giovedì 4 luglio 2013
On 07:18 by SA DEFENZA No comments
I dieci sensi del cervello per sapere dove siamo
Il cervello non ha un unico senso della posizione, ma molti di più: almeno quattro, se non addirittura dieci. Questa concezione modulare del funzionamento cerebrale – individuata attraverso una ricerca su topi da laboratorio - contrasta con tutti i modelli ritenuti validi finora (red)
Come fa il cervello a percepire la propria posizione? Probabilmente usando diversi moduli, che condividono una parte comune – un sistema di posizionamento che traccia i movimenti – ma si distinguono per altre caratteristiche peculiari. È quanto hanno dimostrato i ricercatori del Kavli Institute for Systems Neuroscience della Norwegian University of Science and Technology guidati da Hanne Stensola, che firmano un articolo di resoconto sulla rivista "Nature".
“I nostri sensi della posizione sono almeno quattro ma potrebbero arrivare fino a dieci”, spiega Edward Moser, direttore del Kavli Institute. “Ciascuno di essi ha una propria scala per rappresentare l'ambiente circostante, dalla più fine alla più grossolana. I moduli reagiscono in modo differente ai cambiamenti dell'ambiente, e operano indipendentemente sotto diversi aspetti”.
Questa sorprendente conclusione è stata raggiunta grazie a una ricerca sui topi, in cui sono state condotte estese misurazioni in una regione del cervello delle dimensioni di un seme d'uva, concentrandosi in particolare sulle cellule a griglia, un tipo di cellule specializzate che devono il loro nome alla capacità di formare nel cervello griglie esagonali corrispondenti a una mappa mentale dell'ambiente circostante.

Dopo aver analizzato l'attività di circa 1000 cellule, i ricercatori sono riusciti a concludere che il cervello non possiede un'unica modalità di formazione di una mappa interna della propria posizione, ma diverse. Il numero è ancora incerto: gli autori ritengono che ve ne siano almeno quattro, ma potrebbero essere addirittura dieci.
Questo concetto della modularità cambia completamente il modello di funzionamento del cervello accettato finora, in particolare per quel che riguarda centri deputati al controllo dei centri sensoriali: nella visione standard, infatti, due cellule in zone adiacenti rispondono con schemi attivazione tra loro molto simili. Inoltre, la modularità è stata riscontrata nella corteccia, in aree sensoriali non associate né alla percezione né al movimento.
martedì 2 luglio 2013
On 12:35 by SA DEFENZA No comments
Pubblichiamo questo articolo in primo luogo per i numerosi link di indubbio interesse che vi sono contenuti, e che chiariscono importanti dettagli su quell’anticipo di disclosure rappresentato dall’ormai noto episodio del “fuori onda di Medvedev”.
Quanto al merito principale, ossia sul confronto coperto in corso tra Russia e Usa in merito agli annunci della presenza ET, non è dato sapere nulla di realmente certo vista la grande confusione disinformativa di questo momento, anche se l’imminenza che una divulgazione possa finalmente iniziare è ormai più che palpabile.
Jervé
Un sorprendente report del Ministero degli Affari Esteri ( MAE ) in relazione al primo ministro Medvedev ai lavori del Forum economico mondiale(WEF) di questa settimana afferma che la Russia avverte il presidente Obama che “è giunto il momento” per il mondo di conoscere la verità sugli alieni, e se gli Stati Uniti non parteciperanno all’annuncio, il Cremlino lo farà da solo.
Il World Economic Forum è una fondazione no-profit svizzera, con sede a Cologny, Ginevra e si descrive come un’organizzazione internazionale indipendente impegnata a migliorare lo stato del mondo, deve coinvolgere le imprese, i leader politici, accademici e altri della società per dare forma globale, ai programmi regionali e all’industria.
Il Forum è meglio conosciuto per il suo incontro annuale a Davos, una località di montagna nei Grigioni, nella regione orientale Alpi della Svizzera. L’incontro riunisce circa 2.500 dirigenti aziendali di vertice, leader politici internazionali, intellettuali e giornalisti selezionati per discutere le questioni più urgenti di fronte al mondo, tra cui la salute e per l’ambiente.
Medvedev è previsto che debba aprire il forum di quest‘anno in cui ben 50 capi di governo, tra cui la Germania di Angela Merkel e della Gran Bretagna David Cameron, saranno presenti i cinque giorni di incontri che iniziano il 23 gennaio.
Critico da notare in questo forum anni è che il WEF, nel loro documento 2013 Sintesi, prevista per il dibattito e la discussione di un numero di elementi nel quadro dei loro fattori X di Naturacategoria, e che comprende la “scoperta di vita aliena“, di cui sono stato: ” La prova della vita altrove, nell’universo potrebbe avere profonde implicazioni psicologiche per i sistemi di credenze umane. ”
Altrettanto importante da notare è che Medvedev, dopo aver terminato il 7 dicembre 2012 una intervista filmata con i giornalisti a Mosca, ha continuato a rispondere ai giornalisti e ha fatto alcuni commenti fuori onda “senza rendersi conto che il suo microfono era ancora in corso”. Allora gli è stato chiesto da un giornalista se ” al presidente sono consegnati documenti segreti sugli alieni quando riceve la valigetta necessaria per attivare l’arsenale nucleare russo, e “Medvedev ha risposto :
“Insieme con la valigetta con i codici nucleari, al presidente del paese è data una cartella speciale ‘top secret’. Questa cartella nella sua interezza contiene informazioni sugli alieni che hanno visitato il nostro pianeta … Insieme a questo, è data una relazione del servizio assolutamente segreto speciale che esercita il controllo sul stranieri sul territorio del nostro paese … Per informazioni più dettagliate su questo argomento si può ottenere da un noto film intitolato Men In Black … io non vi dico quanti di loro sono in mezzo a noi, perché può causare il panico. “
Fonti di notizie occidentali di reporting sulla risposta scioccante di Medvedev circa gli alieni ha dichiarato che stava “scherzando”, dal momento che ha ricordato il film Men In Black , che erroneamente è stato giudicato un riferimento a quello americano del 1997, commedia fantascientifica d’avventura su due agenti top secret che combattono gli alieni negli Stati Uniti.

Laddove le fonti di notizie occidentali hanno detto che Medvedev affermasse: ” Informazioni più dettagliate su questo argomento si possono avere da un famoso film intitolato “Men In Black ” “la sua risposta reale è invece stata,”È possibile avere informazioni più dettagliate dopo aver visto il film documentario che ha lo stesso nome ”
La ragione per le prese occidentali di notizie di propaganda parole Medvedev deliberatamente distorcendo diventano evidenti dopo la sua dichiarazione scioccante, e come evidenziato solo un esempio della loro segnalazione così chiamato per questa comunicazione di vita aliena essere già sul nostro pianeta in cui il titolo di tale una articolo era ” il primo ministro russo Dmitri Medvedev fa una crepa sugli alieni, e i cospirazionisti subito perdono la testa. “
Se qualcuno sta “perdendo la testa” a causa degli alieni, si deve sottolineare, non è certamente la Russia, ma il Vaticano, che nel novembre 2009 ha annunciato che si stava ” preparando per la comunicazione della presenza extraterrestre “.
Allo stesso modo, e apparentemente, a “perdere la testa” sono funzionari del governo degli Stati Uniti stessi, come ad esempio l’ex consulente del Pentagono Timothy Good, e autore diAbove Top Secret: The Worldwide UFO Cover-Up, che nel febbraio 2012 ha dichiarato che l’ex presidente Dwight Eisenhower aveva avuto tre incontri segreti con gli alieni che erano di aspetto ‘Nordico’ e con i quali un ‘patto’ è stato firmato per mantenere segreta la loro agenda sulla Terra.
Con la recente scoperta nella città russa di Vladivostok di 300 milioni di anni fa UFO denti della ruota , e gli scienziati, astronauti e gli utenti di YouTube notifica eventi sempre più strani sulla luna , l’agenzia spaziale europea notifica la loro scoperta di un antico 1000 fiume su Marte , e nel Regno Unito e dello Sri Lanka gli scienziati dicono che ora hanno “la prova solida roccia di vita aliena “, dopo aver trovato le alghe fossili all’interno meteorite, gli unici che sembrano essere veramente” perdere le loro menti “sono gli occidentali, in particolare americani, propagandisti che per decenni hanno coperto una delle storie più importanti di tutta la storia umana riguardo al fatto che “non siamo soli”.
Se Medvedev sarà in grado di convincere il regime di Obama a dire la verità su UFO e alieni al WEF di questa settimana non è ancora dato sapere.
Ciò che sappiamo comunque è che, con o senza gli Stati Uniti, sarà il Cremlino sicuramente a iniziare il processo di divulgazione della verità su ciò che noi già sappiamo essere vero.
Fonte italiana: iconicon.it/blog
Fonte originale: http://www.eutimes.net – Attraverso: http://www.whatdoesitmean.com
martedì 25 giugno 2013
On 06:27 by SA DEFENZA No comments
DI REX WEYLER
greenpeace.org
Sappiamo esattamente cosa uccide le api. L’estinzione delle colonie di api in tutto il mondo non è un grande mistero come vorrebbero farci credere le aziende chimiche. La natura sistemica del problema lo rende un affare complesso, ma non impenetrabile. Gli scienziati sanno che le api stanno morendo a causa di una serie di fattori quali pesticidi, siccità, distruzione del loro habitat naturale, riscaldamento globale e così via. Le cause di tale scomparsa sono in relazione tra loro e strettamente connesse ma sappiamo che il responsabile è l’uomo e che le cause principali sono i pesticidi e la distruzione del loro habitat naturale.
I biologi hanno trovato tracce di 150 diversi pesticidi chimici nel polline delle api, un cocktail di pesticidi mortale secondo Eric Mussen, apicoltore della University of California. Le aziende chimiche Bayer, Syngenta, BASF, Dow, DuPont e Monsanto hanno scrollato le spalle per questa complessità sistemica, come se il mistero fosse troppo complesso per essere svelato. Non hanno messo in atto alcun cambiamento in merito alle politiche sui pesticidi. Dopo tutto, la vendita di veleni a coltivatori in tutto il mondo, è vantaggiosa.
Come se non bastasse, l’habitat delle api selvatiche si riduce di anno in anno a causa dell’attività agroindustriale che distrugge praterie e foreste per lasciar spazio alle monocolture che sono contaminate dai pesticidi. Per fermare il processo di estinzione delle api, dobbiamo rivedere il nostro sistema agricolo malato e distruttivo.
La scomparsa delle api
L’Apis mellifera, o ape mellifera, nativa d’Europa, Africa e Asia occidentale, sta scomparendo. Anche l’ape mellifera orientale, o Apis cerana, sta dando i primi segni di estinzione.
Tale estinzione non è un fatto irrilevante. Le api mellifere, sia selvatiche che domestiche, sono responsabili dell’80% dell’impollinazione del nostro pianeta.
Una sola colonia di api può impollinare 300 milioni di fiori ogni giorno. I cereali sono principalmente impollinati dal vento ma i cibi più salutari, quali frutta, noci e verdura sono impollinate dalle api. Settanta delle 100 specie di colture alimentari dell’uomo, che corrispondono al 90% del nutrimento mondiale, sono impollinate dalle api.
Tonio Borg, commissario europeo per la salute e le politiche dei consumatori, ha calcolato che le api “contribuiscono all’agricoltura europea per una cifra pari a 22 miliardi di euro (30 miliardi di dollari US)”. Nel mondo si stima che il valore dell’impollinazione connessa alla produzione di cibo per l’uomo, da parte delle api, superi i 265 miliardi di euro (350 miliardi di dollari US). L’estinzione delle api è una sfida come il riscaldamento globale, l’acidificazione degli oceani e la guerra nucleare. L’uomo difficilmente sopravvivrebbe ad un’estinzione totale delle api.
Le api operaie (femmine) vivono per alcuni mesi. Le colonie producono continuamente nuove api operaie durante il periodo primaverile e in quello estivo. La produzione invece rallenta durante i periodi invernali. Solitamente il numero di api in un alveare o in una colonia diminuisce dal 5 al 10% durante l’inverno per ristabilirsi durante la primavera. Durante gli anni meno fortunati una colonia può perdere il 15-20% delle sue api.
Negli, USA, primo paese in cui le api hanno iniziato a scarseggiare, le perdite invernali raggiungono il 30-50% o peggio. Nel 2006 David Hackenberg, un apicoltore con 42 anni di esperienza, ha rilevato perdite del 90% tra i suoi 3000 alveari. La National Agriculture Statistics Service (NASS, branchia statistica del Dipartimento dell’Agricoltura USA, n.d.t.) dimostra la scomparsa delle api: si è passati da 6 milioni di alveari nel 1947 a 2,4 milioni di alveari nel 2008, una riduzione del 60%.
Il numero delle colonie di api operaie per ettaro fornisce una visione critica sulla salute delle colture. Negli Stati Uniti, tra le coltivazioni che richiedono impollinazione da api, il numero di colonie è diminuito del 90% rispetto al 1962. Le api non fanno in tempo a sostituire le perdite invernali e subiscono la perdita del loro habitat naturale.
L’Europa reagisce ma gli Stati Uniti esitano
In Europa, Asia e Sud America il numero di perdite annuale è inferiore a quello degli Stati Unti, ma la tendenza è simile con una risposta più incisiva. La Rapobank sostiene che in Europa le perdite annuali raggiungono il 30-35% e che il numero di colonie per ettaro è diminuito del 25%. Negli anni ’80, a Sichuan, in Cina, i pesticidi destinati alla coltivazione di pere hanno annientato le api locali e gli agricoltori locali sono ora costretti ad impollinare a mano con i piumini da spolvero. Uno studio scientifico delle Autorità Europee per la Sicurezza Alimentare mostra che tre dei pesticidi più largamente utilizzati (clothiniadina, imidacloprid e thiametoxam), a base di nicotina, costituiscono un rischio elevato per le api.
Un report scientifico di Greenpeace identifica sette principali pesticidi mortali per le api, inclusi i tre colpevoli a base di nicotina, oltre a clorpyriphos, cypermethrin, deltamethrin e fipronil. I tre neonecotinoidi agiscono sul sistema nervoso dell’insetto. Si accumulano nelle singole api e in intere colonie, anche nel miele che usano per sfamare le larve appena nate. Le api che non muoiono immediatamente, subiscono effetti sistemici subletali, difetti dello sviluppo, debolezza e perdita dell’orientamento.
La scomparsa lascia scampo a poche api e quelle che sopravvivono sono deboli e devono lavorare di più per produrre miele in un habitat consumato. E’ questo l’incubo che sta portando alla scomparsa delle colonie d’api.
L’ imidacloprid e il clothianidin sono prodotti e commercializzati dalla Bayer: la thiamethoxam è invece prodotta dalla Syngenta. Nel 2009 questi tre veleni hanno raggiunto un giro d’affari di 2 miliardi di euro sul mercato mondiale. Quasi il 100% del mercato mondiale di pesticidi, piante e semi geneticamente modificati (OGM) è controllato da Syngenta, Bayer, Dow, Monsanto e DuPont. Nel 2012, un tribunale tedesco ha condannato Syngenta per falsa testimonianza per aver nascosto il report prodotto dalla multinazionale stessa che spiegava come il granturco geneticamente modificato avesse causato la morte del bestiame. Negli Stati Uniti l’azienda ha sborsato 105 milioni di dollari per una causa collettiva per aver inquinato l’acqua potabile di oltre 50 milioni di cittadini con il suo pesticida Atrazine. Oggi queste inquinanti aziende finanziano campagne da milioni e milioni di euro per negare le loro responsabilità in relazione alla scomparsa delle colonie d’api.
Lo scorso Maggio, la Commissione Europea ha proibito l’utilizzo dei neonicotinoidi per due anni e un divieto più lungo su altri pesticidi. Gli scienziati utilizzeranno questo tempo per favorire il recupero delle api sul lungo termine.
Nel frattempo gli Stati Uniti tergiversano e sostengono le aziende che producono e commercializzano i veleni mortali. Mentre l’Europa a maggio entrava in azione, l’EPA (Agenzia americana per la protezione dell’ambiente) stava approvando l’uso dei pesticidi nicotinoidi, nonostante il report del ministero americano dell’agricoltura rivelasse i rischi legati alla scomparsa delle colonie d’api. Sempre nello stesso mese, il presidente Obama ha firmato il famigerato “Monsanto Protection Act”, scritto dai lobbisti della Monsanto, grazie al quale le compagnie biotecnologiche ottengono l’immunità nelle corti federali degli Stati Uniti per i danni causati alle persone e all’ambiente dai loro interessi commerciali.
Le soluzioni esistono
Il buonsenso potrebbe risanare e proteggere il mondo delle api. Le soluzioni sono state fornite da gruppi di apicoltori esperti, contadini, dalla Commissione Europea e da un report scritto da Greenpeace, Bees in Decline, e sono le seguenti:
• Proibire i sette pesticidi più pericolosi;
• Proteggere la salute degli impollinatori preservando l’ambiente in cui vivono;
• Ripristinare l’agricoltura biologica.
L’agricoltura biologica è la nuova tendenza verso il futuro che porterà ad una stabilizzazione della produzione di alimenti per l’uomo e alla protezione delle api e del loro habitat. Il Bhutan è il primo paese al mondo ad avere una politica agricola biologica al 100%. Il Messico ha proibito il granturco geneticamente modificato per proteggere le specie native. Lo scorso gennaio otto paesi europei hanno proibito le colture OGM e l’Ungheria ha bruciato più di mille acri di granturco contaminato da varietà OGM. In India, negli ultimi due anni, la scienziata Vandana Shiva con un gruppo di piccoli agricoltori ha iniziato una resistenza biologica contro l’agricoltura intensiva.
L’agricoltura ecologica, o biologica, non è sicuramente una novità. E’ la tecnica agricola più utilizzata nella storia. Le colture bioligiche resistono ai danni provocati dagli insetti evitando le grandi monocolture e preservando la biodiversità. Le colture biologiche ristabiliscono i nutrimenti del terreno con la concimazione, evitano l’erosione del terreno dovuta al vento e al sole ed evitano l’impiego di pesticidi e fertilizzanti chimici.
Ripopolando e rinforzando le colonie d’api l’agricoltura biologica favorisce l’impollinazione che a sua volta favorisce il rendimento agricolo. L’agricoltura biologica sfrutta i servizi naturali dell’ecosistema, la filtrazione dell’acqua, l’impollinazione, la produzione di ossigeno ed il controllo dei parassiti. I coltivatori biologici hanno richiesto un miglior sistema di ricerca e sostegno da parte delle industrie, dei governi, dei coltivatori e del pubblico, per poter sviluppare tecniche di coltura biologica, migliorare la produzione e mantenere sano l’ecosistema. La rivoluzione agricola promuoverebbe diete equilibrate nel mondo e supporterebbe le colture ad uso umano evitando l’utilizzo di terreni per i pascoli e i biocombustibili.
Ecosistemi
La questione delle api è un avvertimento da parte dell’ecosistema che ancora non riusciamo a comprendere completamente. L’agricoltura biologica è parte di una più grande svolta di consapevolezza umana. Gli oppositori delle grandi aziende si aggrappano alla presunta libertà di consumo, guadagno, ignorando l’abbondanza della nostra terra in favore dei profitti. Ma l’accumulo di denaro non ci aiuterà contro l’estinzione, non riporterà i terreni perduti, né curerà le colonie di api del mondo.
L’umanità subirà severe punizioni se non rimedia ai propri errori. L’equilibrio dei sistemi che regolano la terra è delicato e potrebbero raggiungere il punto di non ritorno e collassare. Le api ad esempio lavorano per un tornaconto modesto e marginale rispetto all’energia che mettono per raccogliere il nutrimento per le colonie. Nei periodi invernali, quando le morti aumentano dal 10 al 50% , le rimanenti api sono indebolite dalle tossine e l’habitat si restringe in quel modo, il ritorno in termini di energia è quasi a livello zero. Muoiono più api, raggiungono in poche l’età adulta e intere colonie sono distrutte. Questa crisi è una lezione fondamentale di ecologia.
Rachel Carson ha predetto questi problemi sistemici 50 anni fa. Gli ecologisti ed ambientalisti ne parlano da allora. La scomparsa delle colonie d’api, il riscaldamento globale, la distruzione delle foreste e l’estinzione sono le emergenze ambientali più urgenti. Salvare le api sembra uno dei nodi principali per ristabilire l’equilibrio ecologico del pianeta.
Rex Weyler
Fonte: www.greenpeace.org
Link: http://www.greenpeace.org/international/en/news/Blogs/makingwaves/honey-bee-collapse-a-lesson-in-ecology/blog/45357/
10.06.2013
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di CRISTINA REYMONDET FOCHIRA
greenpeace.org
Sappiamo esattamente cosa uccide le api. L’estinzione delle colonie di api in tutto il mondo non è un grande mistero come vorrebbero farci credere le aziende chimiche. La natura sistemica del problema lo rende un affare complesso, ma non impenetrabile. Gli scienziati sanno che le api stanno morendo a causa di una serie di fattori quali pesticidi, siccità, distruzione del loro habitat naturale, riscaldamento globale e così via. Le cause di tale scomparsa sono in relazione tra loro e strettamente connesse ma sappiamo che il responsabile è l’uomo e che le cause principali sono i pesticidi e la distruzione del loro habitat naturale.
I biologi hanno trovato tracce di 150 diversi pesticidi chimici nel polline delle api, un cocktail di pesticidi mortale secondo Eric Mussen, apicoltore della University of California. Le aziende chimiche Bayer, Syngenta, BASF, Dow, DuPont e Monsanto hanno scrollato le spalle per questa complessità sistemica, come se il mistero fosse troppo complesso per essere svelato. Non hanno messo in atto alcun cambiamento in merito alle politiche sui pesticidi. Dopo tutto, la vendita di veleni a coltivatori in tutto il mondo, è vantaggiosa.
Come se non bastasse, l’habitat delle api selvatiche si riduce di anno in anno a causa dell’attività agroindustriale che distrugge praterie e foreste per lasciar spazio alle monocolture che sono contaminate dai pesticidi. Per fermare il processo di estinzione delle api, dobbiamo rivedere il nostro sistema agricolo malato e distruttivo.
La scomparsa delle api
L’Apis mellifera, o ape mellifera, nativa d’Europa, Africa e Asia occidentale, sta scomparendo. Anche l’ape mellifera orientale, o Apis cerana, sta dando i primi segni di estinzione.
Tale estinzione non è un fatto irrilevante. Le api mellifere, sia selvatiche che domestiche, sono responsabili dell’80% dell’impollinazione del nostro pianeta.
Una sola colonia di api può impollinare 300 milioni di fiori ogni giorno. I cereali sono principalmente impollinati dal vento ma i cibi più salutari, quali frutta, noci e verdura sono impollinate dalle api. Settanta delle 100 specie di colture alimentari dell’uomo, che corrispondono al 90% del nutrimento mondiale, sono impollinate dalle api.
Tonio Borg, commissario europeo per la salute e le politiche dei consumatori, ha calcolato che le api “contribuiscono all’agricoltura europea per una cifra pari a 22 miliardi di euro (30 miliardi di dollari US)”. Nel mondo si stima che il valore dell’impollinazione connessa alla produzione di cibo per l’uomo, da parte delle api, superi i 265 miliardi di euro (350 miliardi di dollari US). L’estinzione delle api è una sfida come il riscaldamento globale, l’acidificazione degli oceani e la guerra nucleare. L’uomo difficilmente sopravvivrebbe ad un’estinzione totale delle api.
Le api operaie (femmine) vivono per alcuni mesi. Le colonie producono continuamente nuove api operaie durante il periodo primaverile e in quello estivo. La produzione invece rallenta durante i periodi invernali. Solitamente il numero di api in un alveare o in una colonia diminuisce dal 5 al 10% durante l’inverno per ristabilirsi durante la primavera. Durante gli anni meno fortunati una colonia può perdere il 15-20% delle sue api.
Negli, USA, primo paese in cui le api hanno iniziato a scarseggiare, le perdite invernali raggiungono il 30-50% o peggio. Nel 2006 David Hackenberg, un apicoltore con 42 anni di esperienza, ha rilevato perdite del 90% tra i suoi 3000 alveari. La National Agriculture Statistics Service (NASS, branchia statistica del Dipartimento dell’Agricoltura USA, n.d.t.) dimostra la scomparsa delle api: si è passati da 6 milioni di alveari nel 1947 a 2,4 milioni di alveari nel 2008, una riduzione del 60%.
Il numero delle colonie di api operaie per ettaro fornisce una visione critica sulla salute delle colture. Negli Stati Uniti, tra le coltivazioni che richiedono impollinazione da api, il numero di colonie è diminuito del 90% rispetto al 1962. Le api non fanno in tempo a sostituire le perdite invernali e subiscono la perdita del loro habitat naturale.
L’Europa reagisce ma gli Stati Uniti esitano
In Europa, Asia e Sud America il numero di perdite annuale è inferiore a quello degli Stati Unti, ma la tendenza è simile con una risposta più incisiva. La Rapobank sostiene che in Europa le perdite annuali raggiungono il 30-35% e che il numero di colonie per ettaro è diminuito del 25%. Negli anni ’80, a Sichuan, in Cina, i pesticidi destinati alla coltivazione di pere hanno annientato le api locali e gli agricoltori locali sono ora costretti ad impollinare a mano con i piumini da spolvero. Uno studio scientifico delle Autorità Europee per la Sicurezza Alimentare mostra che tre dei pesticidi più largamente utilizzati (clothiniadina, imidacloprid e thiametoxam), a base di nicotina, costituiscono un rischio elevato per le api.
Un report scientifico di Greenpeace identifica sette principali pesticidi mortali per le api, inclusi i tre colpevoli a base di nicotina, oltre a clorpyriphos, cypermethrin, deltamethrin e fipronil. I tre neonecotinoidi agiscono sul sistema nervoso dell’insetto. Si accumulano nelle singole api e in intere colonie, anche nel miele che usano per sfamare le larve appena nate. Le api che non muoiono immediatamente, subiscono effetti sistemici subletali, difetti dello sviluppo, debolezza e perdita dell’orientamento.
La scomparsa lascia scampo a poche api e quelle che sopravvivono sono deboli e devono lavorare di più per produrre miele in un habitat consumato. E’ questo l’incubo che sta portando alla scomparsa delle colonie d’api.
L’ imidacloprid e il clothianidin sono prodotti e commercializzati dalla Bayer: la thiamethoxam è invece prodotta dalla Syngenta. Nel 2009 questi tre veleni hanno raggiunto un giro d’affari di 2 miliardi di euro sul mercato mondiale. Quasi il 100% del mercato mondiale di pesticidi, piante e semi geneticamente modificati (OGM) è controllato da Syngenta, Bayer, Dow, Monsanto e DuPont. Nel 2012, un tribunale tedesco ha condannato Syngenta per falsa testimonianza per aver nascosto il report prodotto dalla multinazionale stessa che spiegava come il granturco geneticamente modificato avesse causato la morte del bestiame. Negli Stati Uniti l’azienda ha sborsato 105 milioni di dollari per una causa collettiva per aver inquinato l’acqua potabile di oltre 50 milioni di cittadini con il suo pesticida Atrazine. Oggi queste inquinanti aziende finanziano campagne da milioni e milioni di euro per negare le loro responsabilità in relazione alla scomparsa delle colonie d’api.
Lo scorso Maggio, la Commissione Europea ha proibito l’utilizzo dei neonicotinoidi per due anni e un divieto più lungo su altri pesticidi. Gli scienziati utilizzeranno questo tempo per favorire il recupero delle api sul lungo termine.
Nel frattempo gli Stati Uniti tergiversano e sostengono le aziende che producono e commercializzano i veleni mortali. Mentre l’Europa a maggio entrava in azione, l’EPA (Agenzia americana per la protezione dell’ambiente) stava approvando l’uso dei pesticidi nicotinoidi, nonostante il report del ministero americano dell’agricoltura rivelasse i rischi legati alla scomparsa delle colonie d’api. Sempre nello stesso mese, il presidente Obama ha firmato il famigerato “Monsanto Protection Act”, scritto dai lobbisti della Monsanto, grazie al quale le compagnie biotecnologiche ottengono l’immunità nelle corti federali degli Stati Uniti per i danni causati alle persone e all’ambiente dai loro interessi commerciali.
Le soluzioni esistono
Il buonsenso potrebbe risanare e proteggere il mondo delle api. Le soluzioni sono state fornite da gruppi di apicoltori esperti, contadini, dalla Commissione Europea e da un report scritto da Greenpeace, Bees in Decline, e sono le seguenti:
• Proibire i sette pesticidi più pericolosi;
• Proteggere la salute degli impollinatori preservando l’ambiente in cui vivono;
• Ripristinare l’agricoltura biologica.
L’agricoltura biologica è la nuova tendenza verso il futuro che porterà ad una stabilizzazione della produzione di alimenti per l’uomo e alla protezione delle api e del loro habitat. Il Bhutan è il primo paese al mondo ad avere una politica agricola biologica al 100%. Il Messico ha proibito il granturco geneticamente modificato per proteggere le specie native. Lo scorso gennaio otto paesi europei hanno proibito le colture OGM e l’Ungheria ha bruciato più di mille acri di granturco contaminato da varietà OGM. In India, negli ultimi due anni, la scienziata Vandana Shiva con un gruppo di piccoli agricoltori ha iniziato una resistenza biologica contro l’agricoltura intensiva.
L’agricoltura ecologica, o biologica, non è sicuramente una novità. E’ la tecnica agricola più utilizzata nella storia. Le colture bioligiche resistono ai danni provocati dagli insetti evitando le grandi monocolture e preservando la biodiversità. Le colture biologiche ristabiliscono i nutrimenti del terreno con la concimazione, evitano l’erosione del terreno dovuta al vento e al sole ed evitano l’impiego di pesticidi e fertilizzanti chimici.
Ripopolando e rinforzando le colonie d’api l’agricoltura biologica favorisce l’impollinazione che a sua volta favorisce il rendimento agricolo. L’agricoltura biologica sfrutta i servizi naturali dell’ecosistema, la filtrazione dell’acqua, l’impollinazione, la produzione di ossigeno ed il controllo dei parassiti. I coltivatori biologici hanno richiesto un miglior sistema di ricerca e sostegno da parte delle industrie, dei governi, dei coltivatori e del pubblico, per poter sviluppare tecniche di coltura biologica, migliorare la produzione e mantenere sano l’ecosistema. La rivoluzione agricola promuoverebbe diete equilibrate nel mondo e supporterebbe le colture ad uso umano evitando l’utilizzo di terreni per i pascoli e i biocombustibili.
Ecosistemi
La questione delle api è un avvertimento da parte dell’ecosistema che ancora non riusciamo a comprendere completamente. L’agricoltura biologica è parte di una più grande svolta di consapevolezza umana. Gli oppositori delle grandi aziende si aggrappano alla presunta libertà di consumo, guadagno, ignorando l’abbondanza della nostra terra in favore dei profitti. Ma l’accumulo di denaro non ci aiuterà contro l’estinzione, non riporterà i terreni perduti, né curerà le colonie di api del mondo.
L’umanità subirà severe punizioni se non rimedia ai propri errori. L’equilibrio dei sistemi che regolano la terra è delicato e potrebbero raggiungere il punto di non ritorno e collassare. Le api ad esempio lavorano per un tornaconto modesto e marginale rispetto all’energia che mettono per raccogliere il nutrimento per le colonie. Nei periodi invernali, quando le morti aumentano dal 10 al 50% , le rimanenti api sono indebolite dalle tossine e l’habitat si restringe in quel modo, il ritorno in termini di energia è quasi a livello zero. Muoiono più api, raggiungono in poche l’età adulta e intere colonie sono distrutte. Questa crisi è una lezione fondamentale di ecologia.
Rachel Carson ha predetto questi problemi sistemici 50 anni fa. Gli ecologisti ed ambientalisti ne parlano da allora. La scomparsa delle colonie d’api, il riscaldamento globale, la distruzione delle foreste e l’estinzione sono le emergenze ambientali più urgenti. Salvare le api sembra uno dei nodi principali per ristabilire l’equilibrio ecologico del pianeta.
Rex Weyler
Fonte: www.greenpeace.org
Link: http://www.greenpeace.org/international/en/news/Blogs/makingwaves/honey-bee-collapse-a-lesson-in-ecology/blog/45357/
10.06.2013
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di CRISTINA REYMONDET FOCHIRA
venerdì 24 maggio 2013
On 13:49 by SA DEFENZA No comments
Un laboratorio chiamato Adriatico
Il caso della piattaforma "Giovanna", nella provincia di Teramo, dove Eni-Agip ha operato negli anni 90. Come estrarre gas "fratturando" il fondo servendosi di acqua marina. Volumi triplicati, costi ridotti. Anche grazie a concessioni convenienti
di Pietro Dommarco
“Fino al 1992 nel mio pezzo di mare, abbastanza lontano dalla costa, pescare era una bellezza. Ma quando è arrivata Giovanna ho smesso, perché l’acqua non era più la stessa”.
Con queste parole Aldino ricorda il suo passato da pescatore. Tossisce, si ferma un attimo, appoggia la cornetta sul tavolo, si allontana, e poi ritornando al telefono dice che “il mare di fronte al tratto di costa tra Montesilvano e Marina di Silvi e Giulianova pure oggi non è lo stesso. A me non piace più”. Siamo nel medio Adriatico, in Abruzzo, nella provincia di Teramo dove le numerose piattaforme di gas -monotubolari, bitubolari e reticolari- hanno cambiato le abitudini dei pescatori. Anche se fino al 2002 (anno in cui è entrata in vigore un’ordinanza della Capitaneria di Porto di Pescara, ndr) pescare in prossimità delle piattaforme metanifere era quasi una regola fissa. Una di queste è la piattaforma “Giovanna” (in foto), realizzata nel 1992, e localizzata a poco più di 23 miglia dalla costa. A 37, 38 chilometri dalla terraferma.
Con queste parole Aldino ricorda il suo passato da pescatore. Tossisce, si ferma un attimo, appoggia la cornetta sul tavolo, si allontana, e poi ritornando al telefono dice che “il mare di fronte al tratto di costa tra Montesilvano e Marina di Silvi e Giulianova pure oggi non è lo stesso. A me non piace più”. Siamo nel medio Adriatico, in Abruzzo, nella provincia di Teramo dove le numerose piattaforme di gas -monotubolari, bitubolari e reticolari- hanno cambiato le abitudini dei pescatori. Anche se fino al 2002 (anno in cui è entrata in vigore un’ordinanza della Capitaneria di Porto di Pescara, ndr) pescare in prossimità delle piattaforme metanifere era quasi una regola fissa. Una di queste è la piattaforma “Giovanna” (in foto), realizzata nel 1992, e localizzata a poco più di 23 miglia dalla costa. A 37, 38 chilometri dalla terraferma.
Il giacimento di gas “Giovanna” fu scoperto da Agip e Deutsche Shell nel 1988, dopo 6 anni dalla messa in produzione del giacimento “Emma”, con omonima piattaforma. Entrambe si trovano all’interno della
concessione di coltivazione “B.C 10.AS”, conferita il 16 dicembre 1980 e per la quale alle due compagnie fu addebitato un canone annuo di 867.400 lire. 40 lire per ettaro. Nel 1993 la Edison Gas subentra alla Shell, nel 1998 l’Eni prende il posto dell’Agip e nel 2010 l’Adriatica idrocarburi spa rileva le quote di Eni, affiancandosi alla Edison. Secondo gli ultimi dati forniti dal ministero dello Sviluppo economico negli ultimi dieci anni la produzione media è stata di quasi 255 milioni di metri cubi di gas ed i pozzi produttivi sono 12, anche se ne sono stati perforati almeno una quarantina.
Il signor Aldino pur affermando che “l’acqua non era più la stessa”, non poteva sapere che il giacimento “Giovanna” -oltre a cambiare presumibilmente il suo destino di pescatore- è stato oggetto di una particolare sperimentazione di fratturazione idraulica (chiamata fracking). A darne notizia un articolo scientifico pubblicato il 17 luglio 2000 su Oil&Gas Journal, dal titolo “Seawater streamlines polymer-free fracturing” (L’acqua marina accelera la fratturazione senza polimero). Lo studio si è focalizzato in un periodo che va dal 1994 al 1999 ed ha interessato la riperforazione dei pozzi 6, 12 e 20. Il primo tuttora produttivo. Il secondo ed il terzo produttivi ma non più eroganti.
“Un nuovo fluido, basato sull’acqua marina e senza polimeri, ha migliorato l’efficienza operativa di 23 banchi di frattura nell’area Giovanna di Eni Agip, fuori dall’Italia nel Mare Adriatico. I trattamenti facevano parte di un pozzo a tre vie, programma di riprocessamento multizonale, che richiedeva una stimolazione con frattura di grandi dimensioni. Per Eni-Agip, questi costituivano i primi trattamenti riusciti che includevano acqua marina come fluido base per il sistema ClearFrac di Schlumberger, un fluido di frattura senza polimeri, viscoelastico tensioattivo (VES)”. Si apre così il documento. In sostanza, l’acqua marina “è stata usata come fluido base per ridurre i costi di frattura in mare aperto in diverse parti del mondo, ma i risultati del trattamento sono stati confusi” […] “Le recenti operazioni di frattura nel Mare Adriatico hanno dimostrato che l’acqua marina è una base efficace” […] “L’acqua marina riduceva anche i costi incrementando l’efficienza operativa e preservando i tempi della piattaforma e del processo”. In pratica, prima di accertare con successo le operazioni di ingegneria mineraria e geologica applicata all’industria estrattiva, le estrazioni di gas a mezzo fatturazione idraulica venivano operate utilizzando un fluido di polimeri HEC (idrossietilcellulosa). Invece, in questo caso i tecnici di Eni-Agip -operanti sui pozzi dell’area Giovanna- hanno sperimentato un fluido viscoelastico tensioattivo, appunto il VES. Attraverso le analisi chimiche hanno stabilito che questo tipo di fluido era più funzionale rispetto all’HEC, perché riusciva ad agire senza polimeri e, cosa non meno secondaria, a utilizzare esclusivamente acqua marina. Con questa sperimentazione di fratturazione idraulica si è reso possibile il riprocessamento di pozzi ritenuti esauriti o a scarso rendimento, estraendone il più possibile il contenuto di idrocarburi (in questo caso gas), triplicazione dei volumi di materiale estratto e decisa contrazione del volume dei costi e dei tempi morti di produzione. Ed è proprio il caso dell’area “Giovanna”, caratterizzata da strati di scisto e contenente “formazioni più sporche e con minor permeabilità con contenuto di argilla elevato fino al 50%”. Una sperimentazione riuscita, tanto da essere ripetuta qualche anno più tardi, in più a nord, nel mare di fronte le coste di Falconara marittima, nel giacimento “Barbara”. Un campo off-shore di sfruttamento del gas enorme, nel quale sono stati perforati dagli anni Settanta ad oggi oltre 100 pozzi, gran parte direzionali, ed installate ben 11 piattaforme. Alcuni degli autori dell’articolo, dopo un passato in Eni, oggi lavorano presso l’Halliburton, la prima azienda ad usare commercialmente questa tecnica di stimolazione dei giacimenti.
Non è, comunque, la prima volta che il mar Adriatico è trasformato in banco di prova. Ad esempio -più a Sud rispetto alla piattaforma Giovanna- di fronte le coste di Vasto, nella concessione ad olio “Rospo Mare”, la Elf Italiana perforò uno dei primi pozzi orizzontali in Europa, il “Rospo Mare 6 dir”. Era il 1982 e la storia è raccontata in uno stralcio di documento della stessa azienda.
sabato 18 maggio 2013
On 13:45 by SA DEFENZA No comments
“La Monsanto è un’impresa agricola.
Applichiamo innovazione e tecnologia per aiutare i coltivatori di tutto il mondo a produrre di più conservando di più.
Produrre di più – Conservare di più – Migliorare la vita dei coltivatori.”
Queste sono le promesse della Monsanto sul suo sito Web, assieme a fotografie di agricoltori prosperi e sorridenti dello stato del Maharashtra. Si tratta di un tentativo disperato della Monsanto e della sua macchina della propaganda di separare l’epidemia di suicidi di contadini in India dal crescente controllo della società sulle forniture delle sementi di cotone; il 95% dei semi di cotone in India è oggi controllato dalla Monsanto.Applichiamo innovazione e tecnologia per aiutare i coltivatori di tutto il mondo a produrre di più conservando di più.
Produrre di più – Conservare di più – Migliorare la vita dei coltivatori.”
Il controllo sui semi è il primo anello della catena alimentare perché i semi sono la fonte della vita. Quando un’impresa controlla i semi, controlla la vita, specialmente la vita degli agricoltori.
Il controllo concentrato della Monsanto sul settore delle sementi in India, così come in tutto il mondo, è molto preoccupante. E’ ciò che collega i suicidi dei contadini indiani alla causa ‘Monsanto contro Percy Schmeiser’ in Canada, a quella ‘Monsanto contro Bowman’ negli Stati Uniti e agli agricoltori del Brasile che hanno citato la Monsanto per 2,2 miliardi di dollari per lo scorretto incasso di diritti.

I brevetti sui semi sono illegittimi perché inserire un gene tossico nella cellula di una pianta non è “creare” o “inventare” una pianta. Questi semi sono un inganno; l’inganno che la Monsanto sia la creatrice dei semi e della vita; l’inganno che mentre la Monsanto cita in giudizio i contadini e li intrappola nei debiti, pretende si lavorare per il benessere dei contadini, e l’inganno che gli OGM alimentino il mondo. Gli OGM non riescono a controllare i parassiti e le infestanti e hanno invece portato all’emergere di super-parassiti e super-infestanti.
L’ingresso della Monsanto nel settore indiano delle semenze è stato reso possibile da una Politica delle Semenze del 1988 imposta dalla Banca Mondiale, che impose al governo indiano di deregolamentare il settore dei semi. Cinque cose sono cambiate con l’ingresso della Monsanto. Primo: le imprese indiane sono state intrappolate in accordi di joint-venture e di licenze, e la concentrazione nel settore delle sementi si è accresciuta. Secondo: i semi che erano stati la risorsa comune degli agricoltori sono diventati “proprietà intellettuale” della Monsanto, che ha cominciato a incassarne i diritti, aumentando così il costo di essi. Terzo: l’impollinazione naturale dei semi di cotone è stata vanificata da ibridi, compresi ibridi OGM. Una risorsa rinnovabile è diventata non rinnovabile e una merce brevettata. Quarto: il cotone, che in precedenza era stato coltivato insieme a colture alimentari, doveva essere coltivato come monocoltura, con una più elevata vulnerabilità a parassiti, malattie, siccità e fallimento dei raccolti. Quinto: la Monsanto ha cominciato a sovvertire le procedure regolamentari indiane e, di fatto, ha cominciato a usare risorse pubbliche per spingere i suoi ibridi e OGM non rinnovabili attraverso le cosiddette partecipazioni pubblico-private (PPP).
Nel 1995 la Monsanto ha introdotto in India la sua tecnologia Bt attraverso una joint-venture con la società indiana Mahyco. Nel 1997-98 la Monsanto ha avviato illegalmente la sperimentazione sul campo del suo cotone OGM Bt e ha annunciato che avrebbe immesso in commercio i suoi semi l’anno successivo. L’India ha sin dal 1989 norme per regolare gli OGM in base alla Legge sulla Protezione dell’Ambiente. Per sperimentare gli OGM è obbligatorio ottenere l’approvazione del Comitato per l’Approvazione dell’Ingegneria Genetica alle dipendenze del ministero dell’ambiente. La Fondazione di Ricerca per la Scienza, la Tecnologia e l’Ecologia ha citato in giudizio la Monsanto presso la Corte Suprema indiana e la Monsanto non ha potuto avviare la commercializzazione dei suoi semi di cotone Bt fino al 2002.
E, dopo l’incriminante rapporto del comitato parlamentare indiano sui raccolti Bt nell’agosto 2012, la giuria di esperti tecnici nominata dalla Corte Suprema ha raccomandato una moratoria di dieci anni delle sperimentazioni sul campo di tutti i cibi OGM e il blocco di tutti gli esperimenti in corso sui raccolti transgenici.
Ma l’agricoltura indiana era già stata cambiata.
I monopoli delle sementi in capo alla Monsanto, la distruzione delle alternative, l’incasso di superprofitti sotto forma di diritti e l’accresciuta vulnerabilità delle monocolture hanno creato un contesto d’indebitamento, suicidi e di emergenze agrarie che sta conducendo all’epidemia di suicidi degli agricoltori indiani. Tale controllo sistemico è stato intensificato dal cotone Bt. E’ per questo che la maggior parte dei suicidi avviene nell’area del cotone.
Un parere interno del ministero dell’agricoltura indiano del gennaio 2012 ha avuto questo da dire agli stati indiani coltivatori di cotone: “I coltivatori di cotone sono in profonda crisi dopo essere passati al cotone Bt. L’ondata di suicidi di agricoltori del 2011-12 è stata particolarmente grave tra i coltivatori di cotone Bt.”
La più vasta area di coltivazione di cotone Bt si trova nel Maharashtra e tale stato è quello in cui ha luogo il maggior numero di suicidi. I suicidi sono aumentati dopo l’introduzione del cotone Bt; l’imposizione dei diritti da parte della Monsanto e l’alto costo dei semi e dei prodotti chimici ha creato una trappola del debito. Secondo dati del governo indiano, quasi il 75% del debito rurale è dovuto all’acquisto di materie prime. Col crescere dei profitti della Monsanto, cresce il debito degli agricoltori. E’ in questo senso sistemico che i semi della Monsanto sono semi di suicidio.
I semi ultimi del suicidio sono costituiti dalla tecnologia brevettata dalla Monsanto per creare semi sterili. (Chiamata “tecnologia Terminator” dai media, la tecnologia dei semi sterili è un tipo di Tecnologia di Restrizione dell’Utilizzo dei Geni, GRUT, in cui i semi prodotti da un raccolto non crescono; i raccolti non producono semi per pianticelle vitali o producono semi vitali con specifici geni disattivati). La Convenzione sulla Diversità Biologica ne ha bandito l’uso, altrimenti la Monsanto incasserebbe profitti anche maggiori dalle sementi.
I discorsi della Monsanto sulla “tecnologia” cercano di nascondere i suoi reali obiettivi di proprietà e controllo sulle sementi in cui l’ingegneria genetica è solo un mezzo per controllare il sistema alimentare e delle sementi attraverso brevetti e diritti di proprietà intellettuale.
Un rappresentante della Monsanto ha ammesso che la società è stata “insieme il diagnosta e il terapeuta del paziente” nello stilare i brevetti sulle forme di vita, dai microrganismi alle piante, in seno all’accordo TRIPS della WTO. Impedire ai coltivatori di conservare i semi e di esercitare la propria sovranità sulle semine è stato il suo principale obiettivo. La Monsanto sta ora estendendo i suoi brevetti a semi coltivati in modo tradizionale, come nel caso dei broccoli e dei peperoncini, o del grano a basso glutine che ha piratato dall’India e che noi abbiamo contestato come un caso di biopirateria presso l’Ufficio Europeo dei Brevetti.
E’ per questo che abbiamo creato Fibres of Freedom [Fibre della Libertà] nel cuore dell’area del cotone Bt e dei suicidi di Vidharba. Abbiamo creato banche comunitarie dei semi con semi indigenti e abbiamo aiutato gli agricoltori a passare alle colture organiche. Niente semi OGM, niente debiti, niente suicidi.
sabato 13 aprile 2013
On 05:02 by SA DEFENZA No comments
L'Eurogruppo adotta il "modello Cipro"
contropiano.org/

Un Eurogruppo non molto pubblicizzato, ma che doveva discutere – e lo ha fatto – di problemi piuttosto decisivi per il futuro dell'Eurozona. Lo si capisce dalla reticenza con cui anche i giornali specializzati danno conto della discussione avvenuta. Poiché abbiamo giustamente molta considerazione dei professionisti inviati a Bruxelles, dobbiamo pensare che la discussione tra i ministri delle finanze sia stata in qualche misura “criptata”, e che la materia in discussione sia al tempo stesso esplosiva e per ora trattata in maniera solo preliminare.
Seguiamo perciò il racconto fatto da IlSole24Ore - il giornale più attento a questo tipo di eventi – cercando di spiegare quel che è poco chiaro e, soprattutto, le implicazioni contenute nelle varie ipotesi di getione delle future crisi.
Come sempre, le nostre considerazioni sono in corsivo.
****
Accordo politico all'Ecofin sul meccanismo di supervisione unica delle banche: superate quindi le resistenze della Germania che chiedeva una modifica dei Trattati prima di dare il via libera. La supervisione unica «si fa coi Trattati attuali, abbiamo l'accordo definitivo unanime dei ministri», ha detto il commissario Michel Barnier.
Redazione. Nonostante la sintesi, si capisce che lo snodo relativo alla sorveglianza delle banche (private) europee da parte della Bce è così rilevante da richiedere – a parere della Germania – una modifica dei Trattati. Per ora si va avanti che con i trattati che ci sono, ma ricordiamo la materia del contendere tra Germania e il resto d'Europa: Berlino chiedeva che la sorveglianza sulle banche “non sistemiche” restasse affidata alle banche centrali nazionali. Perché? Per il buon motivo che l'ossatura fondamentale del credito tedesco vede protagoniste le Landesbanken, ovvero quelle banche territoriali su cui si regge buona parte del sistema delle imprese e, non secondariamente, la forza politica dei deputati.
Non basta, però. La nuova proposta tedesca prevedeva di rafforzare la separazione tra attività di politica monetaria e di vigilanza della Bce, trovando anche il modoe di garantire meglio “poteri equivalenti” ai membri della struttura di vigilanza bancaria non appartenenti all'Eurozona. Un modo per aumentare il peso tedesco nelle decisione Ue (i paesi dell'Est che ancora non hanno adottato l'euro sono “contoterzisti” di Berlino) anche a costo di dare un peso eccessivo sulla moneta unica a paesi che non la usano. Singolare. Alla fine l'idea non è passata, ma come in tutte le trattative diplomatiche, la “pressione” ha prodotto se non altro l'accettazione del principio che i Trattati si possono cambiare, senza predetrminare ora alcun contenuto. Come scrivono alcuni giornali, “molti governi temono una riapertura di un negoziato sul Trattato Ue”, perché il loro peso – in una situazione di oggettiva debolezza economica, e quindi politica, dei propri paesi, vedrebbero i propri poteri notevolmente ridimensionati a favore di un meccanismo “centralizzatore” deciso nei fatti dalla Germania.
Scadenze più lunghe per Irlanda e Portogallo
I ministri delle finanze della zona euro hanno trovato un accordo per concedere sette anni in più a Portogallo e Irlanda per rimborsare i prestiti ottenuti con il pacchetto di salvataggio. Lo ha annunciato il presidente dell'Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem che ha sottolineato come i ministri abbiano voluto compiere un passo «deciso e positivo», aggiungendo tuttavia che la questione deve ancora essere affrontata da tutti i 27 ministri delle finanze dell'Unione europea che si vedranno nelle prossime ore. Il commissario gli Affari Economici Olli Rehn ha accolto con favore la decisione dell'Eurogruppo, che ha definito «un passo molto importante» verso una pieno ritorno sui mercati del finanziamento per i due paesi.
Red. Qui c' poco da aggiungere, se non che il “trattamento” dei singoli paesi in difficoltà è straordinamente differenziato. L'Irlanda, soprattutto, sembra nel “cuore” di Bruxelles assai più dei paesi mediterranei. Possibile che gli interessi inglesi nelle banche irlandesi abbiano così tanta forza? Più che possibile...
Ricapitalizzazione e Esm, quanti rebus
Anche il negoziato sulle regole della ricapitalizzazione bancaria da parte dell'Esm (Fondo anti-crisi dell'Eurozona) che è parallelo alle discussione sugli altri elementi dell'unione bancaria, si dimostra molto complesso. Sulle due questioni fondamentali, il trattamento dei legacy asset, cioè delle situazioni di bilancio del passato, e della retroattività degli interventi del meccanismo di stabilità, non ci sono ancora dei paletti fermi.
Altro nodo delle trattative le modalità e le condizioni dell'intervento dei privati nella ristrutturazione e nella liquidazione delle banche. Lo scontro è sui limiti alle esenzioni dagli oneri del cosiddetto 'bail-in'. Sembra prevalere un orientamento favorevole solo all'esclusione dei depositi delle persone fisiche e delle Pmi, mentre c'è una discussione molto accesa sull'esclusione dei prestiti interbancari a breve.
Il commissario al mercato interno Michel Barnier ha messo in guardia dai tentativi di diluizione sull'imposizione delle regole per la liquidazione delle banche a partire dal 2018. Alcuni governi cercano di assicurare un margine di discrezionalità alle autorità nazionali nella scelta di quali creditori dovranno farsi carico delle perdite.
Red. Qui invece la partita è davvero grossa. L'espressione “bail in” indica una via di salvataggio – delle banche o degli Stati – opposta a quella definita “bail out”. Con questa seconda, infatti, si descrive un intervento esterno, fatto di prestiti da ripagare in tempi certi, a condizioni magari durissime, come quelle imposte a diversi Piigs. Con “bail in”, al contrario, di qualifica il “modello Cipro”, in cui buona parte delle risorse necessarie al “salvataggio” delle banche è stata reperita sequestrando i conti correnti (singoli cittadini e depositanti stranieri), possibilmente limitando la rapina alle cifre superanti i 100.000 euro (che per legge europea vanno salvaguardati anche in caso di fallimento della banca).
Naturalmente si discute anche di “chi” abbia il potere di decidere determinati tipi di “salvataggio” , o almeno quali creditori potranno essere pelati più di altri. Se, insomma, c'è un disegno europeo per trasformare i “salvataggi” in bagni di sangue, ci sono singoli governi che si preoccupano di avere un margine per proteggere almeno i propri “favoriti”.
La tempistica delle regole per il bail-in
Quanto ai tempi, la Commissione propone che le regole del 'bail-in' entrino in funzione dal 2018. La Bce preme per il 2015. Bruxelles concorda, ma a patto che tutti gli elementi del puzzle dell'unione bancaria siano sul tavolo.
Infine c'è la prospettiva del Fondo unico di risoluzione delle crisi. Attualmente è in discussione la proposta di creare fondi nazionali. In giugno la Commissione presenterà una proposta di sistema unico, con un Fondo di risoluzione unico. Si sapeva da qualche tempo che Bruxelles fosse orientata in tal senso: Barnier l'ha reso ufficiale proprio in occasione delle riunioni informali nella capitale irlandese.
Red. Si capisce che il “modello Cipro” è ormai dato per assodato (occhio ai vostri conti correnti, se non siete propriamente poverissimi!), mentre si discute su quando farlo entrare in vigore come “modello standard”. E visto che il “bail in” in molti casi potrebbe non essere sufficiente (non lo è stato nemmeno per Cipro), ecco che viene definito meglio un nuovo “fondo di risoluzione” comunitario. Le cui condizioni di applicazione sono evidentemente tutte la scrivere (ma non ci sono molti dubbi su chi sarà a pagare, viste le insistenze sui “tagli alla spesa pubblica”).
mercoledì 10 aprile 2013
On 08:50 by SA DEFENZA No comments
Il concetto di decrescita felice è una filosofia economica studiata ed espressa dall'economista Serge Latouche, a cui Maurizio Pallante fa riferimento
Sa DEFENZA
Sa DEFENZA
Crescita e decrescita, perché un concetto non esclude l’altro
Maurizio Pallante
Premetto che sono un abbonato e un occasionale collaboratore del Fatto Quotidiano. Lo dico per sottolineare la mia affinità di vedute con la linea politica del giornale. Ciò non esclude, ovviamente, che a volte mi possa trovare in disaccordo con quanto scrive qualcuno dei suoi più autorevoli redattori, come mi è successo leggendo il commento di Furio Colombo intitolato “Crisi, l’ora della scelta tra crescita e decrescita” pubblicato domenica scorsa.
E non mi riferisco alla sua predilezione per la crescita con una più equa redistribuzione del reddito come sostenuto dai suoi economisti di riferimento, ma alle premesse concettuali che la sottendono, che Colombo manifesta commentando l’affermazione di Gianni Agnelli: «Non puoi dire decrescita. È una parola contro natura», con queste parole: «la frase è fondata – perché – i bambini crescono, gli animali crescono, la natura cresce». A parte l’ultimo esempio di cui mi sfugge il significato, le domando: i bambini e gli animali crescono per sempre o a un certo punto smettono di crescere? Noi abbiamo un cane di 17 anni. Cosa sarebbe diventato se avesse continuato a crescere da quando è nato? Lei dopo il 17 /18 anni ha continuato a crescere? Eppure, anche avendo smesso di crescere ha continuato a migliorare. La sua affermazione mi fa pensare a quel versetto del profeta Isaia in cui si legge: «Iddio acceca quelli che vuol perdere».
Come si fa a non vedere che ogni crescita arrivata a certo livello si arresta? Se, come sostiene Colombo, tutto ciò che è artificio dell’uomo segue il modello della natura, anche la crescita economica non può non arrestarsi, che lo si voglia o no, per eccesso di consumo di risorse e per eccesso di emissioni di sostanze non metabolizzabili dalla biosfera.
L’immaginazione al potere oggi si può realizzare solo a partire dalla liberazione del nostro immaginario collettivo dalla distopia della crescita illimitata (questo sì, questo sì). Solo a partire dalla rottura di questo velo, si potrà cominciare a vedere che le innovazioni scientifiche e tecnologiche possono e dovrebbero essere indirizzate ad aumentare l’efficienza con cui si usano le risorse, cioè a ridurre i consumi di energia e di materie prime, le emissioni inquinanti e i rifiuti, a parità di benessere. A realizzare una decrescita selettiva del Pil riducendo i consumi di merci che non sono beni.
La decrescita selettiva degli sprechi è l’unico modo di uscire dalla recessione, creando posti di lavoro utili. Immagini una politica economica e industriale finalizzata a ridurre gli sprechi energetici del nostro patrimonio edilizio, che attualmente richiede per il solo riscaldamento invernale 20 metri cubi di metano al metro quadrato all’anno contro il limite massimo di 7 consentito in Germania (dove gli edifici migliori ne consumano 1,5). Si darebbe avvio a uno sviluppo tecnologico senza precedenti. Quanta occupazione in lavori utili si creerebbe? I costi d’investimento verrebbero pagati dalla riduzione delle importazioni di gas e petrolio senza aumentare il debito pubblico. Si ridurrebbero le emissioni di anidride carbonica e le tensioni internazionali per accaparrarsi le fonti fossili.
Forse la fantasia al potere oggi passa proprio attraverso una decrescita selettiva dei consumi di merci prive oggettivamente di utilità. «Mai chiamarla decrescita – lei dice – è triste». La intristirebbe tanto una decrescita del debito pubblico? Speriamo che Iddio non abbia deciso di accecare tutti.
Serge Latouche, economista, tiene una conferenza a Mestre (Ve) sul tema della decrescita.
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