidato dall’aumento dei pagamenti di interessi sul debito estero, che è in massima parte debito privato, contratto da famiglie e imprese (il 65% delle passività sull’estero dell’Italia sono di origine privata).

Cui Prodest?
Calata nell’asimmetria ideologica mercantilista (i “buoni” non devono cooperare) e monetarista (inflazione zero) la scelta politica di privarsi dello strumento del cambio diventa strumento di lotta di classe. Se il cambio è fisso, il peso dell’aggiustamento si scarica sui prezzi dei beni, che possono diminuire o riducendo i costi (quello del lavoro, visto che quello delle materie prime non dipende da noi) o aumentando la produttività. Precarietà e riduzioni dei salari sono dietro l’angolo. La sinistra che vuole l’euro ma non vuole Marchionne mi fa un po’ pena. Chi non deflaziona accumula debito estero, fino alla crisi, in seguito alla quale lo Stato, per evitare il collasso delle banche, si accolla i debiti dovuti agli squilibri esterni, trasformandoli in debiti pubblici. Alla privatizzazione dei profitti segue la socializzazione delle perdite, con il vantaggio di poter incolpare a posteriori i bilanci pubblici. La scelta non è se deflazionare o meno, ma se farlo subito o meno. Una scelta ristretta, ma solo perché l’ottusità ideologica impone di concentrarsi sul sintomo (lo squilibrio pubblico, che può essere corretto solo tagliando), anziché sulla causa (lo squilibrio esterno, che potrebbe essere corretto cooperando). Alla domanda di Rossanda “non c’è stato qualche errore?” la risposta è quella che dà lei stessa: no, non c’è stato nessun errore. Lo scopo che si voleva raggiungere, cioè la “disciplina” dei lavoratori, è stato raggiunto: non sarà “di sinistra”, ma se volete continuare a chiamare “sinistra” dei governi “tecnici” a guida democristiana accomodatevi. Lo dice il manuale di Acocella: il “cambio forte” serve a disciplinare i sindacati.

Più Europa?
Secondo la teoria economica un’unione monetaria può reggere senza tensioni sui salari se i paesi sono fiscalmente integrati, poiché ciò facilita il trasferimento di risorse da quelli in espansione a quelli in recessione. Una “soluzione” che interviene a valle, cioè allevia i sintomi, senza curare la causa (gli squilibri esterni). È il famoso “più Europa”. Un esempio: festeggiamo quest’anno il 150° anniversario dell’unione monetaria, fiscale e politica del nostro paese. “Più Italia” l’abbiamo avuta, non vi pare? Ma 150 anni dopo la convergenza dei prezzi fra le varie regioni non è completa, e il Sud ha un indebitamento estero strutturale superiore al 15% del proprio Pil, cioè sopravvive importando capitali dal resto del mondo (ma in effetti dal resto d’Italia). Dopo cinquanta anni di integrazione fiscale nell’Italia (monetariamente) unita abbiamo le camicie verdi in Padania: basterebbero dieci anni di integrazione fiscale nell’area euro, magari a colpi di Eurobond, per riavere le camicie brune in Germania. L’integrazione fiscale non è politicamente sostenibile perché nessuno vuole pagare per gli altri, soprattutto quando i media, schiavi dell’asimmetria ideologica, bombardano con il messaggio che gli altri sono pigri, poco produttivi, che “è colpa loro”. Siano greci, turchi, o ebrei, sappiamo come va a finire quando la colpa è degli altri.

Deutschland über alles.
Le soluzioni “a valle” dello squilibrio esterno sono politicamente insostenibili, ma lo sono anche quelle “a monte”. La convivenza con l’euro richiederebbe l’uscita dall’asimmetria ideologica mercantilista. Bisognerebbe prevedere simmetrici incentivi al rientro per chi si scostasse in alto o in basso da un obiettivo di inflazione. Il coordinamento del quale Rossanda parla andrebbe costruito attorno a questo obiettivo. Ma il peso dei paesi “virtuosi” lo impedirà. Perché l’euro è l’esito di due processi storici. Rossanda vede il primo (il contrattacco del capitale per recuperare l’arretramento determinato dal new deal post-bellico), ma non il secondo: la lotta secolare della Germania per dotarsi di un mercato di sbocco. Ci si estasia (a destra e a sinistra) per il successo della Germania, la “locomotiva” d’Europa, che cresce intercettando la domanda dei paesi emergenti. Ma i dati che dicono? Dal 1999 al 2007 il surplus tedesco è aumentato di 239 miliardi di dollari, di cui 156 realizzati in Europa, mentre il saldo commerciale verso la Cina èpeggiorato di 20 miliardi (da un deficit di -4 a uno di -24). I giornali dicono che la Germania esporta in Oriente e così facendo ci sostiene con la sua crescita. I dati dicono il contrario. La domanda dei paesi europei, drogata dal cambio fisso, sostiene la crescita tedesca. E la Germania non rinuncerà a un’asimmetria sulla quale si sta ingrassando. Ma perché i governi “periferici” si sono fatti abbindolare dalla Germania? Lo dice il manuale di Gandolfo: la moneta unica favorisce una “illusione della politica economica” che permette ai governi di perseguire obiettivi politicamente improponibili, cavandosela col dire che sono imposti da istanze sopraordinate (quante volte ci siamo sentiti dire “l’Europa ci chiede...”?). Il fine (della lotta di classe al contrario) giustificava il mezzo (l’ancoraggio alla Germania).

La svalutazione rende ciechi.
È un film già visto. Ricordate lo Sme “credibile”? Dal 1987 al 1991 i cambi europei rimasero fissi. In Italia l’inflazione salì dal 4.7% al 6.2%, con il prezzo del petrolio in calo (ma i cambi fissi non domavano l’inflazione?). La Germania viaggiava su una media del 2%. La competitività italiana diminuiva, l’indebitamento estero aumentava, e dopo la recessione Usa del 1991 l’Italia dovette svalutare. Svalutazione! Provate a dire questa parola a un intellettuale di sinistra. Arrossirà di sdegnato pudore virginale. Non è colpa sua. Da decenni lo bombardano con il messaggio che la svalutazione è una di quelle cosacce che provocano uno sterile sollievo temporaneo e orrendi danni di lungo periodo. Non è strano che un sistema a guida tedesca sia retto dal principio di Goebbels: basta ripetere abbastanza una bugia perché diventi una verità. Ma cosa accadde dopo il 1992? L’inflazione scese di mezzo punto nel ’93 e di un altro mezzo nel ’94. Il rapporto debito estero/Pil si dimezzò in cinque anni (da -12 a -6 punti di Pil). La bolletta energetica migliorò (da -1.1 a -1.0 punti). Dopo uno shock iniziale, l’Italia crebbe a una media del 2% dal 1994 al 2001. La lezioncina sui danni della svalutazione (genera inflazione, procura un sollievo solo temporaneo, non ce la possiamo permettere perché importiamo il petrolio) è falsa.

Irreversibile?
Si dice che la svalutazione non sarebbe risolutiva, e che le procedure di uscita non sono previste, quindi... Quindi cosa? Chi è così ingenuo da non vedere che la mancanza di procedure di uscita è solo un espediente retorico, il cui scopo è quello di radicare nel pubblico l’idea di una “naturale” o “tecnica” irreversibilità di quella che in fondo è una scelta umana e politica (e come tale reversibile)? Certo, la svalutazione renderebbe più oneroso il debito definito in valuta estera. Ma porterebbe da una situazione di indebitamento estero a una di accreditamento estero, producendo risorse sufficienti a ripagare i debiti, come nel 1992. Se non lo fossero, rimarrebbe la possibilità del default. Prodi vuol far sostenere una parte del conto ai “grossi investitori istituzionali”? Bene: il modo più diretto per farlo non è emettere Eurobond “socializzando” le perdite a beneficio della Germania (col rischio camicie brune), ma dichiarare, se sarà necessario, il default, come hanno già fatto tanti paesi che non sono stati cancellati dalla geografia economica per questo. È già successo e succederà. “I mercati ci puniranno, finiremo stritolati!”. Altra idiozia. Per decenni l’Italia è cresciuta senza ricorrere al risparmio estero. È l’euro che, stritolando i redditi e quindi i risparmi delle famiglie, ha costretto il paese a indebitarsi con l’estero. Il risparmio nazionale lordo, stabile attorno al 21% dal 1980 al 1999, è sceso costantemente da allora fino a toccare il 16% del reddito. Nello stesso periodo le passività finanziarie delle famiglie sono raddoppiate, dal 40% all’80%. Rimuoviamo l’euro, e l’Italia avrà meno bisogno dei mercati, mentre i mercati continueranno ad avere bisogno dei 60 milioni di consumatori italiani.

Non faccia la sinistra ciò che fa la destra.
Dall’euro usciremo, perché alla fine la Germania segherà il ramo su cui è seduta. Sta alla sinistra rendersene conto e gestire questo processo, anziché finire sbriciolata. Non sto parlando delle prossime elezioni. Berlusconi se ne andrà: dieci anni di euro hanno creato tensioni tali per cui la macelleria sociale deve ora lavorare a pieno regime. E gli schizzi di sangue stonano meno sul grembiule rosso. Sarà ancora una volta concesso alla sinistra della Realpolitik di gestire la situazione, perché esiste un’altra illusione della politica economica, quella che rende più accettabili politiche di destra se chi le attua dice di essere di sinistra. Ma gli elettori cominciano a intuire che la macelleria sociale si può chiudere uscendo dall’euro. Cara Rossanda, gli operai non sono “scombussolati”, come dice lei: stanno solo capendo. “Peccato e vergogna non restano nascosti”, dice lo spirito maligno a Gretchen. Così, dopo vent’anni di Realpolitik, ad annaspare dove non si tocca si ritrovano i politici di sinistra, stretti fra la necessità di ossequiare la finanza, e quella di giustificare al loro elettorato una scelta fascista non tanto per le sue conseguenze di classe, quanto per il paternalismo con il quale è stata imposta. Si espongono così alle incursioni delle varie Marine Le Pen che si stanno affacciando in paesi di democrazia più compiuta, e presto anche da noi. Perché le politiche di destra, nel lungo periodo, avvantaggiano solo la destra. Ma mi rendo conto che in un paese nel quale basta una legislatura per meritarsi una pensione d’oro, il lungo periodo possa non essere un problema dei politici di destra e di sinistra. Questo spiega tanta unanimità di vedute.

lunedì 2 luglio 2012

On 15:00 by SA DEFENZA   No comments

Le bugie hanno le gambe corte

di Moreno Pasquinelli

Un nostro lettore, a conferma che i media italiani hanno adottato rispetto a Monti il medesimo stile di 
Tabella n.1 Clicca per ingrandire
Minzolini verso Berlusconi, ovvero spacciato il vertice europeo del 28-29 giugno come una "italica salvifica vittoria", ci fa notare quanto dichiarato da Monti stesso alWashington Post: «Se gli Italiani si scoraggiassero vedendo i loro sforzi vani, ciò potrebbe scatenare forze politiche che diranno "abbandoniamo l’integrazione Europea, abbandoniamo l’euro, che questo o quel grande paese vadano tall’inferno", il che potrebbe essere un disastro per l’intera Unione Europea».

Ecco qua, spiegato a chiare lettere, la ragione di tante bugie, la panoplia di cazzate sulle decisioni assunte dal Vertice europeo del 28 e 29 giugno. Se parliamo di "concessioni" della Merkel l'unica è stata appunto quella di permettere a Monti di tornare in Italia a vendere la sua patacca senza rischio di smentita. Eh sì, perché gli oligarchi se non riusciranno a salvare l'euro dalle imboscate dei mercati finanziari, vogliono almeno salvare l'Unione e se stessi dalla vendetta popolare. I lupi della finanza speculativa non puoi fregarli con le frottole, i sudditi invece sì, devi ingannarli per tenerli in stato di minorità, altrimenti sono guai.

Malgrado i mugugni rispetto alla mia lettura a caldo del vertice (Molto fumo e poco arrosto) come fallimentare, non ritiro una virgola. Quando scrivevo, venerdì scorso, mi basavo sulle primissime notizie filtrate. Ora è noto il testo del protocollo contenente le misure. Abbiamo ascoltato le dichiarazioni dei primi ministri, tra cui la Conferenza stampa di Monti —una conferma lampante di quanto questo grigio cardinale sia mendace: 14 minuti su 17 e mezzo spesi a dire quanto importanti sono le decisioni assunte a favore della crescita, tanto per acquietare i suoi peones italiani, per il resto, sulle "audaci misure salva-spread", toccata e fuga. E abbiamo anche i commenti, a bocce ferme, degli analisti e degli economisti, i quali non saranno delle cime in economia politica, ma i conti li sanno fare. A due giorni dalla chiusura del vertice la musica è cambiata: dall'euforia si è passati velocemente allo scetticismo ed infine all'inquietudine. Ma andiamo con ordine.


Ad un'analisi più attenta
Tabella n.2 Clicca per ingrandire

Due cose di una certa importanza, modificano il quadro rispetto a venerdì scorso. La prima è che in caso di salvataggio di un paese —ovviamente non lo chiamano così, non lo chiamano bailout, visto che se c'è un salvataggio c'è un default, e questa parola non si deve pronunciare— da parte del MES (ilPatto di stabilità europea o European Stability Mechanism) non ci sarà, come invece avevo scritto, la supervisione della troika(Fmi, Bce,Ue). Ma questo l'aveva detto Draghi nella notte di venerdì lasciando il Vertice. Evidentemente la cosa è stata rimossa all'ultimo minuto, appunto per salvare la faccia Spagna e Italia, che non vogliono essere equiparati alla Grecia. Tuttavia, pur sempre senza la troika, le condizioni per accedere ai finanziamenti del MES [1] saranno più che mai stringenti, cioè solo a condizione che i paesi sotto attacco speculativo abbiano attuato pienamente le clausole micidiali del Fiscal compact, ovvero applicato alla lettera le cure da cavallo rigoriste. V'è infine un'ultimo punto. Il sostantivo "aiuto" è ingannevole. Va bene che il Mes non avrà lo status di "prestatore privilegiato", ma a quale tasso d'interesse i soldi verranno prestati? A quelli di mercato come sembra? O a tassi di vantaggio? Questo verrà stabilito più avanti, conta dire che la Grecia, con certi "aiuti" è stata definitivamente affossata e spinta nel default di fatto.

La seconda cosa è che il MES potrà devolvere le sue risorse, non solo per il salvataggio delle banche, potrà anche soccorrere, per calmierare gli spread, gli stati indebitati acquistando i loro titoli di Stato, non solo sul secondario ma direttamente nelle aste.
Tabella n.3 Clicca per ingrandire

La bomba delle banche

Ma prima di andare a vedere questo aspetto restiamo un attimo alle banche europee, sulla cui disastrosa situazione colpevolmente si sorvola. La Tabella n.2 indica a i livelli stratosferici raggiunti dalle passività del sistema bancario. Bombe pronte ad innescare esplosioni a catena, davanti a cui nessuno stato, nemmeno la Germania, potrebbero far fronte. 


La tabella n.3 mostra l'incidenza dei derivati in relazione al Pil in alcuni paesi europei. Non ci credete vero? Pensavate forse che i biscazzieri fossero solo gli anglosassoni? Vi sbagliavate. E non pensate che gli svizzeri giochino in proprio, che sono invece il terminale neanche occulto delle banche dell'eurozona, che usano la Svizzera come rifugiooffshore. La Tabella n.4, per una definitiva comprensione di quanto enorme sia il peso dei sistemi bancari e della finanza, indica l'incidenza degli strumenti finanziari. 
Tabella n.4 Clicca per ingrandire

Come potete vedere essa consiste in più del doppio del prodotto interno lordo, mentre le scommesse sui derivati ammontano al 53% del Pil europeo, quasi il doppio di quanto avviene negli USA. La crescita nel 2011 mette poi in luce dove sia finita la messe di "aiuti" forniti dai governi e dalla Bce alle banche già due volte sull'orlo del collasso sistemico.
Il tutto a dimostrare che esplosioni a catena dei sistemi bancari sono altamente probabili, che il problema va ben al di là della Spagna (vedi Tabella n.1), e che il contagio alla sfera dei debiti sovrani sarebbe inevitabile. Per questo la tanto strombazzata "Unione bancaria", per gli stessi addetti ai lavori, non è più che un titolo: «Il problema è che, oltre alle speranze l'integrazione bancaria non è uscita dal cappello dei leader europei. La soluzione trovata, in realtà, è solo una mezza soluzione: di questo i mercati ne sono consapevoli». [2]
Con ciò torniamo alla questione delle misure decise dal vertice per tenere sotto controllo glispread tra i titoli di stato ed evitare che i rendimenti di quelli spagnoli, italiani, francesi ecc. schizzino alle stelle.

Lo scudo bucato


Tabella n.5 Clicca per ingrandire
Se teniamo presente i due principali fattori di crisi finanzaria, le banche e i debiti degli stati dell'eurozona (praticamente il 100% del PIl: circa 12mila Miliardi), salta agli occhi che le  misure adottate dal vertice non sono affatto adeguate a sventare una tempesta. 

Non lo sono per tre ragioni. (1) La prima è che le modalità di questi salvataggi (il diavolo si nasconde nei dettagli) [3] non sono state indicate, e quindi i "mercati" vedono bene che la Germania non farà da scudo ai Piigs. (2) La seconda è che gli stati potranno attingere alle risorse del MES non prima del dicembre 2012, a babbo forse già morto —la tempesta finanziaria, come noi riteniamo, potrebbe sopraggiungere prima. (3) La  terza è che la dotazione del MES (200 miliardi circa ora disponibili,  348 in futuro) è con ogni evidenza del tutto insufficiente per parare il colpo probabile dell'esplosione combinata della bomba bancaria e dei quella dei debiti sovrani. [4] 

Passata la sbornia, per farla breve, solo giornalisti servili persistono nel reggere il moccolo finto-ottimista di Monti-zombi. Per quanto ci si giri attorno il vertice è stato, per il governo italiano e i sogni di gloria euristi, un fallimento, è lo è stato perché le tre misure-tampone  davvero serie che potevano allontanare l'implosione dell'euro (tagliando con l'accetta, keynesiane) non sono state adottate. [5] I pescecani della grande finanza americana, che questo si attendevano dal Vertice, e che non vogliono "restare col cerino acceso in mano" (ovvero saranno fulminei nel vendere titoli e obbligazioni europee prima che sia troppo tardi scatenando l'apocalisse) senza peli sulla lingua, affermano che l'euro abbia sei-otto mesi di vita. [6]

La vittoria della Merkel

Avviandoci alle conclusioni non potevamo non prenderci la rivincita sull'ultima ma più pittoresca fanfaluca dei media italiani sentinelle del governo Napolitano-Monti. Essi, presi dall'euforia, hanno lasciato intendere, alcuni lo hanno detto apertis verbis, che la Merkel sarebbe uscita dal vertice con le ossa rotte. La madre di tutte le bugie. A bocce ferme si ammette adesso che la Cancelliera tedesca non ha mollato l'osso, che ha ottenuto molto di più di quanto non appaia, e ha vinto sia sulle condizioni stringenti per accedere agli "aiuti" del MES, sia nell'impedire che la sua "potenza di fuoco" fosse aumentata. La formica tedesca, malgrado l'ultimo ciclone sull'euro, non caccerà un soldo in più di quanto già previsto per salvare le cicale mediterranee e quelli già resi disponibili, li venderà a caro prezzo, a condizione che i "bisognosi" accettino l'intrusione tedesca nonché di vendere i loro gioielli di famiglia.  [7]
"Volete più Europa? allora dovete fare ulteriori cessioni si sovranità, rafforzare quella tedesca a scala continentale".
«Ma più Europa significa meno sovranità. A parole è facile accettarlo, ma i problemi sorgeranno quando ci si renderà conto che, realisticamente, non si tratterà di cedere sovranità al Lussemburgo o a Cipro, ma... alla Germania». [8] Che gli epigoni di Syriza in Italia aprano dunque bene le orecchie.

Col che il problema non è più economico, ma squisitamente politico, di portata strategica. Per il nostro paese, per il popolo lavoratore italiano, si tratta del loro stesso destino. Un affare troppo serio per lasciarlo in mano a ragionieri cerulei, a partiti moribondi, ad una sinistra guidata da mezze calzette o a movimenti buoni a canalizzare la protesta ma radicalmente incapaci di dargli un consistenza propositiva degna di questo nome. I segni del risveglio popolare ci sono, c'è bisogno di costruire una potenza politica che abbia idee e proposte chiare e precise, fiducia nel popolo, coraggio di gettarsi nella mischia che verrà, e una fede incrollabile nella vittoria.

Note

[1] Il cui meccanismo capestro riconfermiamo: «Come si sa, questi fondi vengono elargiti dagli stessi stati membri, tra cui gli stessi che dovranno ricorrere agli aiuti. Un meccanismo quantomeno singolare per cui, Spagna e Italia, potranno sì attingere alle risorse del MES e del Efsf, ma solo dopo che avranno sborsato le loro quote (solo l'Italia ha un onere di 139 miliardi). In altre parole per calmierare lo spread questi paesi dovranno indebitarsi ulteriormente, col che non solo crescita del debito ma addio al pareggio di bilancio». [Molto fumo poco arrosto]
[2] Morya Longo. Il SOle 24 ore del 30 giugno 2012
[3] «Mancano ora i chiarimenti fondamentali su risorse, tempistica, ruolo della Bce e subordinazione dei creditori privati detentori di titoli di stato nel caso di acquisti da parte del MES». Isabella Bufacchi. Il Sole 24 Ore del 1 luglio 2012
[4] «Ecco allora che, se i mercati da domani dovessero concentrarsi sui numeri, i preannunciati interventi di acquisto di titoli di stato su primario e secondario in chiave di scudo anti-spread a favore di Italia e Spagna andrebbero a scontrarsi con le scarse risorse a disposizione». Ibidem
[5] «Ci sono tre misure tampone che i mercati ritengono "corpose", che considerano necessarie onde evitare la loro fuga dall'Unione europea. Il fatto è che nessuna di esse verrà adottata dal vertice. Quest'ultimo non vincerà infatti l'opposizione tedesca agli eurobond, ovvero la mutualizzazione o condivisione dei costi dei debiti pubblici. Nè sarà vinta l'opposizione tedesca a far si che la Banca centrale europea possa acquistare direttamente i titoli degli stati sull'orlo del default. La Bce, infine, non sarà autorizzata ad imitare la Fed americana, ad avviare una politica diQantitative easing, ovvero la creazione di nuova moneta». Moreno Pasquinelli. Il momento delle verità è arrivato. SollevAzione del 26 giugno
[6] «L'America è ossessionata dalla nostra crisi. Obama sa che un peggioramento della crisi renderebbe molto più difficile la sua rielezione. A Wall Street si temono ulteriori perdite: l'ex segretario al Tesoro John Snow che oggi lavora con Cerberus, un grande hedge fund, mi dice di essere convinto che alla fine l'euro non ce la farà. Alan Greenspan ha dato un quadro poco rassicurante in una cena privata pochi giorni fa a Park Avenue a New York. E il candidato repubblicano Mitt Romney non perde occasione per attaccare Obama dicendo :"se sarà rieletto ci trasfomerà in un paese socialista come l'Europa e con gli stessi problemi dell'Europa". Se noi europei cercheremo oggi l'accordo a Bruxelles rishciamo di essere danneggiati da una retorica antieuro. Vero? "Non c'e' un disegno anti euro- mi dice il direttore finanziario di una delle piu' importanti banche americane - L'euro e' oggettivamente in pericolo, se non domani fra sei – otto mesi, quando i nodi verranno al pettine. Mi chiedo: devo fidarmi di questo vertice? Con quali precedenti? L'unica mia certezza è che non voglio restare col cerino in mano"». Mario Platero. Il Sole 24 Ore del 29 giugno
[7] «C'è molta ambiguità nel documento ufficiale: esso parla sia di "ricapitalizzazione" sia di "assistenza finanziaria". Se il fondo salva stati ricapitalizzerà direttamente le banche, si accollerà i rischi di un azionista ma anche una quota di controllo, e potrebbe voler imporre condizioni su azionisti, obbligazionisti e management». Roberto Perotti. Il Sole 24 Ore del 1 luglio 2012
[8] Ibidem

sabato 12 maggio 2012

On 14:00 by SA DEFENZA   No comments
Charles Hugh Smit
http://www.oftwominds.com/blogmay12/debt-serfdom5-12.html
tradutzioni de Sa Defenza

Charles Hugh Smith
Charles Hugh Smith
 



L'essenza della servitù della gleba  è il debito ed esso  aumenta per compensare salari stagnanti.

Parlo spesso della servitù della gleba del debito; eccola catturata in un unico grafico. 


 le dinamiche di base sono tutte lì,  e si leggono tra le righe:

1. La Finanziarizzazione degli Stati Uniti e delle economie globali devia il reddito dal capitale e da coloro che beneficiano della globalizzazione / "l'innovazione finanziaria;" reddito per la parte superiore del 5% sorge spettacolare in termini reali per il fondo anche se per l'80% i salari stagnano o declinano.

2. In precedenza le famiglie della classe media (o coloro che si percepiscono come classe media) compensavano il ristagno dei redditi e l'aumento dei costi con prendere denaro in  prestito : carte di credito, prestiti per auto, prestiti per gli studenti, ecc.  In effetti, il  reddito   è stato sostituito dal debito.

3. La bolla di Internet ha potenziato i redditi , consentendo la parte inferiore del 95% di ridimensionare parte del proprio debito finanziario.

4. Quando la  bolla / speculativa  è spuntata, i redditi delle famiglie son precipitati sino a indebitarsi pesantemente con il loro bene primario, la casa, tramite linee di iniquità domestica del credito (HELOCs), dei mutui, ecc .

5. I redditi dei top è salito del 5% e queste famiglie poterono ridurre il loro debito (deleverage) prima che la bolla immobiliare comparisse.

 


Ecco un grafico reale (aggiustati in base all'inflazione) dei redditi, per gentile concessione di analista Doug breve: si noti che i redditi dell'80% è stato basso per decenni, mentre la parte superiore del 20% ha registrato una crescita modesta che, una volta apparsa la bolla immobiliare è svanita. Solo il 5% ha registrato un'espansione significativa di reddito. Si noti che il reddito del top 20% e del superiore 5% è decollata nel 1982, una volta che la finanziarizzazione è diventata la forza dominante dell'economia.





È interessante notare che possiamo vedere la doppia bolla (dot-com/internet e immobiliaria) nelle fasce alte di reddito, in quanto queste bolle speculative hanno potenziato le plusvalenze e le speculazioni a base di reddito. Poiché  l'80% inferiore aveva un piccolo capitale da investire  nelle bolle speculative hanno registrato poca perdita nelle loro entrate.

Tiriamo le somme: la finanziarizzazione e la sostituzione delle entrate con il  debito hanno fatto il loro corso. Tempi che non tornano, e non importa quanto duramente la Federal Reserve spinge una impossibile corda.  Entrambe queste tendenze  hanno tracciato delle curve a S e sono ora nel loro declino finale:


Coloro che sperano che l'economia stia "recuperando" sul dorso dei giochi di prestigio della speculazione finanziaria   e del ricorso ai  prestiti da parte del 95% più debole allora saranno profondamente delusi quando alla fantasia si sostituirà la nuda realtà. 

 Charles Hugh Smith