sabato 12 maggio 2012

On 14:00 by SA DEFENZA   No comments
Charles Hugh Smit
http://www.oftwominds.com/blogmay12/debt-serfdom5-12.html
tradutzioni de Sa Defenza

Charles Hugh Smith
Charles Hugh Smith
 



L'essenza della servitù della gleba  è il debito ed esso  aumenta per compensare salari stagnanti.

Parlo spesso della servitù della gleba del debito; eccola catturata in un unico grafico. 


 le dinamiche di base sono tutte lì,  e si leggono tra le righe:

1. La Finanziarizzazione degli Stati Uniti e delle economie globali devia il reddito dal capitale e da coloro che beneficiano della globalizzazione / "l'innovazione finanziaria;" reddito per la parte superiore del 5% sorge spettacolare in termini reali per il fondo anche se per l'80% i salari stagnano o declinano.

2. In precedenza le famiglie della classe media (o coloro che si percepiscono come classe media) compensavano il ristagno dei redditi e l'aumento dei costi con prendere denaro in  prestito : carte di credito, prestiti per auto, prestiti per gli studenti, ecc.  In effetti, il  reddito   è stato sostituito dal debito.

3. La bolla di Internet ha potenziato i redditi , consentendo la parte inferiore del 95% di ridimensionare parte del proprio debito finanziario.

4. Quando la  bolla / speculativa  è spuntata, i redditi delle famiglie son precipitati sino a indebitarsi pesantemente con il loro bene primario, la casa, tramite linee di iniquità domestica del credito (HELOCs), dei mutui, ecc .

5. I redditi dei top è salito del 5% e queste famiglie poterono ridurre il loro debito (deleverage) prima che la bolla immobiliare comparisse.

 


Ecco un grafico reale (aggiustati in base all'inflazione) dei redditi, per gentile concessione di analista Doug breve: si noti che i redditi dell'80% è stato basso per decenni, mentre la parte superiore del 20% ha registrato una crescita modesta che, una volta apparsa la bolla immobiliare è svanita. Solo il 5% ha registrato un'espansione significativa di reddito. Si noti che il reddito del top 20% e del superiore 5% è decollata nel 1982, una volta che la finanziarizzazione è diventata la forza dominante dell'economia.





È interessante notare che possiamo vedere la doppia bolla (dot-com/internet e immobiliaria) nelle fasce alte di reddito, in quanto queste bolle speculative hanno potenziato le plusvalenze e le speculazioni a base di reddito. Poiché  l'80% inferiore aveva un piccolo capitale da investire  nelle bolle speculative hanno registrato poca perdita nelle loro entrate.

Tiriamo le somme: la finanziarizzazione e la sostituzione delle entrate con il  debito hanno fatto il loro corso. Tempi che non tornano, e non importa quanto duramente la Federal Reserve spinge una impossibile corda.  Entrambe queste tendenze  hanno tracciato delle curve a S e sono ora nel loro declino finale:


Coloro che sperano che l'economia stia "recuperando" sul dorso dei giochi di prestigio della speculazione finanziaria   e del ricorso ai  prestiti da parte del 95% più debole allora saranno profondamente delusi quando alla fantasia si sostituirà la nuda realtà. 

 Charles Hugh Smith 



martedì 1 maggio 2012

On 13:14 by SA DEFENZA   No comments

Leonardo Mazzei  


Dall'Autonomia operaia alla subalternità «europea»

L'Europa e l'euro sono messi davvero male se perfino Toni Negri deve scendere in campo per proclamarne l'intangibilità. Con un articolo apparso su Uninomade.org - Elezioni francesi: anticipazioni per discutere dopo il secondo turno -  Negri ci consegna non solo e non tanto un'analisi assai discutibile del voto francese, quanto soprattutto il penoso approdo del suo pensiero politico.
Se per il politicantume oggi ex arcobalenico il compito del «popolo di sinistra» è da vent'anni quello di fare da supporto, talora cercando di correggerlo ed abbellirlo un po', al centrosinistra di Prodi-D'Alema-Bersani; ora abbiamo finalmente capito a cosa servono le moltitudini negriane: a sostenere, cercando di condizionarle ed abbellirle un po', le oligarchie europee di Bruxelles e Francoforte.

Chi pensa che si tratti di un'esagerazione è vivamente pregato di leggersi integralmente l'articolo in questione. Qui ci soffermeremo soltanto sui passaggi più significativi di questo scritto, autentiche perle di un pensiero subordinato quanto pernicioso. Prendiamo, ad esempio, questo commento:

«Quale enorme distanza da quando estrema destra ed estrema sinistra insieme avevano espresso un no al trattato di Lisbona – ora questo no è ripetuto solo dall’estrema destra e mette in imbarazzo le forze golliste, mentre l’estrema sinistra confluisce verso Hollande nell’assumere un programma europeo, finalmente rinnovato in termini socialisti. Ma ciò è sufficiente a garantirci un rinnovamento del processo dell’unità europea?».

Quel che preoccupa Negri è dunque il «rinnovamento del processo dell'unità europea». Un rinnovamento che trarrà giovamento dalla vittoria di Hollande, il quale avrebbe - udite, udite! - nientemeno che un programma «rinnovato in termini socialisti». Un programma sul quale confluisce, così argomenta trionfante il professore padovano, l'estrema sinistra, che ha abbandonato il no al Trattato di Lisbona (e questo non ci risulta proprio), lasciando al Front National il monopolio dell'opposizione all'Europa dei vampiri della finanza (e questo, purtroppo, è largamente vero).

Detto en passant, Negri sbaglia anche il riferimento storico al referendum del 2005, che come sanno in molti, ma non necessariamente chi ha insegnato a lungo a Parigi, riguardava il progetto di Costituzione europea (affondato appunto dagli elettori francesi ed olandesi) e non il successivo Trattato di Lisbona, concepito proprio per aggirare quel chiaro pronunciamento popolare. Un particolare che non interessa nemmeno di striscio al filosofo. Chissenefrega del parere del popolo, al massimo si interpelli qualche esponente del «lavoro cognitivo» della capitale, che basta e avanza...

Ma torniamo al merito delle affermazioni negriane. In cosa consista il «socialismo» di Hollande proprio non si sa. Certo, se il suo è un programma socialista, quello che portò alla vittoria Mitterand nel 1981 cos'era, un programma bolscevico?

Nel tentativo di far quadrare i conti, cioè di aggiustare la realtà in base alle proprie tesi, Negri ci propina poi questo passaggio:

«Per quanto riguarda l’Unione, i socialisti chiedono una revisione dei criteri del Fiscal Compact, un accordo eurobond, e una promozione dello sviluppo economico da parte dell’Unione che assuma come centrale il mantenimento del Welfare State. Che questa politica possa passare a livello europeo è evidentemente molto difficile ma è vero che ormai questa politica incontra un’opinione pubblica sempre meno disponibile alla distruzione del sistema-Euro ed alla dissoluzione della Eurozona. “Rari sono quelli che pensano che la reintroduzione di una flessibilità dei tassi di cambio sarebbe utile e molti continuano a credere che delle svalutazioni nell’Eurozona non farebbero che aumentare l’inflazione” (Martin Wolf)».

Muovendo da due banalità - la richiesta della «crescita» e le difficoltà che anche uno spostamento millimetrico dalla linea del «rigore» incontra oggi in Europa - Negri escogita un curioso salto logico per arrivare ad identificare la difesa del Welfare State con quella del sistema-Euro, come se non fosse proprio quest'ultimo uno dei cardini su cui agisce la sistematica distruzione del Welfare.

Ora, che in Europa tutti si stiano accorgendo di quel che non si poteva non sapere, e cioè che le politiche rigoriste avrebbero condotto ad una pesantissima recessione, è cosa nota. La parolina «crescita» è sulla bocca di tutti, e tutti la reclamano come se la si potesse ottenere per decreto. Ma i guardiani dell'euro e del debito esigono anzitutto «rigore», che - ripetono a pappagallo (vedi Monti) - dovrebbe però coniugarsi miracolosamente con la crescita. Questo matrimonio è tuttavia impossibile, e dunque possiamo immaginarci dove andranno ad infrangersi tutte le bene intenzionate litanie sulla crescita...

Il salto logico dell'ex leader dell'Autonomia è davvero interessante. In pratica egli ci dice che, poiché vuol difendere quel che resta del Welfare, l'opinione pubblica europea sarebbe «sempre meno disponibile alla distruzione del sistema-Euro ed alla dissoluzione dell'Eurozona». Un'affermazione perfino pittoresca nella sua temeraria arbitrarietà.

Certo, si può discutere sulla natura dell'opposizione al sistema-Euro. Si può discettare sulla sua radice di classe, sul suo retroterra culturale e sulle prospettive politiche che apre. Quel che proprio non si dovrebbe fare è raccontare balle a cuor leggero, negando quali siano le tendenze di fondo che vanno muovendosi nelle società europee. E' forse un caso se la stampa mainstream è sempre più preoccupata del cosiddetto «populismo antieuropeista»?

Visto che questo è il tema dell'articolo di cui ci stiamo occupando, restiamo alla Francia. Il successo di Marine Le Pen, soprattutto il suo sfondamento in larghi strati proletari, affonda le sue radici proprio nella posizione antieuropea del Front National. Del Front de Gauche (FdG) possiamo dire che non ha saputo assumere una posizione altrettanto forte, ma la sua distanza dall'Unione Europea è assai maggiore di quella che in Italia viene curiosamente definita «sinistra radicale». E tutti sanno che una delle ragioni della (probabilissima) sconfitta di Sarkozy risiede proprio nel suo far asse con la Merkel in nome dell'Europa. Dov'è allora l'opinione pubblica sempre più schierata a difesa dell'euro di cui blatera il prof. Negri?

Se l'analisi fa acqua da tutte le parti, ancora più significativi sono i due auspici finali dell'articolo su Uninomade. Il primo si riferisce alle future scelte del FdG di Mélenchon. Leggiamo:

«Nel caso non entri nel governo, non possiamo prevedere dunque null’altro che un tentativo di radicalizzare ed estremizzare le proposte di Hollande, oltre che puntualmente criticarle, da parte di Mélenchon. Povero destino, se le cose andranno davvero in questi termini. Povero destino anche se – e fortemente lo auspichiamo – questa relativa impotenza non spingerà Mélenchon a riprendere quella demagogia antieuropea che talora era apparsa, più che nelle sue posizioni, in quelle di taluni suoi sostenitori».

Di nuovo, governo a parte (ma ce ne occuperemo subito di seguito), avete capito cos'è che sta davvero a cuore al prof. Negri? Ciò che gli interessa è solo ed esclusivamente il fatto che la sinistra non osi minimamente mettere in discussione l'Europa delle oligarchie. Ciò che può fare è cercare di abbellirla, che non sia mai che si metta in testa di voler riconquistare la sovranità nazionale, un concetto che a Negri supponiamo possa provocare perfino l'orticaria.
Concludiamo sulla questione del governo. Negri auspica che Mélenchon non entri nel futuro esecutivo. Auspicio totalmente condiviso da chi scrive, ma per ragioni completamente diverse. Sentiamo:

«Molte esperienze, ormai sviluppatesi a livello mondiale, ci mostrano che solo l’estraneità dei movimenti ai governi, alle loro, talora necessarie, talora volontarie, mediazioni nelle istanze europee, può essere efficace in termini di reinvenzione programmatica e politica verso il “comune”. Anche dalle forze che hanno sostenuto Mélenchon e da Mélenchon stesso, ci aspettiamo questa decisione»

Se noi auspichiamo che il FdG non entri a far parte del governo, in modo da mantenere quanto meno una certa autonomia politica da Hollande (benché lo abbia immediatamente ed incondizionatamente sostenuto in vista del secondo turno del 6 maggio), per Negri il problema è di natura ben diversa. Per l'ex teorico dell'Autonomia operaia il problema non è far parte o meno di un governo che dovrà comunque varare pesanti misure antipopolari. No, per lui il problema - che va ben oltre la vicenda francese - è che i movimenti devono soltanto agire come stimolo e come pungolo ai governi ed alla politica in generale.

Solo dei gonzi in preda agli effetti di potenti allucinogeni potrebbero scambiare una simile concezione come la quintessenza della difesa dell'autonomia dei movimenti, quando invece è - teoricamente, ed ancor più nella pratica - la formula chimicamente perfetta della subalternità ai governi delle classi dominanti (ed oggi in particolare al «governo dell'Europa»), in una prospettiva che esclude tassativamente non solo l'obiettivo del governo, ma pure quello del potere rivoluzionario.   

Per Negri, il socialista di destra Hollande è quasi perfetto. Dunque deve governare. Ai movimenti (e alla sinistra) il compito di suggerire qualche idea, senza mai disturbare il manovratore, specie se «europeo». Insomma, dall'Autonomia operaia alla subalternità europea il percorso non è stato breve ma è stato interamente compiuto. Complimenti, se non altro ci ha fornito in questo modo una precisa carta d'identità di una certa sinistra, quella da rottamare. Non molto diversa, a ben guardare, da quella intenta a contrabbandare il proprio tramonto, cercando di piazzarlo (elettoralmente parlando) come la più pura ed avvincente delle Albe.

domenica 29 aprile 2012

On 14:15 by SA DEFENZA   No comments



TONI NEGRI

Fissiamo, prima di tutto, qualche elemento base non del tutto inutile per cominciare a valutare questo primo turno delle elezioni presidenziali in Francia. Dato il carattere quasi proporzionale del primo turno, i rapporti tra le forze politiche risultano più chiari di quanto avvenga nel secondo turno, maggioritario fra i due candidati prevalenti. Tanto più perché l’assenteismo è stato meno importante di quanto previsto. Ora, è il 20% di Marine Le Pen che colpisce, meglio che rappresenta l’elemento più drammatico e probabilmente trasformativo (delle strutture costituzionali francesi) dato che questo risultato presto (nei prossimi anni) si rispecchierà sulle legislative e sulle amministrative. Al momento non sembra che il Front National voglia negoziare con Sarkozy: a destra si darà una ricomposizione prima o dopo ma, secondo i Le Pen – padre e figlia -, questa dovrà darsi alle loro condizioni. Sia chiaro che l’affermazione FN non si è data semplicemente sulla base del sostegno dei “piccoli bianchi”, reazionari e razzisti, ma che comincia ormai anche a rappresentare ampli strati di una destra non gollista, semplicemente liberale, nazionalista ed antieuropeista. Essa non rappresenta più una Francia periferica, che si colloca nel mondo rurale, attorno alle città e nelle città medie disindustrializzate, ma ha prodotto uno sfondamento nel cuore del potere.
Appuntamento il 6 maggio, di Damien Glez
Il secondo elemento importante, da sottolineare fortemente, è che il risultato di questo voto corrisponde, nuovamente anche se parzialmente, a delle figure e a delle stratificazioni di classe. Non alludiamo a quelle vecchie, a quelle fordiste, ma alla nuova composizione sociale di classe, post-fordista, cognitiva e terziaria. Nelle metropoli (dove questo modo di produzione è predominante) la sinistra vince, anche nelle banlieues; la destra gollista si afferma invece nelle zone dove si concentrano le classi privilegiate, i rentiers, i servizi finanziari, le aristocrazie agricole ecc.; l’estrema sinistra attraversa i medesimi spazi della sinistra e Mélenchon raggiunge l’acme del successo nelle periferie parigine; la destra estrema FN laddove abbiamo già detto. È interessante notare queste determinazioni spaziali del voto perché ad esse corrispondono dimensioni sociali. Ciò mostra come, lungi dall’essere un voto di collera, come gran parte della stampa, soprattutto internazionale, ha proclamato, questo voto è stato particolarmente condizionato dai problemi sociali e da un contesto di riflessione critica “biopolitica” (attenzione alle condizioni economiche generali, risposta alla nuova organizzazione del mercato del lavoro, alle riforme restrittive del salario, delle pensioni, all’attacco al Welfare State, ecc.).
Alla luce di queste considerazioni, sembra dunque che il tempo lungo delle linee egemoniche (nella fattispecie del neoliberalismo) stia interrompendosi; il tempo breve degli interessi immediati riprende invece a confliggere con il primo, e i linguaggi, le parole d’ordine e, di conseguenza, i comportamenti sociali cominciano a riproporsi in maniera esplicita, combattiva, antagonista e a porre temi e problemi di potere. La mia impressione è che sia la diminuzione dell’astensionismo annunciato, sia la sconfitta di movimenti dagli obiettivi parziali (in particolare l’annullamento del partito Verde) dipendano dal riproporsi dello scontro politico attorno a temi generali: quali siano le prospettive che nella crisi si presentano e quale modello sociale stia organizzandosi in Europa. Europa: questo il tema fondamentale di questo primo turno elettorale. Quale enorme distanza da quando estrema destra ed estrema sinistra insieme avevano espresso un no al trattato di Lisbona – ora questo no è ripetuto solo dall’estrema destra e mette in imbarazzo le forze golliste, mentre l’estrema sinistra confluisce verso Hollande nell’assumere un programma europeo, finalmente rinnovato in termini socialisti. Ma ciò è sufficiente a garantirci un rinnovamento del processo dell’unità europea?
Hollande ha presentato un programma nel quale alcuni elementi particolarmente incisivi erano proposti alla lotta contro la crisi e le attuali, liberali e depressive, politiche dell’Unione. Per quanto riguarda la politica interna, il punto centrale della proposta socialista riguarda la tassazione degli alti patrimoni; per quanto riguarda l’Unione, i socialisti chiedono una revisione dei criteri del Fiscal Compact, un accordo eurobond, e una promozione dello sviluppo economico da parte dell’Unione che assuma come centrale il mantenimento del Welfare State. Che questa politica possa passare a livello europeo è evidentemente molto difficile ma è vero che ormai questa politica incontra un’opinione pubblica sempre meno disponibile alla distruzione del sistema-Euro ed alla dissoluzione della Eurozona. “Rari sono quelli che pensano che la reintroduzione di una flessibilità dei tassi di cambio sarebbe utile e molti continuano a credere che delle svalutazioni nell’Eurozona non farebbero che aumentare l’inflazione” (Martin Wolf). Sempre nell’arsenale socialista, sembra emergere anche una forte attenzione alla difesa contro il prevalere dei “mercati finanziari”, e quindi all’apprestamento di armi che ne smussino la capacità di attacco (regolazione e controllo nei confronti dei “paradisi fiscali”, delle agenzie di valutazione, tassazione delle transazioni, ecc.). E’ chiaro che tutto ciò potrebbe avere conseguenze ostili alle politiche americane verso l’Europa – politiche sempre più malevoli – ma ciò comincia a divenire importante soprattutto se i Paesi Bassi raggiungeranno la Gran Bretagna nell’osteggiare l’Unione.
È chiaro che la socialdemocrazia europea (e Hollande con essa) non riuscirà probabilmente a praticare queste linee politiche, anche se in Germania una “grande coalizione” può forse stabilirsi dopo le prossime elezioni. Che cosa può fare l’estrema sinistra francese, riorganizzatasi attorno a Mélenchon, in queste condizioni? Per ora Mélenchon non può far altro che votare a favore di Hollande. E dopo che cosa avverrà? Mélenchon ha promesso di non entrare nel governo di Hollande, se questo vince. Sembra una decisione saggia. Bisogna tuttavia ricordare che nella coalizione che Mélenchon ha costruito, c’è anche, come forza non secondaria, il PCF… e si sa con quanta forza i comunisti vecchi e nuovi vengano attratti verso il governo! Inoltre nel programma di Mélenchon non esistono spunti adeguati alle richieste, ai claims, dei nuovi soggetti sociali del proletariato cognitivo: in particolare non si parla, e neppure si accenna, al reddito garantito di cittadinanza e neppure si affrontano in maniera radicale le questioni legate al controllo e dalla gestione di un Welfare “comune”. Nel caso non entri nel governo, non possiamo prevedere dunque null’altro che un tentativo di radicalizzare ed estremizzare le proposte di Hollande, oltre che puntualmente criticarle, da parte di Mélenchon. Povero destino, se le cose andranno davvero in questi termini. Povero destino anche se – e fortemente lo auspichiamo – questa relativa impotenza non spingerà Mélenchon a riprendere quella demagogia antieuropea che talora era apparsa, più che nelle sue posizioni, in quelle di taluni suoi sostenitori.
È chiaro che, in questa situazione, supponendo che la vittoria di Hollande possa darsi di qui a qualche giorno, quanto avverrà in Francia sarà determinante non solo per la Francia ma per l’Europa. A noi sembra che, attorno a questa esperienza, potranno misurarsi non semplicemente programmi di rifondazione dell’Europa, ma soprattutto nuove esperienze di confronto e di scontro fra la socialdemocrazia al governo e gli schieramenti dell’estrema sinistra sociale, extragovernamentali. Sarà possibile, attraverso la continua azione sociale dei movimenti, attraverso una ricomposizione dei movimenti a livello europeo, introdurre nuovi motivi “comuni” nella governance che i socialdemocratici si preparano ad assumere a livello europeo? I dubbi sono altrettanto forti della speranza. In ogni caso, è solo se si riuscirà ad organizzare, anche in Francia, dei movimenti sociali di lotta fuori dalle scadenze elettorali, senza illusioni in quello che i governi possono fare – è solo in questo caso che anche la vittoria di Hollande potrà essere benvenuta. Molte esperienze, ormai sviluppatesi a livello mondiale, ci mostrano che solo l’estraneità dei movimenti ai governi, alle loro, talora necessarie, talora volontarie, mediazioni nelle istanze europee, può essere efficace in termini di reinvenzione programmatica e politica verso il “comune”. Anche dalle forze che hanno sostenuto Mélenchon e da Mélenchon stesso, ci aspettiamo questa decisione.
Non dimentichiamo comunque che il successo del FN in questo primo turno francese costruisce un ostacolo serio ad ogni tentativo di proporre un rinnovamento democratico dell’Unione. E neppure che un FN così forte costituirà un elemento di forte attrazione per tutte le strutture fascistoidi identitarie e reazionarie in Europa. Da oggi in poi va portata attenzione antagonista nei confronti di ogni provocazione delle destre europee. Ciò detto senza alcun feticismo antifascista ma semplicemente con la consapevolezza che si tratta di forze pericolose e perverse.


giovedì 1 marzo 2012

On 07:49 by SA DEFENZA   No comments




Enrico Piovesana 



La più potente e discussa banca d’affari del mondo, la statunitense Goldman Sachs, voleva sfruttare le informazioni geopolitiche riservate dell’agenzia privata d’intelligence americana Stratfor per fare insider trading e speculare sui mercati valutari e dei titoli di Stato.



E’ una delle più scottanti notizie emerse da una valanga di email aziendali della Stratfor ‘hackerate’ lo scorso 26 dicembre da Anonymous e ora pubblicate da WikiLeaks: cinque milioni di messaggi di posta elettronica risalenti al periodo 2004-2011 che svelano il coinvolgimento della società texana in attività illecite di spionaggio di attivisti per conto del governo Usa e di aziende multinazionali (Dow Chemical, Lockheed Martin, Northrop Grumman, Raytheon), riciclaggio di denaro e, per l’appunto, speculazione finanziaria.

L’anno scorso, dopo due anni di incubazione, l’ex alto dirigente di Goldman Sachs, Shea Morenz, e il fondatore e presidente di Stratfor, George Friedman (figlio di ungheresi sopravvissuti all’Olocausto), hanno dato vita a un fondo d’investimento denominato StratCap. Di cosa si tratti lo spiega chiaramente, in una mail riservata dello scorso 5 settembre, lo stesso Friedman: “StratCap userà le nostre informazioni e analisi per commerciare nel campo degli strumenti geopolitici, in particolare titoli governativi, valute e simili nei mercati dei Paesi emergenti”.

Nella stessa mail (indicata come “riservata a uso interno, da non diffondere e discutere all’esterno”), Friedman spiga come il dirigente di Goldman Sachs abbia ideato il progetto StratCap investendovi appositamente oltre 2 milioni di dollari (oltre ad altri grossi finanziamenti diretti a Stratfor) e come Morenz sia entrato nel consiglio di amministrazione della stessa Stratfor. “Abbiamo già fornito consulenza ad altri hedge fund: ora, grazie a Morenz, ne abbiamo uno nostro”.

Il fondo StratCap, che sarebbe dovuto diventare operativo sui mercati finanziari nella primavera 2012, va così ad aggiungersi alla lunga lista di scandali e attività poco chiare che hanno visto coinvolta la superbanca americana per cui hanno lavorato anche Romano Prodi, Mario Draghi e Mario Monti.





Per concessione di E-Il Mensile Fonte: http://www.eilmensile.it/2012/02/28/la-spy-economy-di-goldman-sachs/ Data dell'articolo originale: 28/02/2012 URL dell'articolo: http://www.tlaxcala-int.org/article.asp?reference=6941

mercoledì 15 febbraio 2012

On 12:32 by SA DEFENZA   No comments



Stefano Galieni 



Ore febbrili e poi un nulla di fatto, o peggio il silenzio gelido che precede la tempesta. Le misure draconiane che la Grecia sta affrontando per evitare il default non sono considerate sufficienti dall’Unione Europea, dalla Bce e dal Fmi.
Nonostante i 3 partiti di governo si siano impegnati a trovare fondi per ulteriori 300 milioni di euro, con tagli alle spese, al punto da causare le dimissioni del vice ministro del lavoro, sindacalista e rappresentante del Pasok, le reazioni a Bruxelles sono state a dir poco fredde. “Un buon inizio ma dovete fare di più” è stato il ritornello ripetuto dai vari leader e mentre per tutto il pomeriggio prevaleva l’idea che si dovesse giungere ad un accordo entro oggi, alla fine è prevalsa l’ipotesi di un ulteriore rinvio, alla prossima settimana.

Poche ore insomma per contentare i vampiri, in un Paese ridotto alla fame dove la disoccupazione giovanile è del 48% e si continuano a tagliare i salari e a diminuire il numero dei pubblici dipendenti. Ma il colpo finale l’ha dato in serata Angela Merkel con le anticipazioni di una sua intervista che uscirà domani sul quotidiano Passauer Neue Presse:«Alcune misure urgentemente necessarie sono state accettate su carta, ma in gran parte restano ancora irrealizzate – ha dichiarato – Il debito pubblico deve essere ridotto al 120% del Pil entro il 2020,  in questo modo il Paese avrebbe con le proprie forze di nuovo una chance sui mercati», ha aggiunto.

Secondo la politica cristianodemocratica la creazione di un conto speciale per la Grecia dove bloccare parte dei prestiti Ue e Fmi destinati a pagare gli interessi sul debito - idea recentemente avanzata da Francia e Germania - serve «a dire ai creditori della Grecia che il pagamento dei debiti procederà in maniera affidabile». Merkel ha anche espresso la propria comprensione per i greci, severamente colpiti dalle misure di risparmio: «So che le riforme necessarie per molti greci comportano duri tagli. E comprendo che coloro i quali personalmente non hanno causato la crisi del proprio Paese ora manifestino pacificamente».

«La Grecia è membro dell'eurozona e tutti noi - ha concluso la cancelliera rinnovando il suo sostegno ad Atene affinchè resti nella moneta unica - ci auguriamo un successo alla fine delle trattative attualmente in corso». «Un atteggiamento da strozzini – secondo il segretario del Prc Paolo Ferrero – Il rifiuto della proposta del governo greco dimostra che l’Europa si comporta come una sanguisuga nei confronti della Grecia. Questi signori stanno distruggendo tutti i diritti al popolo greco e lo stanno portando sul lastrico. Pieno appoggio al popolo greco e al sindacato che ha dichiarato altri due giorni di sciopero. La linea dell’Europa va battuta perché se passa in Grecia porterà al disastro tutto il continente, con le sue politiche recessive e antioperaie».

Per concessione di Contro la crisi
Fonte: http://www.controlacrisi.org/notizia/Politica/2012/2/9/19579-la-troika-e-pronta-a-dissanguare-la-grecia/
Data dell'articolo originale: 09/02/2012

giovedì 9 febbraio 2012

On 06:29 by SA DEFENZA   No comments

http://icebergfinanza.finanza.com



Visto che spesso e volentieri in Italia ma non solo, in molti hanno la memoria corta e non conoscono la storia, andiamo a dare un’occhiata alle dinamiche del nostro risalendo sino all’ Unità d’Italia grazie ad un lavoro apparso nel 2008 a disposizione sul sito di Bancad’Italia
Questo lavoro presenta i risultati di una ricostruzione del debito pubblico italiano dall’unità del paese a oggi. Le elaborazioni sono effettuate utilizzando una metodologia in linea con le regole  statistiche attuali al fine di ottenere una base dati omogenea e più coerente con le statistiche di contabilità nazionale. Il settore di riferimento, a differenza di molti studi precedenti che prendevano in esame il solo Settore statale, è quello delle Amministrazioni pubbliche e l’aggregato è il debito lordo al valore nominale e consolidato tra e nei sottosettori. La base dati ricostruita include le serie storiche mensili per il debito e per le sue scomposizioni per sottosettori e strumenti. Per la loro frequenza e il lungo periodo considerato, questi dati possono rappresentare un utile strumento di analisi per gli studiosi di storia economica e economia pubblica. Il lavoro presenta una sintesi degli aspetti metodologici e una breve descrizione dell’andamento del debito negli ultimi 150 anni. Se confrontata con i dati precedenti, la nuova ricostruzione storica evidenzia un valore del passivo in media superiore.
Chi pensa che non sia possibile riportare il debito sotto controllo dimentica che guerre e depressioni sono l’amara medicina che l’uomo non ama prendere nell’illusione del debito ma come ha dimostrato la recentissima dinamica storica successiva a Maastricht è solo questione di volontà e urgenza, un’urgenza che oggi è evidente.
Qualunque considerazione sui metodi e le dinamiche di rientro dal debito , sul peso che ricade spesso e volentieri sui soliti noti è argomento da affrontare in altra sede.
Qui sotto avete una serie di grafici che testimoniano la dimensione storica del nostro debito dall’Unità d’Italia, la dinamica del debito dal 1861, quella degli ultimi anni e relativi responsabili politici oltre che un’evidenza delle dinamiche del debito della pubblica amministrazione.
Direi che al di la delle chiacchere da bar ce ne abbastanza per cancellare l’idea che il debito non può che crescere…
Nel terzo trimestre 2011 il rapporto debito-pil dell’Italia, pur restando il secondo dell’Ue dopo la Grecia con 119,6%, ha registrato il maggiore calo (-1,6%) insieme a quello di Malta rispetto ai tre mesi precedenti. È il nuovo dato diffuso da Eurostat, l’Ufficio statistico dell’Unione europea. Il Sole 24 Ore – leggi su http://24o.it/I4YtM
Suppongo che anche Eurostat sia l’ennesimo sito telebano che diffonde notizie tendenziose e non veritiere, ma mentre l’Italia fallisce domani mattina, noi attendiamo la nuova ondata di panico.
E visto e considerato che stiamo giocando a nascondino con la storia andiamo a dare un’occhiata anche allo sbarco dei Mille senza dimenticare la leggendaria frase di Garibaldi, ristrutturata questa si dal sottoscritto per l’occasione… Qui si RIFA’ l’Italia o si muore…

GARIBALDI E I MILLE? UN INVESTIMENTO

La spedizione dei Mille è stato uno degli eventi cruciali per l’unificazione d’Italia. Ai tempi non c’era internet ma il telegrafo, Parigi era la Borsa di riferimento e i prestiti erano erogati dalle grandi famiglie dei banchieri e non dall’Fmi. Eppure mercati finanziari e debito pubblico ebbero un ruolo nello sgretolamento del regno borbonico e nel successo dei garibaldini. E, col senno di poi, è un po’ come se Garibaldi avesse detto “obbedisco!” non solo al re Vittorio Emanuele, ma anche ai Rothschild.
Studiando la serie storica delle quotazioni del debito pubblico borbonico, durante il 1860, è possibile rispondere a una domanda assai interessante, anche per i suoi riflessi attuali: i mercati finanziari dell’epoca avevano scontato la spedizione dei Mille?
Indubbiamente, i mercati anticipano accadimenti incerti, che valutano attraverso la lente deformante delle aspettative. Vi consiglio di continuare l’interessante lettura a questo indirizzo
In sintesi come spesso abbiamo visto si chiacchera troppo e si dimentica spesso e volentieri le lezioni della storia!

domenica 29 gennaio 2012

On 05:47 by SA DEFENZA   No comments
Si è stabilita una nuova moda, per la quale ogni personalità politica o istituzionale deve condire i suoi discorsi con inesorabili denunce dello strapotere della finanza globale, che, da "servizio nei confronti della produzione", è diventata scopo in sé e funzione primaria. Una volta pronunciata l'astratta denuncia, si può tornare tranquillamente ad obbedire alle banche.

Il caso più clamoroso di questa schizofrenia, è dato dalla questione dell'inserimento dell'obbligo del pareggio di bilancio nella Costituzione. Strano che nessun costituzionalista abbia sentito il bisogno di chiarire che una tale norma è di per sé incostituzionale, poiché uno Stato che accetti di trasformare il pareggio di bilancio da scelta politica in norma vincolante, si consegna in ostaggio ai propri creditori. Tanto vale affermare chiaramente che la sovranità appartiene alle banche.

Ma la contraddizione non è solo tra il dire ed il fare, è anche interna al discorso. Persino Mario Monti, durante la trasmissione "Che tempo che fa" ha recitato la sua litania sulla necessità di ridimensionare il potere della finanza, senza però chiarire come si sia stabilito questo potere, e che cosa abbia indotto i governi a compiere le scelte che hanno finanziarizzato tutte le relazioni economiche e sociali. Ma forse Monti non aveva bisogno di dirlo, dato che è proprio lui uno dei maggiori rappresentanti di quel lobbying bancario che si è insinuato in ogni ambito delle istituzioni.

Non è affatto dimostrato che il governo del Tanghero di Arcore sia stato abbattuto da una trama della finanza globale, né si comprenderebbe il motivo di tanto sforzo; mentre è invece dimostrabilissimo che dal 1994 tutti i governi italiani siano stati sotto il controllo diretto di poteri finanziari internazionali. Ci si riferisce, tanto per iniziare, a Lamberto Dini, del Fondo Monetario Internazionale, che fu ministro del Tesoro del primo governo Berlusconi, e poi egli stesso Presidente del Consiglio. Poi basta scorrere i nomi di Romano Prodi, Gianni Letta e Mario Monti, tutti e tre consulenti di Goldman Sachs; ancora si può ricordare Mario Draghi, anche lui di Goldman Sachs, nominato governatore della Banca d'Italia dal secondo governo Berlusconi.
Ed infine una citazione anche per Giuliano Amato, il quale, a posteriori, ci ha rivelato il suo legame con Deutsche Bank.

La forza del lobbying delle multinazionali non consiste nella strategia, nella pianificazione o nella lungimiranza, ma semplicemente nella onnipresenza e sulla ripetitività dello schema, per cui può cambiare l'ordine dei fattori, ma il prodotto non cambia. Lo schema coloniale si applica indifferentemente a tutti i Paesi, e senza troppe varianti. Niente di strano quindi che anche uno Stato africano come la Nigeria, nel marzo del 2010, si sia adeguato alla disciplina lobbistica, inserendo nel governo un esponente di Goldman Sachs.

La Nigeria è vicina.[1]
La notizia che Goldman Sachs abbia occupato anche il governo nigeriano, quindi non costituisce uno scoop; anzi sarebbe uno scoop la notizia contraria. Nulla di strano neppure nella notizia che Robert Zoellick, ex vicepresidente di Goldman Sachs, ex vicesegretario di Stato con Bush, ed attualmente presidente del Gruppo Banca Mondiale, abbia espresso apprezzamento per il fatto che, nel luglio 2011, la direttrice generale della Banca Mondiale, Ngozi Okonjo-Iweala, sia tornata a far parte del governo nigeriano in qualità di ministro delle Finanze.

La notizia è sul sito della Banca Mondiale.[2]
Quindi non bastava Goldman Sachs, ci voleva anche quell'altra sua longa manus che è la Banca Mondiale. Appena arrivata, Okonjo-Iweala ha messo sotto ricatto il governo presentando una lettera di dimissioni, che poi deve essere stata ritirata, dato che risulta ancora lei il ministro delle Finanze in carica. Nella lettera Okonjo-Iweala consigliava al governo di raccomandarsi a Dio.

Molto professionale.[3]
Oggi la Nigeria è sulle prime pagine dei quotidiani per la vicenda delle aggressioni islamiche nei confronti dei cristiani; ma nel 2008, la notizia era che la Nigeria si trovava nel pieno di un disastro ecologico nel delta del fiume Niger, provocato dalla multinazionale Exxon. Ma il Delta del Niger è una zona troppo ghiotta per le corporation e non manca nessuno: Total ed Eni, Exxon-Mobil, Shell, Chevron-Texaco, StatOil, e naturalmente BP. La maggior parte del petrolio nigeriano va a finire negli USA; le immense riserve di gas del paese sono state bruciate con trivellazioni maldestre ed esplosioni che hanno devastato il paese. Secondo stime approssimate per difetto, più di 400 milioni di litri di petrolio sono finiti nel delta. La manutenzione degli impianti è fatta in economia; così, quando ci sono delle perdite, le compagnie se la cavano parlando di sabotaggio.

Tutte le corporation assoldano truppe paramilitari che, con la scusa di difendere gli impianti dai sabotaggi, aggrediscono la popolazione in modo sistematico; villaggi di migliaia di persone sono stati costretti alla fuga dai mercenari.[4]
La popolazione nigeriana, stimata in centocinquantacinque milioni di abitanti, è costretta a vivere nella miseria, mentre la Nigeria è l'ottavo o nono paese esportatore al mondo di petrolio. Uno dei disastri ambientali più recenti è stato provocato dalla Shell, i cui manager hanno attribuito la rottura di alcune tubature ai "ladri" (forse era un velato riferimento a se stessi).

L'altra notizia era che le autorità nigeriane non riuscivano ad assumere alcun provvedimento per controllare l'estrazione del petrolio, e ciò a causa dell'attività di lobbying della British Petroleum.[5]
Il governo nigeriano ha preso invece altri provvedimenti, oltre quelli di imbarcare Goldman Sachs e Banca Mondiale nel governo. Va registrata infatti l'istituzione di un fondo federale per far fronte alla volatilità dei prezzi del petrolio; attorno a queste risorse finanziarie si è scatenato il lobbying di Goldman Sachs e di JP Morgan per ottenere la concessione della gestione del fondo.

La stampa africana ne ha diffuso con preoccupazione la notizia, sottolineando le resistenze che questa prospettiva aveva suscitato in Nigeria nell'ottobre dello scorso anno.[6]
L'altra misura assunta dal governo, anzi direttamente dal ministro delle Finanze Okonjo-Iweala, è molto "montiana"; riguarda infatti l'aumento del prezzo dei carburanti, che sta causando in Nigeria un movimento di protesta sindacale molto acceso ed esteso.

Sulla questione il ministro delle Finanze ha concesso un'intervista ad Al Jazeera.[7]
Solo che adesso, a proposito della Nigeria, non si parla più di disastri ecologici causati dalla Exxon o dalla Shell, né del lobbying di BP, Goldman Sachs e JP Morgan, né del protettorato imposto dalla Banca Mondiale, e neppure del grande movimento di protesta sindacale, ma della guerra civile fra musulmani e cristiani, e di prospettiva di secessione del Paese tra sud cristiano e nord islamico. Tutto questo lobbying e l'invio di un'emissaria di Zoellick, chissà perché, non hanno portato bene alla Nigeria.

Del resto, che c'è di meglio di un conflitto etnico-religioso per neutralizzare un movimento di protesta sindacale?
L'indispensabile complemento del lobbying è infatti la psywar, la guerra psicologica: non basta infiltrare un Paese, bisogna confondergli le idee creandogli falsi nemici. Guarda caso, la CIA aveva previsto che le cose non sarebbero andate bene per la Nigeria. Cinque anni fa, un rapporto della CIA profetizzava che la Nigeria non aveva più di dieci anni di vita come Stato unitario. Anche questa notizia è stata ripresa dalla stampa africana in questi giorni di guerra civile in Nigeria.[8]
Ovviamente il rapporto della CIA aveva un mero scopo scientifico, e non sarebbe lecito sospettare di nessuna azione della stessa CIA nel fomentare la guerra civile in Nigeria. Neppure è concesso ipotizzare che tutti quei mercenari al servizio delle multinazionali abbiano qualcosa a che vedere con le aggressioni.


[1] http://translate.google.it/translate?hl=it&sl=en&u=http://www.independent.co.uk/news/world/africa/goldman-sachs-chief-included-in-nigerias-new-cabinet-1927001.html&ei=MzMdT5DFK7GM4gSPwKGLDQ&sa=X&oi=translate&ct=result&resnum=4&sqi=2&ved=0CEgQ7gEwAw&prev=/search%3Fq%3Dnigeria%2Bgoldman%2Bsachs%26hl%3Dit%26biw%3D1280%26bih%3D606%26prmd%3Dimvns
[2] http://translate.google.it/translate?hl=it&sl=en&u=http://web.worldbank.org/WBSITE/EXTERNAL/NEWS/0,,contentMDK:22958186~pagePK:64257043~piPK:437376~theSitePK:4607,00.html&ei=kKQdT43DKa754QTpqfnMDQ&sa=X&oi=translate&ct=result&resnum=3&ved=0CDoQ7gEwAg&prev=/search%3Fq%3DNigeria%2BWorld%2BBank%2Bzoellick%26hl%3Dit%26rlz%3D1W1ACAW_itIT338%26biw%3D960%26bih%3D507%26prmd%3Dimvns
[3] http://translate.google.it/translate?hl=it&langpair=en%7Cit&u=http://www.wazobiareport.com/reports/Ngozi-Okonjo-Iweala-resigns-after-inspecting-federation-accounts
[4] http://234next.com/csp/cms/sites/Next/Home/5258469-146/The_mercenaries_take_over__.csp
[5] http://translate.google.it/translate?hl=it&sl=en&u=http://www.guardian.co.uk/world/2010/may/30/oil-spills-nigeria-niger-delta-shell&ei=Y0IcT8isAajd4QSkl7yFDQ&sa=X&oi=translate&ct=result&resnum=2&ved=0CDMQ7gEwAQ&prev=/search%3Fq%3Dexxon%2Bbp%2Bnigeria%26hl%3Dit%26rlz%3D1W1ACAW_itIT338%26prmd%3Dimvns
[6] http://translate.googleusercontent.com/translate_c?hl=it&langpair=en%7Cit&rurl=translate.google.com&u=http://allafrica.com/stories/201110261085.html&usg=ALkJrhjh23E41pPOjG2-wFhirpQEBxdRDg
[7] http://translate.google.it/translate?hl=it&langpair=en%7Cit&u=http://africaunchained.blogspot.com/2012/01/nigerias-finance-minister-ngozi-okonjo.html
[8] http://translate.googleusercontent.com/translate_c?hl=it&prev=/search%3Fq%3Dnigeria%2Bcia%2Ballafrica%26hl%3Dit%26rlz%3D1W1ACAW_itIT338%26prmd%3Dimvns&rurl=translate.google.it&sl=en&u=http://allafrica.com/stories/201201120484.html&usg=ALkJrhj57n0jBNGRd7f2nS6TFBCRl-4BqA